Ombrerosse

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Ombrerosse era un vecchietto d’età imprecisata che abitava al terzo piano dell’interno 3. Lo chiamavano così perché trascorreva le giornate battendo sistematicamente tutte le osterie e i bar della via, bevendo “ombre”, come in Veneto si chiamano i bicchieri di vino.

Ombrerosse era mattiniero: il portinaio Leandro lo vedeva uscire alle 8.00 in punto, impeccabile, con i baffetti estremamente composti e con il vestito perfettamente smacchiato e stirato dalla sua vicina di casa, la preziosa signora Renata, instancabile settantacinquenne.

Con elegante gesto, Ombrerosse sollevava il cappello dalla chioma argentea, accennava un inchino e salutava allegramente la sua giovane dirimpettaia, quella con la quinta di reggiseno: «Riverisco, cara signora! I miei rispetti».

Dopodiché cominciava diligentemente il suo giro. Alla mattina si faceva il lato destro della strada, poi pranzava in una piccola trattoria che gli aveva stipulato un particolare abbonamento e nel pomeriggio camminava sul marciapiede sinistro. Ad ogni fermata si degustava un paio di ombre, un bicchiere di bianco ed uno di rosso, meglio se frizzanti. Se trovava persone interessanti con le quali conversare, le ombre potevano diventare anche tre o quattro.

Verso le 18.00 raggiungeva l’apice della saturazione alcolica. Un giorno, a quell’ora, la dirimpettaia tettona era passata dall’altro lato della via e l’aveva salutato con un cenno della mano. L’educato gentiluomo del «Riverisco, cara signora!», le aveva urlato dietro con entusiasmo: «Ciao, gioia mia! Ringrazia la mamma per averti fatta perfetta!». Da allora il macellaio, il giornalaio ed un paio di baristi, parlando fra loro della signora popputa, la chiamavano “La Gioiamia”. Un’altra volta, Gioiamia era arrivata avanti arrancando, carica di pesanti sacchettoni della casa del detersivo, Ombrerosse le era andato incontro barcollando e, con aria riconoscente, le aveva urlato in faccia: «Oh! Che gentile! Grazie! Mi ha fatto la spesa! Non doveva disturbarsi!». Da allora i soliti macellaio, giornalaio e baristi, quando Gioiamia li pagava, si divertivano a dirle ridacchiando: «Oh! Non doveva disturbarsi!».

Alle 19.00 in punto Ombrerosse era davanti alla porta di casa e la chiave si rifiutava di centrare il buco della serratura, proprio non voleva entrare. L’operazione di apertura poteva durare anche un quarto d’ora.

La Renata lo controllava dallo spioncino e poi, quando incontrava il portinaio, gli confidava di essere molto preoccupata per la salute del povero vicino: «Un giorno o l’altro ci resta secco!».

Di diverso avviso la Savina, l’ottantenne del secondo piano che passava le giornate a fare conserva e marmellate e che sei mesi prima aveva rotto un maxi-barattolo della sua celebre passata di pomodoro nell’ascensore, da allora profumato di basilico: «Ombrerosse sta sempre bene, perché dentro è tutto disinfettato! L’alcol ammazza gli acari della bronchite!».

Intanto, sulle scale, all’altezza del primo piano, lui incontrava il figlio di Gioiamia e si offriva volontario per fargli ripassare bene le tabelline. Odorava di mosto stracotto e sei per otto quarantotto…

La sera s’addormentava presto e sognava due enormi poppe che lo spiano dal buco della serratura, mentre tentava di disegnare con la salsa di pomodoro della Savina una tavola pitagorica sull’asse da stiro della Renata.

Ma adesso Leandro aveva proprio perso la pazienza. Una mattina lo invitò nella guardiola e lo affrontò: «Si può sapere, disgraziato, cosa t’è preso? – lo rimproverò il portinaio alieno – Io e te siamo qui sulla Terra ciascuno con una missione ben precisa. Tu avevi promesso di analizzare il comportamento dei terrestri anziani e sondare i loro pensieri e desideri, per comprendere come aiutare l’umanità ad affrontare l’inevitabile allungamento delle vita media. E, invece, tu cosa stai combinando?».

«Leandro, non è colpa mia! – si difese l’anziano – Uno dei primi giorni che ero sulla Terra, mi hanno fatto assaggiare questo liquido incredibile, il vino, un nettare dolcissimo, di colori meravigliosi, luminoso come il sole, rosso come le labbra delle donne, o rosa come i capezzoli di Gioiamia».

«E che ne sai tu dei suoi capezzoli?», si scandalizzò Leandro, facendo ballonzolare i richiamati sul cocuzzolo della testa.

«Non occorre sapere, l’importante è intuire, caro mio. E, comunque, ho assaggiato questa sostanza, calda e fresca allo stesso tempo. Me la sono sentita andare giù nello stomaco e subito nella pancia, come un fuoco dissetante, corroborante, consolatorio. Il primo bicchiere era chiaro, dolce, e frizzante e mi è parso di avvertire le bollicine perfino nelle dita dei piedi, mentre la testa diventava leggera. Il secondo era rosso, molto profumato, l’ho sentito scaldarmi la colonna vertebrale, con un fuoco che mi è salito fino alla nuca, mi sembrava perfino che i capelli mi si arricciassero…».

«Taglia corto, ubriacone!».

«Non trattarmi così, Leandro – implorò Ombrerosse, quasi in lacrime -. Io non ho più potuto fare a meno di berne in continuazione: è una droga! Per capire esattamente come funziona e come liberarmene, anche se lo amo e non vorrei lasciarlo mai, ne ho spedito un campione sul nostro pianeta, per tutte le opportune analisi. Dovrebbero averlo ricevuto proprio oggi».

Leandro, ansioso di trovare una soluzione alla dipendenza di Ombrerosse, salì nel suo appartamento con l’amico da salvare, e chiamò il Comando per una video-telefonata intergalattica. Gli comparvero i tre Grandi Saggi, stranamente scarmigliati. Il primo rideva come un matto e salutava il portinaio sventolando per aria un reggiseno. Il secondo piangeva a dirotto chiamando la mamma. La terza saltellava sul tavolo dietro agli altri due con grande ondeggiar di seni, legittimi proprietari dell’indumento brandito dal collega allegro.

Stupefatto, Leandro si voltò verso Ombrerosse e domandò: «Scusa, ma esattamente quel campione che hai spedito per le analisi che bottiglia era?».

«Bottiglia? Spedire il vetro? Si sarebbe rotto! ».

Solo ora Leandro osservò meglio la Terza Saggia e si accorse che non stava saltellando sul tavolo, ma su una botte vuota di Amarone.

Competenze

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Postato il

23 Febbraio 2016

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