Arianna nello spazio. Il mistero delle cravatte scomparse (2017 Youcanprint) è il mio primo romanzo, ma è anche, in un certo senso, uno dei figli di questo sito curato da Franco Giambalvo. Infatti, ho cominciato a scrivere di fantascienza proprio frequentando “Nuove Vie”. Una collaborazione che ha visto la nascita di due raccolte di racconti (Timelost. Storie di alieni tra di noi nel 2015 e di Leandro chiama spazio. Avventure di un portinaio alieno nel 2016) e che poi mi ha portata a dar vita a questa nuova storia.

Quindi ecco una giovane giornalista televisiva, un cameraman extraterrestre e la sua misteriosa fidanzata, una nonna eccezionale e un investigatore sulle tracce di uno scienziato, scomparso con un corredo di stravaganti cravatte, e poi un’astronave dotata di tecnologia aliena, pianeti lontani e affascinanti, cavalli alati, alberi senzienti.

E ancora: viaggi nel tempo che non sono andati proprio come avrebbero dovuto e dispositivi per il teletrasporto che non sempre funzionano. Le avventure di Arianna e dei suoi compagni di viaggio si dipanano con levità e ritmo incalzante, tra risate ed enigmi, tra colpi di fulmine e colpi di scena, indizio dopo indizio, verso la soluzione dei misteri che rendono man mano più intricata e avvincente la trama. Ma alla fine si capirà perché a sparire siano state proprio decine di cravatte sgargianti?

Lo scoprirete!

E io spero di scoprire il vostro parere, sperando anche che gradiate le illustrazioni, con le quali ho voluto dare forma e colore ai protagonisti di questo libro. Buona lettura!

Anna Laura Folena

Arianna nello spazio. Il mistero delle cravatte scomparse è in vendita in diversi negozi on line, come YoucanprintUnilibroIbsLibreria UniversitariaAmazon. Inoltre si può ordinare in migliaia di librerie italiane. Ecco il link con l’elenco completo:https://www.youcanprint.it/librerie-in-italia-self-publishing.html.

Prologo

La nonna di Arianna era eccezionale. Pare fosse stata amazzone a sette anni, pattinatrice artistica a 12, crocerossina a 18, insegnante di lettere antiche a 23, pittrice a 40 e paracadutista a 61. Sembrava una creatura impossibile, frutto della fantasia di uno scrittore di fantascienza, una creatura dell’altro mondo.

Quel giorno Arianna l’accompagnò dal dentista. La giovane giornalista televisiva era profondamente affezionata all’ava e la portò dal migliore. Desiderava che il sorriso dell’anziana tornasse smagliante come un tempo, quando calcava le scene della Fenice come attrice di prosa e come quando riceveva la medaglia d’oro ai campionati europei di scacchi.

TUTTO PER UN SORRISO

Il dottor Bellini, giovane luminare dell’implantologia, presentò due preventivi: uno molto alto, per una dentatura perfetta, e uno più abbordabile, per un risultato accettabile.

La nonna, pensando alla propria modesta pensione, scelse la seconda opzione. Arianna aveva insistito perché preferisse la prima, offrendosi di contribuire alla spesa, ma la nonna era stata irremovibile.

Due ore dopo, Arianna era di nuovo nell’ambulatorio odontoiatrico e chiedeva del dottore, che la ricevette tra l’estrazione di un dente del giudizio uncinato a zampa d’elefante e una tripla devitalizzazione carpiata.

Mentre il dentista osservava con simpatia il nasino all’insù di Arianna, lei gli chiese un grosso favore. Voleva che il dentista sistemasse la bocca della nonna secondo il progetto più costoso, ma senza rivelarlo alla paziente, che avrebbe pagato la cifra più ragionevole restando all’oscuro della verità. Arianna gli avrebbe versato la differenza di nascosto, un tanto al mese.

