Arianna nello spazio. Il mistero delle cravatte scomparse (2017 Youcanprint) è il mio primo romanzo, ma è anche, in un certo senso, uno dei figli di questo sito curato da Franco Giambalvo. Infatti, ho cominciato a scrivere di fantascienza proprio frequentando “Nuove Vie”. Una collaborazione che ha visto la nascita di due raccolte di racconti (Timelost. Storie di alieni tra di noi nel 2015 e di Leandro chiama spazio. Avventure di un portinaio alieno nel 2016) e che poi mi ha portata a dar vita a questa nuova storia. Quindi ecco una giovane giornalista televisiva, un cameraman extraterrestre e la sua misteriosa fidanzata, una nonna eccezionale e un investigatore sulle tracce di uno scienziato scomparso.

Anna Laura Folena

Arianna nello spazio. Il mistero delle cravatte scomparse è in vendita in diversi negozi on line, come YoucanprintUnilibroIbsLibreria UniversitariaAmazon. Inoltre si può ordinare in migliaia di librerie italiane. Ecco il link con l’elenco completo: https://www.youcanprint.it/librerie-in-italia-self-publishing.html.

Qui potrete trovare le puntate di Arianna pubblicate su questo sito.

Prologo

La nonna di Arianna era eccezionale. Pare fosse stata amazzone a sette anni, pattinatrice artistica a 12, crocerossina a 18, insegnante di lettere antiche a 23, pittrice a 40 e paracadutista a 61. Sembrava una creatura impossibile, frutto della fantasia di uno scrittore di fantascienza, una creatura dell’altro mondo.

Quel giorno Arianna l’accompagnò dal dentista. La giovane giornalista televisiva era profondamente affezionata all’ava e la portò dal migliore. Desiderava che il sorriso dell’anziana tornasse smagliante come un tempo, quando calcava le scene della Fenice come attrice di prosa e come quando riceveva la medaglia d’oro ai campionati europei di scacchi.

LA LUNA DELLE ISOLE

«Che ne pensi?», chiese Arianna ad Antenore, appoggiandogli la testa al petto ancora ansante.

«Sei stata una dolcissima tigre, una colombella focosa, come sempre», sospirò lui.

«Ma no! – rise lei – Non mi riferivo a quello che abbiamo appena fatto. Cosa pensi del tatuaggio sull’ippocastano?».

«Ma i maschi umani riescono a connettere e a rispondere a domande del genere subito dopo aver fatto l’amore?», si stupì l’investigatore.

«No, ma tu non sei terrestre».

Antenore non replicò. Russava.

La mattina seguente, a colazione, Antenore espose agli amici la sua geniale teoria:

«Il prof. Marzi è sicuramente in fuga. Sta scappando da qualcuno e ci lascia degli indizi. La cravatta viola con le ranocchie verdi è la sua firma, questo è evidente. E poco fa, svegliandomi, ho compreso anche il significato della scarpa con il tacco a spillo. La scarpa ha la stessa forma della costellazione della Conca Rossa. Il tacco a spillo è sicuramente la cometa 15.633 che proprio in questi giorni è transitata a poche migliaia di chilometri da Alberonia dirigendosi verso la Conca Rossa. Dobbiamo seguire la cometa».

«Come i Re Magi?», rise Arianna.

Barry la imitò, scoppiando in un fragoroso barrito, poi ci pensò meglio e domandò:

«Chi sono i Re Magi?».

Quel pomeriggio la nave spaziale lasciò Alberonia alla volta della costellazione Conca Rossa, e precisamente verso la Luna delle Isole, che era stata sfiorata dalla cometa. Secondo Antenore, lì avrebbero trovato un nuovo indizio, lasciato apposta per loro dal fuggitivo Alfonso Marzi.

La superficie della Luna delle Isole era un’unica distesa marina, costellata di piccole porzioni di terra ferma di origine vulcanica. Sembrava voler compensare l’assoluta mancanza d’acqua di Aridus, il pianeta attorno a cui orbitava.  Dallo spazio non si vedevano strutture artificiali. Solo natura e basta. Degli abitanti locali si sapeva gran poco. Anzi, non era chiaro nemmeno se il satellite ospitasse vita senziente. L’atmosfera, però era respirabile.

