La parola volò portata dal vento, si librò nelle piazze e si infilò nei vicoli, salì per tortuose scale e discese in umidi scantinati e ovunque fu ripetuta in coro da grandi e piccoli, gioiosi e festanti, che pregustavano il grande spettacolo. «Il falò! Il falò!»

Il falò.

Bruno sentì il grido arrivare da lontano, mentre era impegnato a risolvere un difficile problema. Come era possibile creare un trapano in grado di fare buchi quadrati? Qualcuno gli aveva detto che in un tempo lontano ciò era stato possibile, ma del come si era perso il ricordo, come di tante altre cose che erano state dimenticate dopo il Grande Cataclisma. Ma a Bruno piaceva pasticciare con strani marchingegni da lui ideati e sperava un giorno di riuscire anche a costruire la macchina che praticava fori quadrati.

«Il falò! Il falò!»

Il grido si avvicinava sempre più e Bruno uscì dallo scantinato in cui aveva creato un piccolo laboratorio recuperando pazientemente vecchissime attrezzature abbandonate da chissà chi almeno un secolo prima. Il suo pezzo forte era un trapano a mano da banco… che però faceva solo fori tondi, accidenti a lui.

Il grido si avvicinava sempre più e aveva qualcosa di ipnotico e di isterico che gli procurava un brivido di eccitazione, non disgiunto nello stesso tempo a una sensazione di timore. Eppure Bruno non aveva paura di nulla. Era alto e grosso per i suoi sedici anni e i coetanei avevano da tempo smesso di prenderlo in giro per la sua predilezione per gli attrezzi meccanici. Qualche muso ammaccato era stato sufficiente per convincere anche il dileggiatore più incallito.

Gli unici che gli incutevano un reverenziale timore erano i sacerdoti della Purezza. Per costoro solo i lavori agricoli erano degni dei veri uomini e guardavano con sospetto ogni tipo di macchinario o attrezzo metallico, ma visto che anche per l’agricoltura una buona zappa di ferro era più efficiente di una zappa di legno indurito erano disposti a lasciare correre… purché non si esagerasse troppo.

Bruno ricordava ancora con disagio le ore di religione a scuola. Quando il grifagno Dominus Picpus tuonava contro l’arroganza delle Scienza di un tempo che aveva osato sfidare il Signore del creato addirittura nel campo della Creazione. Una scienza che aveva prodotto l’olocausto batteriologico e la quasi distruzione del genere umano.

Perché la Scienza era il Male!

Da piccolo Bruno era arrivato a identificare la Scienza con un mostro dai lunghi tentacoli giallastri che si stendevano all’infinito in un cielo striato di violetto, un mostro che si infiltrava nelle case e colpiva donne e uomini, adulti e vecchi e bambini nel sonno coi suoi sudici tentacoli cosicché costoro non si risvegliavano più. E questa concezione della Scienza era più o meno condivisa da tutti, anche perché i Domini non facevano nulla per controbatterla. Anzi.

Ora però Bruno cominciava a pensare che la Scienza di una volta non fosse stata poi quell’orrore apocalittico descritto dai Domini. Un giorno aveva trovato in una vecchia cassa dimenticata un giornale di quelli che si facevano un tempo, con le illustrazioni, e sopra c’era l’immagine di una città assolutamente diversa dal paese in cui viveva, una città con case altissime e strani veicoli che sembravano procedere da soli per le strade senza essere trainati da cavalli o asini. Chissà perché aveva pensato che la Scienza avesse a che fare con la struttura di quella città e se ne era convinto ancora di più quando un giorno il Dominus Picpus l’aveva sorpreso a guardare quel giornale e alla vista dell’immagine riprodotta era esploso in un attacco di furia incontrollata al punto che Bruno aveva temuto di venire rinchiuso nel Purgatorio, il terribile correzionale in cui i Domini estirpavano le idee perniciose dalla mente dei giovani depravati.