Il dentista la guardò a lungo, prima di rispondere di sì. Arianna era un misto di malizia e ingenuità, di sensualità e candore che avrebbe fatto impazzire qualsiasi uomo. Ma non fu per questo motivo che il dottore accettò la richiesta della ragazza. Fu perché anche lui aveva un cuore e parecchio tempo prima aveva curato gratis i denti della propria nonna.

L’indomani, la nipotina venne contattata da un tizio con lo stesso cognome dell’odontoiatra. La convocò per un colloquio con la sua assistente nella sede segreta dello Stars, lo Staff Terrestre Avventure e Ricerche Spaziali, un’organizzazione che si occupava di esplorazioni intergalattiche con mezzi comunemente considerati ancora fantascientifici. Teletrasporto, iperspazio, tunnel spaziali, collaborazioni con extraterrestri più evoluti… Era tutto reale.

Arianna era stata segnalata dal dentista, Luigi, a suo fratello più vecchio, Giacomo, direttore generale dello Stars, a cui serviva una reporter che realizzasse un mega documentario su una lunga spedizione sui  vari pianeti abitati delle galassie fino ad allora conosciute. La scelta era caduta su di lei, non solo per le sue indiscutibili doti professionali, ma soprattutto perché aveva cuore. Lo Stars ingaggiava solo persone generose e altruiste. Era questo l’unico modo per sventare il rischio di far scoppiare guerre interstellari.

Sei mesi dopo, alla vigilia della partenza, Arianna venne inviata dalla sua emittente per l’ultimo servizio televisivo terrestre: una conferenza stampa in Questura. Un investigatore affiancava il commissario nell’aggiornare i giornalisti sulla misteriosa scomparsa del professor Alfonso Marzi, un astronomo di cui si erano perse le tracce da settimane. Si era volatilizzato insieme a tutto il suo corredo di cravatte, particolarmente colorate e stravaganti, come si vedeva nelle foto d’archivio di Marzi. Lo scienziato era impegnato in ricerche molto importanti e riservatissime. L’investigatore spiegò ai presenti che si stava ipotizzando un rapimento. Molto probabilmente, insieme a lui, erano state portate via tutte le sue cravatte, perché su di esse il professore aveva nascosto qualche formula importante, qualche mappa stellare, qualcosa di misterioso, forse pericoloso.

Arianna era distratta dagli occhi verdi dell’investigatore, che entravano impertinenti nei suoi. Alla fine della conferenza stampa, l’uomo le si avvicinò chiedendole il numero di telefono. Così, senza preamboli.

Lei gli spiegò che il giorno dopo sarebbe partita per un lungo viaggio. Probabilmente non si sarebbero visti mai più. Lei glielo comunicò immaginando già la sua reazione dispiaciuta, ma s’accorse che lui era divertito. Cos’era che lo rendeva tanto allegro?

«Non ci credo – le bisbigliò l’uomo -. Ci vedremo molto presto!».

Indispettita dalla presunzione dell’investigatore, lei non lo degnò di risposta e lasciò la Questura. I maschi terrestri! Tutti uguali!

Nel tardo pomeriggio, Arianna si trovava nello studio del dentista con la nonna, che sfoggiava un sorriso stupendo: «Hai visto tesoro? – si rivolse sfavillante alla nipote – Il lavoro è perfetto, e scegliendo quello meno caro. Se ti avessi dato retta, avremmo buttato i soldi per niente».

Arianna e il dentista annuirono, mentre si sbirciavano di nascosto divertiti.

Dopo qualche minuto che nonna e nipote erano uscite dallo studio dentistico, la ragazza ricevette un messaggino dal dentista. Le chiedeva di passare con lui l’ultima sera prima della partenza.

Avevano appuntamento sul ponte più antico della città. Lei lo vide proprio lì al centro.

«La fioraia aveva già chiuso bottega, ma la fruttivendola era ancora aperta», le spiegò il dentista, mettendo in mano ad Arianna un cestino di lamponi. Lei ringraziò divertita.