Dall’astronave, Arianna, Antenore, Barry e Clara si teletrasportarono sull’isola più vicina. Si ritrovarono su una spiaggia di sabbia nera, di origine lavica, in mezzo a grosse iguane variopinte, che li circondarono osservandoli incuriosite. Attirarono anche il volo di centinaia di uccelli che si posarono attorno a loro con chiaro intento di socializzazione. I quattro amici, rincuorati dall’accoglienza festosa delle creature, cominciarono a esplorare i dintorni, quando all’improvviso tutti gli uccelli volarono via, fra grida d’allarme, nascondendosi nella giungla a ridosso della spiaggia, e i rettili scomparvero sotto la sabbia. Subito dopo, la terra tremò, mentre dalla bocca centrale del vulcano schizzavano sbuffi di fumo nero e oggetti non ben identificati.

I quattro esploratori si resero ben presto conto che non si trattava affatto di oggetti, ma di creature viventi. Erano simili a babirussa viola, ma avevano lunghe zanne verdi che sporgevano dalla mandibola superiore, e occhi fucsia con la pupilla da serpente. Sulla schiena un’unica ala argentata a forma di triangolo.

«Sono deltoidi purpurei!», gridò Barry.

«Cos’è un deltoide purpureo?», chiese Clara un po’ preoccupata.

«Sono  esseri  che pensavo esistessero solo nel film fantasy del mio pianeta».

«Sono pericolosi?», domandò Arianna.

Barry ritenne superfluo e imprudente soffermarsi a rispondere, prese per mano le due ragazze e, seguito a ruota da Antenore, cominciò a trascinarsele dietro in una fuga disperata verso il mare, inseguiti dalle creature, che emettevano alte note, simili al verso di un’aquila reale.

«Presto! Tuffiamoci, i deltoidi non sanno nuotare. Prendete fiato e state sotto anche con la testa!», urlò  il cameraman.

Insomma le alternative erano due: affogare o lasciarsi divorare dai babirussa volanti.

In quell’istante emerse dalle onde una decina di grandi pesci turchesi con un casco pieno d’acqua che permetteva loro di respirare con le branchie anche fuori dal mare.

Erano dotati di braccia e mani a due dita ed erano armati di balestre olografiche che lanciavano veri ricci marini fosforescenti, sicuramente avvelenati.

Si sollevarono nel cielo grazie a particolari minuscole mongolfiere agganciate alla pinna dorsale e sferrarono un attacco deciso ed efficace contro i deltoidi, che presto batterono in ritirata.

Quando tutti i babirussa satanici scomparvero dentro al vulcano, i pescioloni si avvicinarono con sguardo rassicurante ma severo ad Arianna e ai suoi tre compagni d’avventura, che avevano assistito al combattimento, sguazzando spaventati.

I quattro potevano udire i pensieri di quello che sembrava il pesce al comando: «Avete rischiato grosso! Non lo sapevate che è pericoloso sostare sulle isole?».

Vennero equipaggiati con una speciale maschera branchiale iperbarica per essere in grado di seguire in profondità i loro salvatori, che li guidarono a Coralliride, la capitale della Luna delle Isole. La città sommersa si presentava come una distesa di torri e torrioni corallini dei colori dell’arcobaleno,  con magnifici giardini pensili di piante acquatiche. Al centro della capitale, in un’enorme bolla d’aria racchiusa in una sottilissima parete di  madreperla venivano coltivati alberi da frutto, per accontentare chi seguiva la nuova moda alimentare della dieta terrafermista.

Fortunatamente la telecamera di Barry era anche subacquea e poté filmare ogni cosa.

Trascorsero una giornata emozionante, cibandosi di mousse di plancton e bevendo latte di oloturia gigante.

Sicuramente non avrebbero mai più dimenticato né gli attimi di terrore vissuti durante l’attacco dei deltoidi purpurei, né la giovialità dei loro ospiti.

Purtroppo, però, i pescioloni assicurarono loro che sulla Luna nessun alieno aveva più messo piede da anni ed anni. Era troppo pericoloso, visto che il pianeta era infestato di deltoidi!