Ed ecco in fondo alla via spuntare in quel momento l’avanguardia del corteo, composta da giovani allucinati che scandivano in coro «Il falò! Il falò!»

Davanti a tutti, agile come un furetto, correva Denis, il cugino minore di Bruno, che quando gli arrivò davanti gli gridò: «Vieni a vedere il falò! Oggi hanno trovato una cassa di libri scientifici!»

E pronunciò la parola scientifici come se fosse una di quelle parolacce che quando sfuggivano in casa si meritavano un’adeguata razione di cinghiate.

«Dove…» cominciò Bruno che avrebbe voluto chiedergli dove era stata ritrovata la cassa, ma Denis era già dieci metri più avanti a gridare a più non posso il suo richiamo «Il falò! Il falò!»

Gli urlatori erano ormai alla sua altezza e dietro di loro, trainato da un robusto cavallo bardato di nero, veniva un carretto a sponde alte che trasportava una catasta di libri. In piedi sopra il carretto, la scheletrica figura di Dominus Picpus avvolto nella sua tonaca bianca e nera dardeggiava attorno a sé occhiate cariche di livore e, quando il suo sguardo incontrò gli occhi di Bruno, la bocca gli si deformò in un ghigno diabolico che sembrava promettere punizioni esemplari. «Vieni a vedere, piccolo miscredente,» sibilò il Dominus. «Vieni a vedere come vengono distrutte le opere del Demonio creatore della scienza. Vieni e impara, perché un giorno anche le tue macchine infernali potrebbero subire lo stesso destino.»

Bruno provò un brivido e abbassò il capo, senza dire nulla. L’odio che il Dominus Picpus covava da sempre per lui gli era ben noto e sapeva che se non fosse stato perché sapeva rendersi così spesso utile riparando gli attrezzi dei contadini il Dominus l’avrebbe già convocato da tempo al Purgatorio.

Il corteo dietro il carretto era composto solo da un manipolo di ragazzotti esaltati e urlanti che passarono in fretta davanti a lui. La maggior parte della gente doveva essere ormai accorsa nella piazza grande dove si tenevano i falò purificatori. Sicuramente ben pochi avrebbero osato mancare di presenziare alla cerimonia.

Anche Bruno si accodò, senza sapere bene perché. Non certo perché temeva le ire del Dominus Picpus se non avesse presenziato e neanche perché gli facesse piacere vedere bruciare dei libri, anche se a dire il vero i pochi libri che i Domini permettevano di fare circolare erano opere di una noia mortale che parlavano solo della vita nei campi e dell’esaltazione della Purezza che combatteva la degenerazione della Scienza, il male dei mali, il Male assoluto.

Bruno sapeva leggere e gli sarebbe piaciuto anche leggere qualcosa di più utile che non quelle sciocchezze, magari un libro che spiegasse come trattare i metalli… o fare i fori quadrati, ma sapeva che quello era un pensiero eretico, perché si trattava di qualcosa che sia avvicinava pericolosamente al concetto di Scienza. Per lo stesso motivo a scuola non si insegnava volentieri a capire come funzionavano i numeri. Di solito la gente non sapeva contare al di là di venti, agevolata in questo dall’uso delle dita delle mani e dei piedi, ma Bruno era arrivato a sapere contare fino a quaranta, pur ignorando come si chiamassero in realtà quei numeri. Aveva scoperto che un sistema semplicissimo per farlo, e cioè ripartire dal primo dito dopo avere esaurito tutta la ventina. Gli era anche chiaro che una volta esaurita anche la seconda ventina si sarebbe potuto ricominciare con la terza ventina e continuare a procedere a quel modo con la quarta, la quinta e la sesta ventina e così via, ma indubbiamente da lì in poi sarebbe stato piuttosto difficoltoso continuare a tenere a mente le varie ventine. E poi, come fare una volta esaurita la ventesima ventina? Non aveva più altre dita a cui affidarsi e in ogni caso a quel punto la mente si smarriva e i numeri si confondevano in un turbinio di immagini di dita di mani e di piedi. Era però convinto che ci fosse un modo più pratico per tenere il conto ed era convinto che un giorno ci sarebbe arrivato. Forse. Se Dominus Picpus non l’avesse chiuso prima nel Purgatorio.