Senza il camice verde, il dottore sembrava più giovane. Non si poteva definire bello, con quel nasone e quelle orecchie troppo grandi, ma aveva occhi scuri molto intelligenti e profondi e un bel sorriso.

Assaporando lamponi, s’incamminarono lungo il fiume, chiacchierando fitto fitto.

Era simpatico, e Arianna si sentiva proprio a suo agio. Quasi quasi le dispiaceva dover partire il giorno seguente e non vederlo più per chissà quanto tempo. Era emozionata per la missione, un po’ spaventata, ma entusiasta all’idea di viaggiare nello spazio e conoscere nuovi mondi. Ne parlava con gli occhi celesti sfavillanti e le guance arrossate per l’eccitazione. Il dottor Luigi la guardava fra il divertito e l’intenerito.

Dopo l’antipasto itinerante a base di frutti di bosco, cenarono all’aperto a lume di candela, come due anime in un baccello.

Durante il dolce, Luigi le prese una mano. Arianna pensò volesse semplicemente accarezzarle il polso. Avvertì una strana sensazione. Nel suo stomaco la sogliola alla mugnaia nuotava in un turbinio di farfalle. Ma il dentista non si era limitato a una carezza: le aveva allacciato al polso un braccialettino d’oro giallo con un pendaglio di platino: era un cavallino alato.

«Non posso accettare!», esclamò lei, mentre le farfalle le solleticavano il piloro.

«Devi – rispose lui con calma -, perché qualcosa mi dice che questo ti sarà utile nel corso del viaggio. È una creatura fantastica, come te e come gli extraterresti che incontrerai su altri pianeti, eppure ti ricorderà qualcuno di molto normale, di molto umano. Qualcuno che ti penserà tutto il tempo. E questo legame con la Terra, a un certo punto ti aiuterà».

Camminarono fino a casa di lei tenendosi per mano come se fosse la cosa più naturale del mondo. Davanti al portone, Luigi le annunciò ufficialmente di volerla abbracciare e la avviluppò, tenendola stretta a lungo. Arianna desiderava un bacio. Sentiva che stava per arrivare e già lo immaginava, quando lui si staccò bruscamente, la salutò senza quasi guardarla e scomparve dietro l’angolo.

«Non gli piaccio», pensò lei entrando in casa, contenta di non aver preso l’iniziativa baciandolo.

«Mi piace troppo», era il pensiero di lui salendo in auto, pentito di non averla baciata.

Era l’una passata, Arianna chiuse le valigie e si buttò sotto alla doccia per lavare via la delusione del bacio mancato. Mentre s’insaponava, sentì suonare al citofono, e il cuore le balzò in gola. Era sicuramente Luigi, era tornato indietro!

Tutta nuda e grondante, corse a rispondere, flessuosa e in alcune zone anatomiche anche ondeggiante,  lasciando lungo il corridoio una scia d’acqua e schiuma alla fresia. Inciampò in una valigia, ignorò la fitta al ditino del piede e raggiunse il citofono:

«Chi è?», chiese senza fiato.

BARRY E ANTENORE

L’astronave dello Stars era enorme. Arianna si aggirava da un settore all’altro, entusiasta e curiosa di esplorarla centimetro per centimetro.

Era tutta tecnologia aliena, in grado di portare i passeggeri all’altro capo dell’universo in pochi giorni, sfruttando le onde gravitazionali, bucando le increspature dello spazio e sfidando le leggi del tempo. Esattamente ciò che ci voleva per distrarla e aiutarla a non pensare a quel dentista! Pensare che quando i ragazzacci del quartiere le avevano suonato al citofono nel cuore della notte, lei s’era illusa che fosse quell’imbranato!

