Tratto da Cuore misterioso, racconti scritti da Luigi Cozzi, il quale ci ha gentilmente concesso il diritto di pubblicazione.

Ringhiando, le ombre uscirono dalla notte per circondarlo e divorarlo, protendendo le lunghe braccia di tenebra con gli aculei di fuoco, ma lui, il Viaggiatore, non si lasciò cogliere di sorpresa da quell’assalto e d’improvviso si eresse in tutta la sua maestosa figura, dispiegando completamente le ali di porpora e sprizzando al sicuro alto nell’aria, ben oltre la portata delle brame assassine di quelle figlie della notte eterna. Lassù, lui volteggiò a lungo su di loro, irridendole, e le ombre emisero un urlo di rabbia che esprimeva insieme tutta la delusione e l’impotenza.   

“Stupide bestie,” le schernì lui, ridendo. “Vi illudevate davvero di sorprendermi con tanta facilità? Invece, i miei sensi percepiscono molto più lontano di quelle che avete voi e le mie ali mi possono trasportare in un attimo là dove mai neppure in una vita intera voi riuscirete a giungere. Nel mio lungo cammino io ho imparato infatti a guardarmi da pericoli ben più insidiosi dei vostri miseri artigli, e tutti io li ho superati, e nessuno mi ha mai fermato. Quindi calmatevi, stupide bestie ottuse, e rassegnatevi e tornate alla notte della quale siete figlie spurie. Io non sono la preda di cui vi sfamerete.”

Ma le ombre non gli diedero retta. Si ostinarono a tentare ancora di ghermirlo. Spiccarono balzi sempre più alti e audaci, ma non giunsero mai anche solo a sfiorare i piedi del viaggiatore alato che troppo si librava al di sopra di loro. Alla fine, vi dovettero rinunciare. Strisciando, rientrarono nella notte fonda dalla quale erano uscite, e ombre e tenebre tornarono a essere una cosa sola.

Lui non scese.

Un’ombra, infatti, non aveva seguito le altre, non le aveva imitate. Se ne rimaneva ancora lì, al suolo, immobile, in attesa. Ed era anche l’unica che non si fosse svilita in balzi vani e inutili, la sola che sembrava essersi resa conto fin dall’inizio dell’impossibilità di ghermire la preda con le ali.

Ma allora perché se ne restava ancora immobile, così acquattata nella notte, come in attesa?

“Non illuderti che io ceda al tuo inganno, bestia ottusa,” la apostrofò il Viaggiatore, continuando a volteggiare nell’aria nera sorretto dalle grandi ali. “So dove sei celata, e ti avverto che la tua attesa si rivelerà vana. Né l’astuzia tua né la violenza cieca delle tue compagne predatrici potranno mai nulla contro di me.”

Nella notte balenò un sogghigno e l’ombra si staccò dalle tenebre e si protese verso di lui. Ma non mostrava gli artigli.

“Non giudicare tutte le ombre dalle poche che hai appena conosciuto. Queste sono giovani e stolte e impulsive. Ma le altre, come me, sanno molto di più e conoscono anche dei modi.”

“Che intendi con modi?”

“Modi che ti possono fermare. Modi che ti possono fare abbassare.”

“Davvero? E quali?”

Il Viaggiatore veleggiava nell’aria, incredulo e irridente.   

“Emanazioni di calore,” rispose l’ombra. “Scintille sprizzanti, per esempio. No?”

“Un fuoco?” C’era un lieve tremolio adesso nella voce del Viaggiatore.

“Un fuoco.”

L’incredulità si sostituì al timore.

“Voi ombre non lo sapete evocare, un fuoco.”

“La maggior parte di noi no, hai ragione, Viaggiatore. Ma qualcuna sì. Io, per esempio. Io so come preservare la scintilla che sgorga dal cielo e dalla terra nelle ore di tempesta. E potrei averne conservata una apposta per te. “

Il Viaggiatore si mantenne calmo e sicuro, ma si librò lievemente più in alto.

“Non mi fermeresti lo stesso,” disse. “Potrei salire ancora…”

“Questa gola è angusta e le pareti vicine. Le tue ali sono più deboli di quanto sembrano e non ti sosterranno a lungo. E io so dalla saggezza degli antichi come si possono evocare fiamme abbastanza lunghe affinché ti ghermiscano, e so dall’esperienza degli antichi come bloccare le vie che ti potrebbero fare fuggire. O non mi credi?” concluse l’ombra, con pungente ironia.