Antenore ammise di aver male interpretato il tatuaggio dell’ippocastano, e dopo il tramonto, scortati da cinque pesci armati, riemersero sulla spiaggia, per essere teletrasportati sulla loro astronave. Prima di congedarsi da loro, il Grande Saggio della Luna delle Isole, una sorta di enorme cernia blu, donò ad Arianna una catenina, con un piccolo pendaglio. Era un cavalluccio marino di corallo rosa, con ali di madreperla spiegate come durante il decollo.

«Qualcosa mi dice che questo dono ti aiuterà a capire in che direzione dovresti volare», le spiegò la cernia e scomparve in fondo al mare.

Qualche ora dopo, Arianna, in camera sua, aspettava Antenore e osservava pensierosa il cavalluccio marino. Le ricordava un altro dono ricevuto di recente.

All’improvvisò si alzò dal letto, si arrampicò su una sedia, tirò giù dal tetto dell’armadio la sua valigia, infilò una mano in una tasca segreta. Poco dopo aveva al polso un braccialettino d’oro giallo con un pendaglio di platino: era un cavallino alato.

L’UOMO INCRAVATTATO

«Ma che razza di deviazione avete fatto?», protestò in chat interstellare il direttore generale dello Stars.

«Forse ho interpretato male il tatuaggio dell’ippocastano», digitò Antenore.

«Forse?».

«Sicuramente. Mi dispiace».

«Va bene, va bene. Ora però fate rotta urgentemente verso il pianeta Koala 15. Ci è giunta una segnalazione interessante. Nella cittadina di Opossum è stato avvistato un uomo incravattato. Trovatelo!».

Il viaggio per Koala durò due giorni, durante i quali Arianna e Barry cominciarono a riesaminare le riprese girate fino a quel momento, montando le interviste migliori e scegliendo le musiche più adatte per la colonna sonora. Nel frattempo Antenore e Clara si scervellavano sul famoso tatuaggio dell’alieno arboreo, l’incisione sulla corteccia che era stata così mal interpretata. In verità, Clara non sembrava molto attiva nel collaborare, tanto che l’investigatore a un certo punto sbottò: «Ma insomma, possibile che non ti interessi capire cosa possa significare la scarpa rossa con il tacco a spillo? Sono proprio quelle che porti sempre tu! A proposito, ma sono sempre lo stesso paio o ne hai una serie?».

Clara non rispose: «Ho fame. Vado a fare uno spuntino».

Si allontanò ancheggiando agile e flessuosa sui suoi trampoli. Sapeva camminare speditamente con quei tacchi su qualsiasi superficie, anche sullo sterrato, sull’erba, su pavimentazioni sconnesse. Le veniva naturale e non si lamentava mai del mal di piedi, come fanno di solito le donne terrestri. Come facesse era proprio un mistero alieno!

Gli abitanti del pianeta Koala erano quasi identici agli umani, con un’unica differenza anatomica: il marsupio. Le donne lo usavano per tenerci i neonati. In mancanza di figli, trasportavano comodamente: un pc portatile, un paio di telefonini, il portafoglio, il rossetto, 10 barrette dietetiche alle bacche popotane (il Popot era una regione simile al terrestre Tibet), due litri d’acqua, chiavi di casa, bustine di integratore alimentare di magnesio e potassio, il cambio della biancheria intima, cerotti e disinfettante, profumo, deodorante, un ventaglio, occhiali da vista, occhiali da sole, ombrellino pieghevole, filo interdentale, spazzola, tre penne biro, foglietti sparsi, un secondo paio  di occhiali da sole di scorta, un altro cambio di biancheria intima. Insomma, tutto quello che solitamente le terrestri tengono nella borsetta.

Anche gli uomini avevano un marsupio. Lo utilizzavano per trasportare biscotti e patate fritte.

Opossum era un paesotto di campagna, molto conosciuto per l’allevamento e il mercato delle tsigané, una specie di cicale evolute, capaci di produrre suoni complessi  ed organizzati. Venivano addestrate dai migliori maestri di musica in circolazione e vendute come soliste o a orchestre intere.

Dopo la rivolta sindacale di nove anni prima, venivano trattate con mille riguardi e retribuite equamente in foglie e fiori e corteccia di una sorta di magnolia locale. Ogni cicala divorava un quintale e mezzo circa di magnolie all’anno. Particolare che avrebbe indignato un qualsiasi abitante di Alberonia.