Quando arrivò nella piazza grande questa era gremita di gente che attorniava una grande catasta di legna da ardere, legna ben secca che avrebbe alzato allegre fiammate al cielo. Il Dominus Picpus era già sul podio e il suo sguardo grifagno scrutava la folla come per volersi accertare che non mancasse nessuno a quella cerimonia di purificazione.

«Vedrai che fiamme!» sogghignò Denis, accanto a Bruno. «Ci sarà da divertirsi. È passato tanto tempo dall’ultima volta che sono stati scoperti libri scientifici.»

Bruno gli rivolse un’occhiataccia. «Cosa ci trovi di così divertente a vedere bruciare dei libri? Non pensi che potrebbe esserci scritto qualcosa di utile? Almeno sarebbe il caso di esaminarli prima di bruciarli.»

Denis lo guardò inorridito, poi si guardò attorno con espressione terrorizzata, temendo che qualcuno potesse udire il cugino esprimersi in modo così palesemente blasfemo. «Ma sei matto?» gli sibilò a bassa voce. «Vuoi proprio finire al Purgatorio? Lo sai che il Dominus Picpus non spera altro.»

Bruno lo guardò con compatimento, ma preferì non compromettersi oltre. Dopo tutto anche di un cugino era meglio non fidarsi troppo.

«Peccatori…» esordì in quel momento il Dominus Picpus e si lanciò in una lunga e stridula requisitoria di cui Bruno non seguì una sola parola, tutto concentrato a seguire i giovani seguaci del Dominus che scaricavano i libri dal carretto per gettarli alla rinfusa sulla catasta di legna. Il tono del Dominus divenne sempre più stridulo e carico di livore contro tutti e tutto e Bruno capì che aveva terminato di parlare quando dalla folla si levò un boato assordante.

«Il falò!… il falò!… il falò!»  si mise a scandire ritmicamente la folla e tacque solo quando il Dominus Picpus sollevò un braccio per farla tacere.

«E falò sia!» pronunciò il Dominus.

Un accolito gli passò una torcia accesa e il Dominus la gettò sulla catasta di legna, che doveva essere stata imbevuta con qualche sostanza resinosa perché prese subito fuoco. «Brucia, Scienza immonda e diabolica,» sentenziò il Dominus con gli occhi sfavillanti. «Brucia nell’inferno e non tornare mai più ad appestare la terra!»

Le fiamme si levarono alte e presero a ruggire, alimentate da una leggera brezza, e le scintille si sparsero nell’aria, ricadendo sulla folla troppo vicina, ma così infervorata da non badare se qualche scintilla ustionava la pelle. «Brucia Scienza, brucia!» prese a cantilenare la folla.

«È meraviglioso!» esclamò Denis, estasiato, gli occhi ardenti di fervore religioso. «Sì, brucia Scienza, brucia!»

Bruno scosse la testa, ma non disse nulla. Non era il caso di compromettersi in quel momento di follia collettiva. Lo sguardo del Dominus Picpus spaziava sulla folla e sembrava guardare proprio nella sua direzione come per sfidarlo a pronunciare qualche blasfema affermazione. Naturalmente doveva trattarsi di una pura coincidenza, perché non era possibile che il Dominus l’avesse individuato in mezzo a quella folla caotica, ma Bruno non riuscì a scuotersi di dosso la fastidiosa sensazione di essere tenuto sotto osservazione.

«Il Dominus Picpus sa sempre tutto!» si diceva per le strade e nei negozi.