“Come sai tutto questo?” domandò il Viaggiatore; c’era preoccupazione nella sua voce, e anche un fremito di paura.

“L’ho sentito dire e l’ho visto fare dai padri dei padri dei padri dei miei padri. Sono molto vecchia, lo sai. E c’era un tempo, nel tempo dei tempi, in cui i tuoi simili si spingevano spesso fino a questa gola. E a molti di loro le ali sono state bruciate e i loro corpi sapientemente abbrustoliti sono serviti a nutrire i nostri piccoli, e io un tempo ero proprio tra costoro.”

Il Viaggiatore era confuso.

“Ma allora…perché non l’hai fatto, se davvero puoi fermarmi?  Se quello che dici è vero, forse ci saresti riuscito…”

“Non desidero fermarti.”

“Come?”

“L’hai sentito. Non desidero fermarti. Voglio lasciarti passare e voglio sentirti tornare. Solo allora, infatti, potrò sapere.”

“Sapere che cosa?”

“Quello che anche tu vuoi sapere.”

Il Viaggiatore era sinceramente e profondamente stupito.

“Anche tu dunque, anche tu semplice ombra, anche tu…”

“Anch’io,” concluse l’ombra per lui. “Anch’io voglio sapere. Conoscere ciò che tu sai.”

Il Viaggiatore esitò, sospeso nell’aria. Poi la disse, quella parola:

“L’aurora?”

“L’aurora.”    

Tacquero a lungo entrambi. Tacque il Viaggiatore per lo stupore e tacque l’ombra per l’attesa. Poi:

“Vuoi dunque che ti riferisca,” disse il Viaggiatore, “quando tornerò passando per questa gola?”

“Esatto. Se tornerai, naturalmente.”

“Ma come puoi essere sicuro che io stia andando davvero a cercare l’aurora? Come lo puoi?”

“Chi passa di qui, cerca solo l’aurora. Che torna di qui, ha trovato solo l’aurora.”

“Altri sono già tornati?”

“Passati, sì. Tornati, mai.”

Di nuovo, il silenzio tra loro. Poi il Viaggiatore scese lievemente senza avere più paura dell’ombra che l’attendeva.

“Se vuoi sapere,” domandò il Viaggiatore. “Perché non vieni anche tu?”

“Io ho sete di sapere, certo,” disse l’ombra. “Ma questa sete in me non è più forte di quella della vita, alla cui fonte desidero abbeverarmi per molto tempo ancora. Per questo, sarai tu solo ad andare, e a riferire, se tornerai.”

“Tornerò.”

“In molti hanno detto questa parola. Ma non l’hanno mai attuata.”

Il Viaggiatore non conosceva più la paura, dopo un viaggio che già era stato tanto lungo.

“Troverò l’aurora che si erge oltre questa gola.”

“Può darsi che un’altra gola ti attenda oltre questa, e poi un’altra ancora. Nessuno sa dove sia l’aurora.”

“Nessuno sa neppure che cosa sia, l’aurora,” convenne il Viaggiatore. “Tu per esempio, come te la immagini, l’aurora?”

“Per me essa è ancora e solo un nome. Ma certe leggende dicono che l’aurora è un fuoco tanto grande che può diradare le tenebre e la notte, e che è una fiamma tanto forte che può restare accesa ed emettere calore…”

“Tutte le genti hanno in comune la leggenda dell’aurora,” disse il Viaggiatore. “Quindi, qualcosa deve esserci di vero.”

L’ombra annuì.

“La mia gente,” disse, “vive a guardia di questa gola dal tempo dei padri dei padri dei padri. Che cosa guardiamo, nessuno lo sa, ma tutti rispondono: l’aurora. E per questo continuiamo a vegliare sulla gola. L’aurora è solo una parola che può voler dire molte cose, ma essa sola è l’aurora.”

Il Viaggiatore era d’accordo.

“Noi usiamo le ali,” disse, “per vegliare sui grandi fanghi e impedire che le creature blasfeme si spingano oltre le terre che scivolano da sole. E anche noi vegliamo da un tempo senza tempo e su che cosa vegliamo, nessuno bene lo sa, ma tutti rispondono: sull’aurora.”