La segnalazione giunta allo Stars parlava di un venditore di tsigané incravattato. Furono Arianna e Barry ad avvistarlo, al terzo giorno di riprese tra le pittoresche bancarelle di insetti concertisti. Era un uomo alto, ma non particolarmente slanciato. Al collo portava una cravatta sgargiante che spuntava sotto al colletto della camicia. Pendeva sul davanti esibendo un disegno astratto a colori vivaci. Arianna e Barry, emozionatissimi, gli si avvicinarono con la scusa di intervistarlo sul commercio delle tsigané. L’uomo dichiarò di essere un noto musicista originario di un altro sistema solare. Ormai viveva da una quindicina d’anni su Koala, dove insegnava musica alle piccole creature sterminatrici di magnolie. Al mercato le dirigeva in concerto, per far colpo sui potenziali acquirenti. I commercianti lo ricompensavano lautamente.

Arianna gli fece i complimenti per la splendida cravatta.

«Cravatta? – si stupì l’uomo – Cos’è una cravatta?».

Aprì meglio la camicia e allungò il collo, mostrando ai due intervistatori che quella era una sua parte anatomica, una protuberanza che partiva dalla base del collo.

«Si chiama pomazzo – spiegò alla giornalista – ed è fondamentale come richiamo sessuale, un po’ come la proboscide del tuo cameraman».

«Il mio naso non è un richiamo sessuale!», protestò Barry.

«Veramente – lo contraddisse Arianna – Clara mi ha confidato di essere stata attratta proprio da quello».

Barry divenne di un blu più scuro, era imbarazzatissimo.

«Sul mio pianeta, Takoidès, più il pomazzo è lungo e colorato – proseguì il musicista – più si risulta attraenti».

«Takoidès sembra avere un’etimologia greca – pensò Arianna, osservando i movimenti rapidi del pomazzo, che ondeggiava al ritmo della sinfonia delle tsigané -. Potrebbe derivare da tachys, veloce. Oh! Ma che sciocca: i greci mica viaggiarono nello spazio!».

Anche questa volta avevano fatto un buco nell’acqua: non c’era traccia di cravatte su Koala.

Faceva molto caldo, Arianna e Barry andarono in un bar per bere qualcosa di fresco. Sembrava che tutti gli alieni della galassia accorsi per la fiera delle tsigané fossero entrati in quel locale. Era come un catalogo vastissimo di specie senzienti. Per esempio, al bancone sedevano un gattone del pianeta Mychoos che sorseggiava un aperitivo sismotronico, mentre discuteva animatamente con un ractusiano. Più in là una comitiva di pluvoniani pavonesi cantava una canzone che strideva con le note delle tsigané provenienti dal mercato. Un mitiliano agitava i tentacoli per aria in una sorta di danza scoordinata. Forse era ubriaco per la troppa grappa al verme di Zord.

Arianna e Barry ordinarono una spremuta ghiacciata di anice dorganiano. Stavano per iniziare a sorseggiarlo quando venne verso di loro un essere terrificante che urlava: «Voi! Siete proprio voi». Era un babirussa alato della Luna delle Isole.

Arianna impallidì. Tutta la sua vita le scorreva davanti alla velocità del suono del suo stesso strillo acutissimo e del potente barrito del suo cameraman, sovrastati dal ghigno beffardo e minaccioso del feroce deltoide purpureo.

LA SCOMMESSA

Luna delle Isole – sei giorni prima

I deltoidi purpurei ad ali chiuse e gli abitanti submarini muniti di casco ad acqua, stavano facendo festa insieme sulla spiaggia sotto al vulcano. I presenti stavano rendendo onore alla grigliata di cavallette, ai vassoi di grilli caramellati e ai barattoli di bruchi della palma sott’olio di cozza, mentre le tsigané del pianeta Koala s’impegnavano nel produrre musica bellissima, sperando di non finire pastellate e fritte.

Maj Alitur, il capo dei deltoidi, faceva roteare per aria una striscia di stoffa gialla variegata di rosa fucsia, urlando di gioia: «I deltoidi battono i marini nella gara di lancio della striscia! Avete perso la scommessa! Quindi tocca a noi scegliere lo scherzo da propinare ai visitatori in arrivo. E dobbiamo anche sbrigarci. Saranno qui tra un paio d’ore».

