Da quando (fortunatamente) questo piccolo blog comincia ad essere conosciuto, ricevo volentieri nuovi e giovani autori italiani che mi chiedono di parlare dei loro lavori. Secondo un principio che anch’io condivido, anche se ne dovessero parlar male è meglio di non parlarne affatto.

È diffusa, diffusissima, la pratica disponibile con l’avvento di Internet, di pubblicare in proprio i lavori così faticosamente prodotti. Questo perché purtroppo, i grandi e a volte anche i piccoli Editori Italiani, non sono affatto generosi con i giovani scrittori. Per la verità nemmeno con i vecchi.

Pubblicare un romanzo è in genere assai complicato. La cosa poi più complicata di tutti è capire perché alcuni romanzi abbiano un insperato successo di pubblico, mentre altri riposino indisturbati in polverosi antri editoriali per molto tempo. Ritengo che ciò dipenda dal fatto che i romanzi di successo siano stati in qualche modo portati all’attenzione dei lettori. Gli altri non necessariamente debbono essere considerati cattivi romanzi, però nessuno li ha mai visti.

67660_109510222445242_5727546_nOggi voglio appunto presentare un giovane che è arrivato alle selezioni finali del Premio Urania 2012,  senza arrivare a vincerlo e senza nemmeno essere menzionato tra i meritevoli. Lui si chiama Andrea Micalone ed il romanzo è Hodoeporicon. È il tipico caso di romanzo che non ha avuto alcuna spinta e che quindi i lettori non possono conoscere.

Quale sarà mai stata la qualità dei libri arrivati alla stessa stretta finale? E il vincitore, quanto è migliore di questo libro? Domande a cui è difficilissimo rispondere. Come in tutti i concorsi ci sono dubbi, polemiche e noi non siamo qui per alimentarle. Il libro di Micalone è oggi disponibile a un prezzo davvero economico anche attraverso Amazon.

Il romanzo non è proprio strettamente di fantascienza, come probabilmente piace ai duri e puri di questo genere letterario. Non c’è uno straccio di discorso parascientifico in tutta la lunghezza del racconto. La storia è in realtà una specie di romanzo poliziesco. I personaggi non provengono da altri mondi, né da altre epoche.

Per chi non se ne fosse accorto, le frasi precedenti intendono essere ironiche. Personalmente ritengo che la fantascienza debba essere davvero un genere libero da vincoli. Soprattutto da questi inutili vincoli che ho ironicamente sottolineato.

La storia si svolge in un futuro non troppo lontano e nella città di Barcellona. L’ambientazione piace all’Autore e non ho niente da dire, se non per il fatto che non sarebbe stato male aggiungere qualche descrizione suggestiva di una Barcellona futura e futuribile.

Veniamo presto a sapere che in questa Barcellona futura hanno inventato dei braccialetti che permettono di viaggiare nel tempo: se ho ben capito si può andare avanti, solo dopo essere tornati indietro. Al massimo quindi è possibile tornare al tempo da cui si è partiti e in realtà non si può andare nel futuro.

Questo è tutto il bagaglio fantascientifico di Hodoeporicon, parola derivata dal greco e che significa itinerario, quindi viaggio. Immagino, nel tempo. L’Autore mi spiega di aver tratto la citazione da Ambrogio Traversari,  un sapiente e quasi sconosciuto Beato vissuto tra i dodicesimo e il tredicesimo secolo, il quale scrisse appunto un Hodoeporicon, viaggio fatto per conto del papa visitando molti monasteri.

Per il resto, Andrea Micalone si rivela molto più uno scrittore di sentimenti, abilmente nascosti in una trama (bella) di giallo e di indagini. Per tornare alla storia, i braccialetti di quella che è chiamata la Macchina del Viaggio, sono tenuti abbastanza segreti da polizia e autorità. Li possiedono solo alcuni membri di una speciale forza di polizia che opera viaggiando nel tempo. In questo modo sembrerebbe facilissimo piombare sul luogo del delitto e scoprire l’assassino, o il ladro, o quello che è. Invece l’Autore è molto abile nel dimostrare per tutto il libro come questo presupposto non sia così evidente, così semplice.