Le fiamme continuarono a ruggire a lungo e dalla legna passarono alla carta dei libri che si infiammò di colpo, qualche foglio di staccò e l’aria surriscaldata lo sollevò al di sopra delle fiamme, per poi ridiscendere su di esse o venire trascinato via dalla corrente e ricadere a terra dove qualche volenteroso lo raccolse per ributtarlo tra le fiamme. Ma anche quello spettacolo così esaltante per la folla raccolta doveva avere un termine e, quando della catasta di legna e di libri non rimase che un cumulo di ceneri fumanti, il silenzio calò tra la folla fino a pochi momenti prima così rumoreggiante.

«È finita!» disse Denis e pronunciò quelle parole come svuotato da ogni energia.

«Sì, è finita,» disse Bruno e sentì un groppo in gola.

La folla prese a disperdersi lentamente, in silenzio. Il momento di esaltazione collettiva era passato e sembrava essere subentrato uno stato di prostrazione inspiegabile. Nel giro di pochi minuti la piazza fu sgombra. Anche il Dominus Picpus era scomparso con la sua coorte di accoliti.

Stavano ormai scendendo le ombre della sera, ma Bruno non si decideva ad andarsene. Al riparo di un androne i suoi occhi continuavano a fissare i fili di fumo che si disperdevano lentamente nell’aria. Ci sarebbero volute parecchie ore prima che le ceneri si raffreddassero del tutto e fino all’indomani la piazza non sarebbe stata sgomberata dai resti.

Bruno non seppe per quanto rimase immobile in quell’androne, ma forse due o tre ore dopo, quando ormai le tenebre erano abbastanza fitte uscì cautamente dal riparo e si avvicinò a quel che restava del rogo.

Si guardò attorno. Non c’era nessuno. Tutti si erano rintanati nelle loro case per la cena e la piazza era deserta e silenziosa. Le ceneri emanavano ancora un calore intenso e Bruno le osservò con dolore e disgusto. Chi avrebbe mai potuto dire che cosa fosse stato distrutto con quel rogo? Quale sapere? Perché lui era convinto che la scienza non fosse affatto malvagia. Anzi.

Girò attorno al rogo senza sapere bene neanche lui perché lo facesse. Col piede smosse qualche blocco carbonizzato e irriconoscibile e qualche scintilla si levò ancora luminosa. Poi il suo sguardo cadde su qualcosa di bianco. Si avvicinò cautamente e scorse ciò che non avrebbe dovuto esserci perché non avrebbe dovuto sfuggire alla cerimonia della Purificazione.

Era un libro, un libro dai bordi carbonizzati ma che per qualche inspiegabile ragione era sfuggito alle fiamme. Forse le pagine non si erano aperte bene quando gli accoliti del Dominus Picpus erano passati con lunghi pali per smuovere i fogli affinché le fiamme potessero appiccarsi con facilità e il volume era così sfuggito in gran parte alla distruzione.

Bruno si sentì la fronte imperlare di sudore e il cuore prese a battergli all’impazzata. Quello era un libro proibito! Si guardò attorno: nessuno. Solo buio e silenzio. E allora, per la prima volta in vita sua, fece qualcosa di veramente blasfemo, perché la sua mano frugò tra la cenere incurante del calore e strappò quei fogli alla trappola mortale, se li infilò sotto la giacchetta per nasconderli alla vista di eventuali passanti e corse verso casa, terrorizzato per il gesto che aveva compiuto, ma esaltato dal pensiero di avere sfidato l’onnipotente Dominus Picpus.


Quella sera Bruno si sottrasse con una scusa alla cena in famiglia e scese nel suo laboratorio. Ripulì il banco degli attrezzi e vi posò sopra il libro proibito. Come aveva intravisto nelle tenebre della sera il volume era pressoché integro. Le fiamme lo avevano lambito solo ai bordi, facendo arricciare le pagine, alcune delle quali avevano assunto anche una tinta marroncina, ma se la copertina era irrimediabilmente rovinata il resto era perfettamente leggibile.