Rena Mur, caposquadra dei submarini rideva bonariamente: «E va bene, va bene! Avete vinto voi. Ma sulla terra ferma eravate avvantaggiati. La prossima volta si gareggia sottacqua».

«D’accordo, Rena – le concesse Maj, con il grasso della pancia che tremolava per i saltelli di gioia -, i prossimi alieni in visita ce li giochiamo a casa vostra. Intanto propongo di spaventarli un po’. Noi saremo i cattivi e voi i buoni. Noi solleticheremo il vulcano, lo faremo tremare un po’, usciremo dalla bocca centrale volando minacciosi. Loro se la faranno sotto. A quel punto interverrete voi, ci lancerete addosso i ricci di mare, così poi li useremo per condire le frittate di uova di tartaruga, che ci gusteremo in santa pace mentre voi scarrozzerete gli ospiti per la vostra città».

«Non è giusto – protestò Rena Mur – vi mangerete tutte le frittatine senza di noi!».

«Avete perso la scommessa – a noi le frittate con i ricci, a voi la diplomazia!”, rise Maj e se ne volò via, seguito dai suoi compagni».

Koala

Nel bar di Opossum, dopo i primi istanti di terrore, Arianna e Barry avevano ascoltato il racconto di Maj Alitur ed erano perfino riusciti a ridere insieme a lui per lo scherzo. Antenore e Clara li avevano raggiunti, e sedevano tutti e cinque allo stesso tavolo a mangiare gelato microvaporoso al popone koaliano. All’improvviso l’investigatore si fece pensieroso e domandò al deltoide purpureo da dove provenisse la striscia di stoffa con cui avevano gareggiato con i submarini.

«È un dono di un terrestre, ospitato da noi qualche tempo fa. Lui la teneva attorno al collo. Per noi è stato un dono prezioso, ma a lui non dev’essere costato molto. Ne aveva una valigia piena!».

«Come si chiamava?», chiese eccitatissimo Antenore.

«Alfonso. Un tipo un po’ serioso, un cervellone in fuga dal suo mondo, dove non era abbastanza apprezzato».

«Non è vero!  – esclamò Arianna – Il professor Alfonso Marzi è molto stimato sulla Terra per le sue ricerche. Per questo è importante che torni! Deve concludere il progetto a cui stava lavorando».

«Così mi disse lui  – fece spallucce Maj Alitur –  e, comunque, a quale progetto stava lavorando?».

Nessuno sapeva rispondere alla domanda. La questione era un segreto interstellare. Lo Stars non lasciava trapelare nulla.

Antenore sembrava sollevato: «Quindi non mi ero sbagliato! Avevo interpretato bene l’indizio della scarpa rossa tatuata sull’ippocastano».

«Quale tatuaggio? Quale ippocastano», chiese Maj, azzannando un bombolone al pistacchio blu.

L’investigatore, aiutato dai suoi amici, raccontò tutto al deltoide, che scoppiò a grugnire divertito:

«No, no… La scarpa rossa non doveva portarvi da noi sulla Luna delle Isole. Piuttosto dovrebbe indirizzarvi verso la meta finale di Alfonso. Lui era in viaggio con un teletrasporto scassato che non era più in grado di portarlo direttamente dalla Terra al pianeta che voleva lui. La nostra Luna era solo una tappa lungo il tragitto. E il fatto che ci siate capitati anche voi e che poi mi abbiate incontrato qui a Koala a raccontarvi della striscia di stoffa sono tutte fortunate coincidenze».

«Sì, ma tu sai su che pianeta era diretto? Qual era la sua meta finale?», domandò trepidamente Arianna.

«Certo che lo so! Ma non ho intenzione di dirvelo – rise Maj – perché ho l’impressione che il mio amico Alfonso non desideri essere ritrovato così presto. Comunque, attorno a questo tavolo c’è un’altra persona che lo sa e tace. O, per lo meno, c’è qualcuno di voi che ha sicuramente capito il significato di quel tatuaggio, quindi può intuire quale sia il pianeta agognato dal professore. Io non voglio dirvi altro. È stato un piacere rivedervi».

Così dicendo, il deltoide purpureo si alzò, abbracciò a due a due gli amici. Con un bacio sporcò di pistacchio una guancia di Clara, e forse per questo la ragazza era arrossita. Poi, uscì, spiegò le ali e scomparve nel cielo verde di Koala.