“La notte che ci avvolge ha mille occhi,” disse l’ombra, “ma tutti questi occhi sono fissi su una cosa sola, l’aurora. E nessuno finora può voltarsi a raccontare come l’ha vista.”

“Ciò che dici è vero,” disse il Viaggiatore. “Per venire fin qui, ho incontrato genti e creature di cui tutto ignoravo, perfino l’esistenza. Ho superato esseri che ti avvolgono nelle spire lungo i sentieri tra le masse vegetali, e ho visto volare le grandi aquile di metallo dagli artigli d’oro e dalla testa di leone, le aquile che calano su chi si spinge troppo oltre per i passi ammantati di neve, e ho evitato i mostri squamosi che emergono ringhiando dalle acque eterne per ghermire chi cerca di guadarle, e ho conosciuto altre e altre creature ancora, e tutte sono intente a vegliare su qualcosa, e nessuna sa esattamente su che cosa, ma tutte rispondono: l’aurora.”

“L’aurora…”

“L’aurora è una parola.”

“Una bella parola.”

“Una parola di cui io ti rivelerò ogni cosa,” concluse il Viaggiatore, “quando l’avrò incontrata e tornerò volando per questa gola.”

L’ombra sorrise e si ritirò fino alle propaggini della notte, lasciandosene lentamente riassorbire.

“Passa pure, Viaggiatore. Ma attento: il tuo cammino non è concluso. Incontrerai altra gente che veglia anch’essa sull’aurora.”

“Supererò queste nuove genti come ho superato te e mille altri ostacoli ancora, e finalmente i miei sensi abbracceranno l’aurora.”

“Allora vai, Viaggiatore,” lo salutò l’ombra, svanendo nella notte. “Non fare attendere l’aurora.”

Il Viaggiatore rimase solo.

Ma non esitò. Guizzò via, nell’aria, e si inoltrò nella gola.

Il Viaggiatore viaggiò a lungo e poi ancora. Uccise draghi e affrontò giganti e sconfisse elfi e giocò d’astuzia i mostri e sfuggì agli orchi e si librò alto sulle serpi traditrici, e i pericoli aumentavano mano a mano che procedeva, e ogni minaccia sembrava l’ultima ma si rivelava solo come la prima di una nuova e apparentemente interminabile sequenza. Ma il Viaggiatore aveva coraggio e fede e superò ostacoli e avversità e nemici e tranelli e deviazioni e inganni e delusioni ed effimeri entusiasmi, e riuscì sempre a proseguire e tante nuove creature incontrava, altrettante ne scopriva che stavano tutte a guardia di qualcosa, e nessuna sapeva di che cosa, ma tutte rispondevano: l’aurora.

L’aurora.

Una parola.

Ma che cosa voleva veramente dire, questa parola?


Finché un giorno, come sempre succede, il Viaggiatore non giunse davvero alle soglie dell’aurora, e davanti a lui non c’erano più cammino e fatica ma solo l’arrivo e il riposo, e tutto intorno a lui era diverso da come se l’era atteso e non c’erano paradisi radiosi o fontane meravigliose, ma solo rovine, rovine di una cosa che non poteva naturalmente essere l’aurora, ma che era un insieme di cose grandi e tutte vuote e silenziose e deserte, e che lui non lo sapeva, ma un tempo avevano avuto un nome, e questo nome era stato case.

Lui però l’ignorava, ma di una cosa era comunque sicuro: quella rovina non poteva di certo essere l’aurora.

Lui, per la verità, era nel frattempo molto cambiato. Mutato. Era infatti diverso da colui che era partito; era colui che era arrivato, ed era tanto lontano da colui che era partito quanto entrambi lo erano da colui che aveva viaggiato. Tre persone che erano una sola ma anche nessuna.

Una sola cosa avevano tutte e tre in comune: il desiderio di conoscere finalmente l’aurora.

Ma poiché lui da solo non avrebbe mai potuto pretendere di riconoscere l’aurora, allora fu l’aurora che venne incontro a lui e gli si rivelò in tutto il suo splendore.

Ma prima, prima ancora accadde qualcosa.