Lo sfogliò con cura, attento a non rovinare le pagine, alcune delle quali apparivano come indebolite dal calore e rese più fragili. Con un tonfo al cuore vide che c’erano numeri e disegni geometrici. Il frontespizio diceva Elementi di aritmetica e geometria.

Era proprio un libro scientifico, non c’erano dubbi. Uno di quei libri che costituivano la base del sapere di una volta. Le lacrime gli salirono agli occhi quando leggendo qualche pagina qua e là si accorse di non riuscire a comprendere che cosa voleva dire ciò che c’era scritto. Sembrava un linguaggio del tutto incomprensibile, un dialetto di una tribù sconosciuta. Ma forse, concluse poi saggiamente, sarebbe stato necessario leggere il libro dall’inizio e assimilare il contenuto riga per riga, pagina per pagina, sempre che fosse realmente all’altezza di capire quei concetti che a prima vista sembravano così ostici.

Una pagina colpì la sua attenzione nella seconda parte dedicata alla geometria. C’era l’illustrazione di una figura chiusa con tre lati che gli sembrò fosse chiamata triangolo. Anzi la scritta diceva triangolo rettangolo, ma non gli era chiaro che cosa significasse di preciso “rettangolo”. Comunque gli sembrò di capire una cosa che sembrava importante. Su ogni lato del triangolo era stato costruita un’altra figura con quattro lati chiamata quadrato e una lunga e complicata spiegazione che ci mise un po’ a comprendere diceva che le superfici dei due quadrati di lato minore sommate insieme erano equivalenti a quella del quadrato sul lato maggiore… o qualcosa del genere, insomma. Così a occhio non gli sembrava, ma se quello era un libro di Scienza gli sembrava improbabile che potesse mentire.

Rifletté a lungo sul titolo di quella sezione del libro: Teorema di Pitagora, ma la dizione non gli diceva nulla, né spiegava alcunché. A furia di guardare il disegno gli venne però un’idea. La figura riprodotta sul libro era piuttosto piccola e non adatta per l’esperimento che voleva fare, così liberò il tavolo di lavoro e preso un gessetto riprodusse la stessa immagine, ma in scala più grande. Quando ebbe finito rimirò soddisfatto la sua opera. Sì, l’immagine era proprio identica, solo molto più grande. Adesso gli serviva un’altra cosa e dovette salire in casa e sottrarre dalla dispensa un sacco di fagioli secchi, cercando di non farsi vedere dalla madre, perché non aveva nessuna intenzione di dare spiegazioni. Scese di nuovo nel laboratorio e, dopo avere scelto una montagnola di fagioli tutti delle stesse dimensioni, li dispose pazientemente uno accanto all’altro su uno dei quadrati più piccoli in modo da ricoprirne tutta la superficie; quando questa fu tutta occupata, fece la stessa cosa sull’altro quadrato piccolo.

Tirò un profondo respiro. Adesso era il momento della verifica. Mise da parte il sacchetto di fagioli e utilizzò solo quelli impiegati per ricoprire i due quadrati minori, con i quali ricoprì il quadrato più grande.

E meraviglia delle meraviglie… tutta la superficie del quadrato maggiore venne ricoperta con lo stesso numero di fagioli usati per i due quadrati.

Allora il libro non aveva mentito. Estasiato fissò la sua opera. Chi l’avrebbe mai detto? Un dubbio gli si insinuò a quel punto nella mente. E se fosse stato una pura coincidenza? Non c’era che un sistema, riprovare con un triangolo di dimensioni diverse.

Ormai aveva fatto pratica e il secondo esperimento si concluse molto più rapidamente. Il numero di fagioli impiegati per riempire i due quadrati minori della nuova figura risultò ovviamente diverso, ma anche in questo caso gli ci volle lo stesso numero complessivo di fagioli usati per ricoprire le superfici dei due quadrati più piccoli per ricoprire la superficie del quadrato maggiore.