IL DIRETTORE DELLO STARS

Quella sera i quattro amici erano a tavola, a bordo dell’astronave.

Il primo a parlare fu il Barry di sempre, quello allegro e sorridente:

«E adesso dove si va?».

«Non è questo il primo dei problemi che dobbiamo affrontare», rispose brusco Antenore.

«E quale sarebbe il primo?», intervenne Clara.

«Chi è il traditore fra noi?», chiese l’investigatore guardandola dritta negli occhi.

«Chi ti dice che ci sia un traditore? Quel maialone mi sembrava completamente svitato», commentò il cameraman, senza perdere il suo buon umore.

«Eppoi non è detto che si tratti di un traditore – fece notare Arianna -. Potrebbe essere anche uno che sa qualcosa senza rendersi conto che si tratti di un elemento importante».

«E questo qualcuno sei tu?» – la interrogò nervosamente Antenore.

«Io? Beh, allora potresti anche essere tu!», replicò lei.

«No, io no. – alzò la voce l’investigatore battendo i pugni sul tavolo – E smettila di giocare con quel cavallino alato che tieni al polso da qualche giorno. Da dove salta fuori? Perché ci tieni così tanto? Continui a guardarlo. Chi te l’ha regalato?».

«Questo non c’entra!», protestò Arianna con le lacrime agli occhi, mentre si alzava di colpo e se ne andava.

«Contento? L’hai fatta piangere, razza di primitivo!», lo sgridò Clara e seguì l’amica.

«Se ne sono andate – notò serafico Barry – Secondo te posso mangiare anche i loro dessert?».

«Ma quanto mangi?», rispose Antenore.

«Quanto basta per nutrire il cervello tanto da capire che non avresti dovuto alzare la voce e percuotere il tavolo».

«Ma va’ al diavolo anche tu!», concluse il giovane terrestre andandosene via arrabbiato.

«Oh, beh, un altro dessert in più per me», borbottò fra sé il cameraman, che sapeva cogliere il lato positivo di ogni cosa.

Un’ora più tardi raggiunse Clara in camera sua. La trovò pensierosa:

«Tu sai, Barry, a chi si riferiva Maj Alitur?».

«Sì – le rispose lui -, e ti ripeto ciò che ti ho già consigliato tante volte. Sono stato zitto, ho mantenuto il segreto come mi avevi chiesto, ma ora tu dovresti proprio parlare con Antenore ed Arianna. Se lo scoprissero da soli, sarebbe ancora più difficile perdonarti per averglielo nascosto. E forse non riuscirebbero a perdonare nemmeno me».

Clara lo guardò con tenerezza e gli buttò le braccia al collo, baciandolo sul nasone.

«A proposito – la interruppe lui – ma è vero che trovi eccitante la mia proboscide?».

«Mi fa impazzire!», sussurrò lei, cingendogli i fianchi con le cosce.

In quel momento squillò l’interfono.

«Uff, chi è che rompe?», si spazientì Barry, mentre Clara rispondeva.

Era Antenore, diceva che il direttore generale dello Stars s’era appena teletrasportato a bordo: “Dovete venire anche tu e Barry ad accoglierlo!”.

Dieci minuti dopo Clara, Barry e Antenore camminavano spediti lungo il ponte numero 7, verso la sala riunioni.

«Arianna deve averci preceduti», spiegò Antenore, aprendo la porta.

Quello che videro nella stanza li lasciò senza fiato.


Cinque minuti prima

Arianna, con gli occhi lucidi e il nasino rosso per il pianto bussò alla porta della saletta riunioni. L’avevano avvisata che qualcuno di molto importante desiderava vederla.

«Avanti!».

Il cuore le balzò in petto. Riconosceva quella voce!

Entrò e si trovò davanti proprio lui: Luigi Bellini, il dentista dell’abbraccio avvolgente.

«Arianna, tesoro!”

“Luigi! Che ci fai tu qui?».

Il dentista le corse incontro, stava per raggiungerla e abbracciarla, quando s’accorse che lei aveva pianto. Per l’agitazione calcolò male le distanze e le pestò un piede.

«Ahi!».

«Oh, scusa, scusa, sono un disastro. Ma tu hai pianto! Cosa succede?», le chiese prendendole il viso con entrambe le mani.