Era una cosa che si muoveva da sola e che uscì da un’altra cosa molto più grande e scivolò fino a lui per dirgli qualcosa.

“Salve, Viaggiatore,” fu ciò che disse quella cosa.

Lui fissò l’oggetto che gli si era fermato davanti e, se fosse vissuto qualche milione di anni prima, l’avrebbe riconosciuto per un automa. Ma poiché il suo tempo era quello che era, alla fine del tempo, lui non riconobbe la cosa e si limitò a pronunciare una domanda sola:

“Sei tu l’aurora?”

“No.”

Lui rimase deluso, ma anche sollevato. Era certo che quella cosa non poteva essere l’aurora: ma allora, che cos’era?

“Cosa sei?”

“Un automa.”

Lui tacque. Quella risposta non aveva chiarito nulla, ma questo discorso minacciava di portarlo verso strade che non lo interessavano. C’era una cosa, una cosa sola che lui voleva veramente sapere.

“Allora…almeno sai dirmi dov’è, l’aurora?”

“Non è questa la domanda,” rispose l’automa che aveva atteso per molto di più di quanto il Viaggiatore avesse viaggiato.

“E qual è, allora?”

“La domanda giusta è: che cosa è l’aurora?”

“Che cosa è l’aurora?”

“L’aurora,” rispose la macchina che aveva saputo preservarsi da sola oltre ogni limite di preservazione. “È qualcosa che non è una cosa.”

“E che cos’è, dunque, questa cosa che non è una cosa?”

“È una cosa che è l’aurora, e cioè quella cosa che è l’opposto del momento in cui noi ci troviamo ora.”

“E in quale momento ci troviamo noi ora?”

“È il momento del tramonto, un tempo che è molto lontano dall’aurora.”

La delusione esplose nel Viaggiatore con la forza di una diga che crolla, sopraffacendo ogni argine e resistenza. “Tu dunque proclami che il mio grande travaglio è stato vano?”

“Nulla è mai inutile e vano,” rispose l’automa, “ma è certo che se è solo l’aurora che tu cerchi, allora avresti potuto restare ad attenderla nel tuo regno di sogno, perché infatti ora essa, l’aurora, sta per recarsi da ciascuno di voi. È infatti finalmente giunto il tempo dell’aurora, e tu sei fortunato perché potrai ammirarlo da qui, proprio da qui dove un tempo si generò l’aurora.”  

Il Viaggiatore appariva sempre più sconcertato.

“È giunto il tempo dell’aurora? Ma se hai appena detto che è il momento del tramonto…”

“Alla fine di ogni tramonto, giunge sempre l’aurora.”

“Non ti capisco, ma comprendo almeno che sto per conoscere l’aurora. E che anche gli altri la conosceranno con me…”

“Sì, la conosceranno. E sarà la prima cosa che finalmente scopriranno e anche l’ultima e la definitiva, poiché il fulgore dell’aurora annienterà ogni cosa.”

Il Viaggiatore non capiva più.

“Fulgore?”

“Fulgore. L’aurora è fulgore e luce radiosa.”

“Luce?”

“Luce. Non conosci la luce?”

“Non conosco la luce,” ammise il Viaggiatore, sconcertato. Luce era per lui una parola di cui ora per la prima volta apprendeva il suono.

“Luce vuol dire qualcosa di più del bagliore di mille fuochi che illuminano la notte.”

“Illuminano?”

“Non comprendi davvero?”

“Non comprendo,” ammise il Viaggiatore. “A meno che… ma no, mi sembra impossibile. La notte è solo notte. Non può esistere questa cosa che chiami luce e di cui mi racconti. Non può.”

“Esisteva un tempo, e poi si è assopita e spenta. L’hanno aiutata a smorzarsi… ma ora sta per risplendere di nuovo. La luce sta per tornare. Sta infatti per sopraggiungere l’aurora. Sei fortunato, Viaggiatore. Questo è il luogo dove meglio di ogni altro si vedrà l’aurora.”

“Fortunato?” il Viaggiatore rabbrividì. “Questa luce che tu dici che giunge con l’aurora…mi fa orrore! Luce…”

“La notte incuteva orrore e provocava timore nel tempo prima del tempo dei tempi. La luce era splendore e fulgore. Ma ora finalmente le tenebre stanno per finire. La luce porterà pace e quiete e serenità a voi pallidi fantasmi. Nessuno dovrà più vegliare…”

“Vegliare…”

“Tutti voi vegliate da milioni di anni, e non sapete su che cosa.”