«Allora è vero!» esclamò estasiato.

Era una scoperta meravigliosa, se non addirittura miracolosa, e quel pensiero richiamò alla sua mente l’immagine grifagna del terribile Dominus Picpus che tuonava contro la Scienza.

«Ma perché? Perché?» si chiese con le lacrime agli occhi. Perché i Domini volevano tenere nascosti quei concetti? Che male poteva fare quella figura con tre lati chiamata triangolo? Tutti pensavano che i Domini fossero depositari di grande saggezza, ma se prima Bruno aveva il sospetto che non fosse affatto così, ora era convinto che in realtà l’atteggiamento dei Domini fosse dovuto solo a un’abissale ignoranza se non alla volontà di tenere incatenato il popolo con credenze prive di ogni significato. Anzi, forse proprio la seconda ipotesi era quella giusta, perché si mormorava che i Domini fossero a conoscenza dell’ubicazione della Cripta del Sapere, dove erano racchiuse tutte le conoscenze di un tempo, ma nessuno aveva idea di dove si trovasse realmente questa Cripta del Sapere… e magari era solo una storia di vecchie comari.

Il teorema di Pitagora era accompagnato anche da una spiegazione chiamata “dimostrazione”, che faceva riferimento a un certo Euclide, ma tale spiegazione gli risultò troppo complicata e non riuscì a capirci alcunché. Non disperò però, di tempo ne aveva quanto ne voleva.

Passò allora a esaminare la sezione dedicata all’aritmetica e rimase incantato di fronte a un misterioso capitolo dedicato a una cosa che veniva chiamata “le quattro operazioni”: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. C’erano numeri e simboli strani e gli parve di capire che combinando i numeri in certe maniere si ottenevano certi risultati, anche se non gli era ben chiaro di che natura.

Un esempio però gli parve sufficientemente chiaro.

C’era una riga che diceva: 1 + 1 = 2

Ora è vero che la gente sapeva contare in genere fino a venti, ma sapeva scrivere i numeri solo da 1 a 9. Però tutti sapevano che una capra messa insieme a un’altra capra facevano due capre, quindi gli pareva evidente che la scritta riportata sul libro fosse proprio un modo per esprimere quel concetto. Il resto però gli risultava assolutamente incomprensibile e avrebbe necessitato di uno studio molto più approfondito del libro. Che cosa diavolo poteva mai significare la riga:

20 x 15 = 300 ?

Non era neppure in grado di capire il significato di quei numero. Sapeva che cos’erano 2, 1, 5, 3, ma che cosa significavano 20, 15 e 300? E che funzione aveva quel simbolo misterioso chiamato zero?

Altrettanto oscura era la riga 125 : 5 = 25.

Per non parlare poi di una ancora più misteriosa come:

1/5 – 1/3 = –2/15

O un’altra riga che parlava di una cosa chiamata radice quadrata. Certo cosa fosse una radice lo sapeva benissimo, ma dubitava che ce ne fossero di quadrate, di solito erano tonde o bitorzolute.

Sì, c’erano davvero tante cose incomprensibili, ma era sicuro che avessero un significato ben preciso e che tale significato fosse spiegato in quel libro. Non gli restava che cominciare dalla prima pagina e leggere attentamente ogni spiegazione cercando di assimilarne il senso. Non sarebbe stato facile, di questo era sicuro, ma sarebbe stato tanto, tanto divertente.

Anche di questo era sicuro.

© 2009 by the author

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ha svolto la sua attività nel campo dell’editoria per più di cinquant’anni. Ha diretto numerose testate dedicate al giallo, alla fantascienza, all’horror, al western e al fumetto. Ha scritto praticamente per ogni genere di letteratura popolare, dal giallo alla fantascienza, dal western alla narrativa per ragazzi e ha pubblicato più di trecento racconti su una miriade di periodici.