Arianna non rispose. Semplicemente ricominciò a lacrimare copiosamente. Non sapeva neanche lei perché. Forse ancora per la sfuriata di Antenore, forse per la stanchezza, oppure per la gioia di rivedere Luigi, o per il pestone terribile sul ditino del piede sinistro.

Luigi non aspettò che lei gli rispondesse. Sapeva perfettamente cosa si deve fare con le ragazze che piangono: bisogna baciarle. E basta!

Fu un bacio lungo, fra i più belli delle loro vite. Lui sapeva di essere innamorato di lei fin dalla prima sera in cui erano usciti insieme. Era lì per questo.

Arianna invece era sconvolta. Il dentista le faceva di nuovo sentire le farfalle nello stomaco come prima di partire per lo spazio, ma lei stava con Antenore, gli voleva bene, le piaceva, era divertente e un fantasioso amatore. Non poteva baciare Luigi!

All’improvviso la porta s’aprì.

SORPRESA

Sulla soglia della porta, Antenore, Barry e Clara erano a bocca aperta.

Stavano guardando Arianna abbracciata ad una persona che di sicuro amava molto. Era una signora molto anziana con un sorriso splendido: nonna Elisa.

Vicino a loro un uomo allampanato dall’aria vagamente imbarazzata.

Antenore si fece avanti per primo:

«Nonna Elisa, che sorpresa! Sono Antenore, il fidanzato di sua nipote!».

«Ah! – esclamò stupita lei, che un minuto prima era entrata nella sala riunioni mentre Arianna e Luigi si baciavano – Che ragazzo fortunato!».

Sentendo pronunciare la parola “fidanzato” il dentista era impallidito. Il mondo gli stava crollando addosso. Poi lo sguardo gli cadde sul braccialetto che aveva regalato alla giornalista e pensò che non tutto fosse perduto: c’era ancora una speranza di riconquistarla!

«Lei è il direttore generale dello Stars?», domandò Barry.

«No – intervenne Arianna. Lui è il nostro dentista, Luigi Bellini. Il direttore dello Stars è Giacomo Bellini, suo fratello»,

Il dottor Bellini si scosse dai propri pensieri e la corresse: «Veramente, Arianna, io sono Luigi Giacomo Bellini, odontoiatra e direttore generale dello Stars».

Questa volta a rimanere a bocca aperta fu la giornalista, mentre nonna Elisa le accarezzava i capelli.

«Vi ho raggiunti, portando con me la nonna, ehm… la signora Elisa, perché ho il presentimento che possa essere determinante per imprimere una svolta decisiva alle indagini».

«Lei è un sensitivo? – domandò Clara – come mai questa intuizione?».

«Ehm… perché me l’ha detto lei».

«Lei chi?» chiesero in coro Arianna, Clara, Barry e Antenore.

«Lei, la signora Elisa».

Elisa rise: «Sì, mi sono aggregata al direttore generale, perché sono convinta abbiate bisogno dell’incoraggiamento di una nonna».

Arianna, travolta dalle sorprese, dalla pestata di piede, dal bacio di Luigi Giacomo dall’aver scoperto che il suo dentista baciatore era il direttore dello Stars e dalle carezze della nonna, si accorse di giocherellare di nuovo con il pendaglio del braccialettino. Lo osservò, ed ebbe un’improvvisa illuminazione:

«Nonna, Hai presente quel tuo quadro, con un cavallo alato che volava in un cielo arancione sopra una campagna variopinta? Io l’ho visto quel quadro».

«Ma certo, cara, che l’hai visto: da bambina lo osservavi per ore, con aria sognante».

«No, non mi sono spiegata: io l’ho visto sul serio, dal vivo, sul pianeta Alilà».

«Ah! Che stranezza! – esclamò Elisa – certo che piacerebbe anche a me fare una capatina su quel pianeta».

«Appena avremo risolto il caso dello scienziato scomparso, ti ci porterò», promise Arianna, stampando un bacione sulla guancia profumata della nonna.

Il direttore generale dello Stars convocò una riunione per la mattina seguente, per stabilire tutti insieme come procedere nelle ricerche.

Quindi si diedero la buonanotte.