Le luci e i turisti mi si confondono attorno. Stringo tra le mani un buon kebab. È mezzanotte. Ho appena lasciato il vecchio Jorge e ora mi dirigo annoiato a casa. C’è ancora gente per strada, nonostante il vento fresco di fine estate preannunci piogge imminenti.

Prendo un buon morso della mia cena. Mastico con lentezza, assaporando la cipolla e la salsa yogurt. Un pezzetto di carne scivola dal pane e termina la caduta sulla mia giacca. Impreco a mezza bocca: l’avevo appena lavata.

Mi fermo e con un colpetto delle dita faccio cadere il frammento a terra.

Riprendo a camminare.

Sto per svoltare l’angolo davanti l’antica Casa Figueras, quando incontro me stesso.

Ho un piccolo sobbalzo.

Mi fermo e mi osservo. Siamo vestiti diversamente, ma siamo la stessa identica persona. I nostri visi sono uguali. L’altro però non ha il kebab.

«Vuoi sapere cosa succede?» Mi fa lui, il mio alter ego.

«No. Sarebbe inutile… voglio godermi la serata finché posso» rispondo.

Egli mi sorride e guarda verso destra nel modo caratteristico che ho scoperto essere mio. Conclude: «Allora corri a casa e riposa un po’. Ti chiameranno verso le 3.»

Questo è l’incipit. Il testo è bello, la prosa semplice e diretta. La scena è surreale quanto basta per invogliare ad andare avanti. E in effetti si va avanti bene nella lettura: in nessun momento è pesante, mai è troppo scontata. Eppure, per come è costruita la storia, si arriva a un certo punto in cui il lettore sgamato probabilmente intuisce il finale: a me è successo. Non tutti gli elementi sono ben nascosti nella trama dall’inizio alla fine. Anzi, quelli importanti a un certo punto risultano sistemati tutti assieme e allora, magari, si capisce dove si andrà a parare.

Ne abbiamo parlato con Andrea. Gli ho fatto notare che forse sarebbe stato giusto cambiare la disposizione di alcuni fatti, di alcune descrizioni. Gli ho fatto notare che il suo è un testo davvero egregio e ciò che appare evidentemente mancante è la presenza di un Editor. Forse non tutti i lettori sanno cosa sia un Editor, che tuttavia è un personaggio insostituibile per la buona riuscita di un libro. Si tratta del personaggio che prende il libro, lo legge e poi lo rivolta per farlo diventare un prodotto vendibile. Dà consigli allo scrittore, gli chiede di riscrivere delle parti, suggerisce l’eliminazione di interi capitoli se necessario, insomma controlla se e come sia possibile migliorare lo stile.

Il romanzo di Andrea Micalone manca proprio di questa presenza. Lo scrittore è presente, lo stile è avvincente, c’è solo da sgrossare qui e là. Da mettere quella parte di intensa commozione un po’ prima. Togliere gli accenni che fanno capire troppo in anticipo. Ne abbiamo un po’ parlato. Però il romanzo si legge bene e conviene leggerlo. Abbiamo bisogno di giovani scrittori e dobbiamo incoraggiarli quando se lo meritano.

Suggerirei infine ad Andrea di essere meno serioso. Questo è il problema di moltissimi Autori italiani: se non c’è la parte seria, il tormento dell’anima, il romanzo non pare a loro di spessore. Ho trovato questa componente in tantissimi scrittori italiani che non smettono di presentare situazioni davvero tragiche e tormentate. Mi sono sempre chiesto perché.

Anche Andrea Micalone ha la sua parte di tormenti e nel suo caso hanno anche un senso logico. Io li avrei messi in modo diverso, ma tant’è: il romanzo è piacevole anche così. Se Andrea decidesse di ritoccarlo, si potrebbe evitare quasi tutto il tormento, facendolo assomigliare di più a una trama alla Philip K. Dick.

Comunque un buon esordio.

 

Il sito di Andrea Micalone riporta molto dei suoi interessi e dei lavori fin qui fatti: consiglio di dargli un’occhiata. l’Autore  è nato ad Atri (Te) il 18/11/1990 e ora sta seguendo il corso di Laurea in Lettere Moderne all’università “G. D’annunzio” di Chieti.
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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.