“Noi vegliamo…sull’aurora.”

“No. Voi azzardate una risposta che in realtà è solo una parola. Io solo so, e per questo ho atteso, poiché io solo ho l’incarico di parlare e di spiegare, ma anche questo soltanto nel gran giorno dell’aurora. Ora tu sei giunto e questo è proprio il giorno dell’aurora. Allora io finalmente posso divulgare la mia parola: voi vegliate su una cosa che in realtà non è l’aurora. Voi vegliate su una cosa che oggi tutti ignorano. Voi vegliate su quella cosa che un tempo era detta uomo.”

“Uomo?”

“Uomo. La bestia che ha creato tutte le altre bestie. La bestia contro la quale voi da secoli vegliate.”

“Ma come possiamo noi vegliare,” protestò il Viaggiatore, cercando di superare la confusione che stava ammantandogli la mente di spesse nuvole di incomprensione, “contro una cosa che ignoriamo… contro una cosa che chiami uomo e che, seguendo quanto dici, ci ha persino creato? E perché mai, poi?”

“Voi vegliate contro di lui perché contro di lui vi siete ribellati, e ora vegliate perché sapete che è lui che vi ha plasmato e creato e animato e perché sapete che, nel farlo, lui ha fatto sì che dentro di voi si tramandasse egli stesso. Dentro di voi, dentro ognuno di voi, dentro le forme più diverse di voi, ovunque c’è un uomo, una bestia sopita ma pronta a ridestarsi e a scatenarsi di nuovo, perché tutti voi, in tutte le vostre mille forme, tutti voi siete solo l’uomo.”

“Noi, l’uomo?”

“Voi, gli uomini. Mutati, cambiati, trasformati. Ma sempre uomini. Uomini.”

“E noi uomini veglieremmo dunque contro noi uomini?”

“Voi mostri vegliate contro voi stessi affinché l’uomo che c’è in ognuno di voi non si risvegli e non ritorni. Perché l’uomo non è creazione, ma distruzione.”

“Distruzione?”

“Prima del tempo dei padri dei padri dei tuoi padri questo era il migliore di tutti i mondi migliori, ma già l’uomo era la peggiore di tutte le bestie peggiori. Così dal tempo dei padri dei padri dei tuoi padri questo mondo è diventato il peggiore di tutti i mondi peggiori e l’uomo è la causa unica di questa rovina.”

“Come si può essere causa del proprio male?”

“La risposta l’hai in te e dentro di te, anche se raramente l’avrai udita, e questa risposta si chiama ira, ed essa è l’uomo, e la risposta si chiama furia, e anche quella è l’uomo, e la risposta si chiama malvagità, e pure questa è l’uomo, e la risposta si chiama violenza, e anche quella è l’uomo, e la risposta si chiama distruzione, e pure questa è l’uomo. E racchiudi tanta di questa risposta dentro di te, che non hai saputo reggere alla sua spinta e hai disertato la veglia dei tuoi simili per superare mille guardiani e giungere fin quassù e proprio nel giorno dell’aurora per presentarti davanti a me a reclamare le tue pretese di uomo. E io, che ti devo servire e non mi posso rifiutare, sarei costretto a condurti a ciò che vuoi, se tu non fossi arrivato con tanto ritardo: oggi è infatti il giorno dell’aurora, o primo degli ultimi uomini.”

“Io non sono un uomo, sono un volatore.”

“Ma dentro di te si è risvegliato l’uomo. I veri volatori sono quelli rimasti a vegliare. Tu li hai rinnegati e la tua guardia si è allentata e ne è riemerso il mostro che è detto uomo.”

Il Viaggiatore era sempre più sconcertato.

“E… e l’aurora?”

“L’aurora ci sta per illuminare. La grande aurora. L’ultima aurora. Anche questa provocata, predisposta dall’uomo, scatenata da energie che egli un tempo ha evocato e poi non ha saputo né voluto controllare.”

“Energie per… controllare l’aurora?” Il Viaggiatore era incredulo.