Uscendo dalla stanza, nonna Elisa passò vicinissima ad Antenore e gli sussurrò: «Io so molte cose su di te. Per esempio, so che tu sei sempre stato un imbranato con le donne. Vedi di comportarti bene con la mia nipotina, o dovrai fare i conti con me!».

Quella notte, quasi nessuno dormì: Arianna pensava con sensi di colpa al bacio con il dentista, il dentista pensava a come prevalere sul rivale investigatore, l’investigatore pensava alle parole della nonna, la nonna pensava ad un cavallo alato.

Quanto a Clara e Barry, non è dato sapere con esattezza cosa successe nel loro letto, né sul tappeto, né sotto la doccia, né sul divano, né sul cassettone, né di nuovo sul letto.

Fatto sta che alle 8.00 in punto del giorno seguente si ritrovarono tutti un po’ sbattuti e scompigliati in sala riunioni.

«Rimane un mistero il perché il professor Marzi sia ossessionato dalle cravatte. Soprassedendo momentaneamente su questo punto oscuro, secondo me dobbiamo ripartire dall’incisione sull’ippocastano di Alberonia –esordì il direttore generale dello Stars -. Che significato può avere la scarpa rossa col tacco alto?».

«Secondo me – aggiunse Antenore – dobbiamo approfondire anche un altro aspetto: la strana allusione di Maj Alitur: chi di noi sa dove si è rifugiato il professor Marzi e non lo vuole dire?».

«Ragazzi cari – sorrise nonna Elisa – mi sembrate tutti molto inesperti. Avete due domande importanti, quella appena rammentata da Luigi Giacomo e quella sollevata da Antenore, più una: chi era l’uomo misterioso che ha regalato a uno di voi la cravatta con le rane verdi? Ora, ragioniamo: queste tre domande hanno un elemento in comune? Chi è che ha ricevuto in dono la cravatta e che porta scarpe rosse con il tacco e che era tra i presenti alla dichiarazione di Maj Alitur?».

Tutti gli occhi erano puntati su Clara.

 

Due mesi prima su Ilarius

Una bella ragazza slanciata stava uscendo dall’Accademia, circondata dagli amici che la stavano festeggiando non senza il consueto pessimismo: si era appena laureata in scienze interstellari della comunicazione babelica.

«Sì, ma non troverai mai lavoro, purtroppo», commentò un compagno di studi della bella festeggiata.

«Sempre sperando che almeno la salute non t’abbandoni», rincarava la dose un altro.

«Scusami – le chiese un forestiero con una strana striscia viola e verde annodata attorno al collo e una grande valigia con sé –, posso dirti che mi piacciono molto le tue scarpe rosse? Anzi, le amo».

La ragazza lo guardò sorpresa. Era un tipo interessante, con un viso intelligente, un’espressione aperta, lo sguardo intenso che sosteneva il suo con complicità. Lei capì che lui sapeva, conosceva la provenienza delle sue propaggini scarlatte.

Lo sconosciuto sembrò leggerle nel pensiero e sorrise: «Amo quel luogo! Sono diretto proprio lì. Però è strano. Le donne del posto sono sempre allegre, e tu sei bellissima come loro, ma così triste! Come mai?».

Lei alzò le spalle. Non sapeva spiegare il motivo della propria malinconia.

«Hai una bella cosa attorno al collo!», notò, indicando la cravatta dell’uomo.

Lui, senza esitare, si slacciò l’accessorio sgargiante e lo porse alla ragazza dal viso pensieroso.

«Grazie! Posso tenerla davvero?», esclamò lei commossa, accarezzando il nastro di seta viola a ranocchie verdi.

«Sì, tieni tu questa cravatta. A me ha cambiato la vita. Porterà fortuna anche a te».

«Grazie – rispose la ragazza – Ma come ti chiami?».

«Mi chiamo Alfonso. Però, per favore – le raccomandò lui – non dire a nessuno che mi hai incontrato e soprattutto non rivelare a nessun terrestre dove sono diretto».

«Non preoccuparti – lo rassicurò lei –  Sono famosa per saper mantenere i segreti! Il mio nome è Clara».

Clara si legò i capelli con il dono ricevuto da Alfonso e pensò: «Una striscia di stoffa per cambiarmi la vita? Forse allora dovrei usarla come cintura». Scoppiò a ridere.

«Oddio! Ti senti male?», si angosciò un’amica che le camminava dietro.