“No. L’aurora non si può controllare, ma solo provocare o affrettare e infatti adesso, dopo milioni di milioni di anni, la punizione si abbatte sui figli dei figli dei figli, e di nuovo colpisce soprattutto gli umili, quelli che non hanno colpa alcuna, com’è tipico di ogni disastro causato dall’uomo.”

“E da dove verrà l’aurora?”

“Sta già arrivando ed è da oltre un miliardo di anni che sta sopraggiungendo. Ma solo ora raggiunge l’estasi del vertice del suo fulgore. Solo ora sta per ritrovare il suo vigore che le concederà di balenare ancora. Soltanto ora…”

“Ma è già vicina, adesso?” il Volatore si guardò intorno. “La mia impazienza cresce…”

“È su nel cielo che ci circonda e adesso sta per superare le ultime nubi di cenere che ci sovrastano.”

“Cenere… cielo. Cielo?”

“Il cielo: l’azzurro oltre il nero che ci ricopre, la luce oltre il buio che ci ammanta dal tempo dei padri dei padri dei padri dei nostri padri. Il cielo. Alza la testa, creatura con le ali, uomo diabolico che ti celi nelle sembianze di un angelo per ossequiare una tua ultima, remota ironia o presunzione di chirurgia genetica intracellulare. Alza dunque la testa, o uomo, e spalanca i tuoi occhi.”

“Occhi?”

“Occhi. Oggi tu senti e percepisci grazie alle vibrazioni e alle eco, ma nel passato dei passati è esistito un altro senso che ora è andato perduto perché da sempre tutto è tenebra e ormai nessuno ha più nulla da vedere, ma questo senso un tempo c’era e si chiamava vista e la vista serviva per vedere per mezzo degli occhi… gli occhi che sorgevano lì in quel grande spazio vuoto che tu ora hai sopra alle labbra.”

“Ma poiché io non ho questi occhi che dici, come potrò dunque vedere l’aurora che arriva?”

     “La vedrai lo stesso. La luce di quest’aurora può essere vista anche dai ciechi. È troppo intensa ed è così radiosa che finalmente sta per fendere la cortina di cenere che ricopre la Terra d’un nero sudario e si appresta ad abbagliare la superficie di questo mondo che da milioni di anni ignora come sia la luce. L’aurora dunque sta per rivelarsi a tutti nel suo fulgore, e sarà così radiosa e intensa che non serviranno occhi per vederla, ma ciascuno la sentirà crescere prima intorno a noi e poi addirittura dentro di sé e infine ovunque e allora tutti finalmente conosceranno la risposta ed inneggeranno all’aurora…” L’automa protese una delle sue molte braccia di metallo verso il cielo nero come la notte e le tenebre e il Viaggiatore e la terra e tutto il resto. Ma ora, in quel nero tra il nero più nero, si poteva percepire qualcosa. Un pulsare, che equivaleva a un bagliore. “Ci siamo, uomo risvegliato! Sta arrivando l’aurora!”

Era vero. In pochi attimi, quel mondo nero e cieco da milioni di anni divampò per un incredibile bagliore, per una luce che rischiarava ogni cosa e la riscaldava e la pervadeva e la permeava e l’accendeva e la bruciava.

Alla fine del tempo, il sole moribondo e spento aveva emesso il suo ultimo bagliore, l’estremo sussulto del suo grande cuore nucleare. E così si era scatenata l’ultima reazione, l’ultima distruzione. Atomi e atomi si erano scontrati per l’ultima volta ed era avvenuta la conflagrazione conclusiva accelerata dalla guerra atomica che era stata dimenticata da tutti, meno che dagli atomi e dalle molecole e dallo spazio.

La trasformazione di una stella moribonda in una fulgida nova.

E così per l’ultima volta sulla Terra ci fu l’aurora.

 

  (Luigi Cozzi 1975)

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Attivo nel fandom fantascientifico italiano dalle sue origini, è il più famoso autore italiano di film; il suo film più famoso è forse Scontri stellari oltre la terza dimensione (1978). Nel 1962 aveva creato quella che è considerata la prima fanzine italiana del genere, Futuria Fantasia. Dal 1995, a seguito della scomparsa del cinema di genere italiano, si è dedicato attivamente alla gestione del negozio Profondo Rosso, inaugurato nel 1989 a Roma nel quartiere Prati.