Appena imbarcata, la giornalista incontrò i primi extraterrestri della sua vita. Grazie al bracciale sonico simultaneo, che traduceva ogni lingua conosciuta di questo ed altri due universi, la ragazza riusciva a comunicare agevolmente con ogni forma umana, aliena e perfino animale. Nel suo appartamento, ad esempio, il pesce rosso raccontava storie e leggende acquatiche affascinanti, mentre il canto dei cardellini che volavano liberi in giro per l’astronave, parlava d’amori perduti e ritrovati, di primavere fiorite e nidi brulicanti di vita. Era una delizia per le orecchie. Faceva perfino perdonare a quegli uccelli intonati il fatto di lanciare cacchette a casaccio a tutte le ore.

Quasi subito, Arianna conobbe Barry, il suo cameraman. Era un giovanotto alto e robusto, proveniente dal pianeta Pakys. La forma del corpo era umanoide, ma la testa era simile a quella di un elefantino. Lei non parve stupirsene, visto che il corso propedeutico pre-viaggio l’aveva preparata a questo e ad altro.

Lui si presentò, stringendole vigorosamente la mano. Poi le chiese se poteva salutarla secondo le usanze di Pakys. Quindi, allungò la proboscide e la strofinò delicatamente contro il nasino di Arianna. Lui e i suoi si salutavano sempre così.

«Hai la proboscidina all’insù. Molto carina, anche se troppo corta per i miei gusti», le disse il cameraman, e scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.

Barry aveva occhi neri svegli e sorridenti. Arianna era sicura che avrebbero lavorato molto bene insieme.

Nel giro di poche ore dalla partenza dalla Terra, giunsero su Ilarius, un piccolo pianeta variopinto, sul quale si sarebbero fermati per un po’, filmando usi e costumi della popolazione.

Mentre scendeva dall’astronave, Arianna si sentì osservata, si voltò di scatto e incrociò due bagliori verdi. Era lui: l’investigatore conosciuto il giorno prima.

Con quel suo sorriso un po’ beffardo e sicuro di sé non perse l’occasione di farle notare: «Ciliegina, te l’avevo detto che ci saremmo rivisti presto».

«Io non sono una ciliegia!», rispose lei, diventando rossa e tentando di dissimulare la sua eccessiva agitazione.

«Ma il tuo naso sembra una ciliegina, soprattutto vicino a quello del mio amico Barry!».

«Ciao, Antenore!», esclamò il cameraman abbracciando il vecchio compare di scorribande nello spazio.

Antenore Epitomé – così si chiamava l’investigatore – era partito sulle tracce di Alfonso Marzi. Nell’armadio delle cravatte dell’astronomo, infatti, aveva rilevato la presenza di particelle disgregative ultradimensionali, indizio inequivocabile di teletrasporto interplanetario. Anzi, come Antenore confidò subito ad Arianna, l’intera spedizione in realtà sarebbe stata condizionata dalle indagini, con eventuali deviazioni e soste non previste. Ritrovare il professore scomparso era di fondamentale importanza.

Barry sembrava entusiasta della presenza dell’amico, che in passato l’aveva già coinvolto in avventure elettrizzanti alla ricerca di innocenti da salvare e colpevoli da punire.

Anche la giornalista si sentiva emozionata, senza sapere esattamente il perché, e questo le seccava enormemente, tanto da indurla a riversare il proprio disappunto su Antenore:

«E così la nostra spedizione sarà condizionata da te e dalle tue indagini? Se l’avessi saputo, me ne sarei rimasta a casa!».

Antenore trovava che lei, con le guance rosse e gli occhi sfavillanti di rabbia, fosse terribilmente sexy. Arianna l’avrebbe preso volentieri a schiaffi, se solo fosse stata una di quelle eroine alla “Via col vento”, dedite a spargere schiaffoni e svenimenti plateali. Purtroppo era una donna del ventunesimo secolo: piangeva di nascosto, non picchiava uomini erogatori di testosterone, e a svenire in quel momento era solo il suo amor proprio, nel costatare che con quel suo odioso sorrisetto Antenore era stupendo e, quindi, ancora più detestabile.

«Non ti sopporto!», gli urlò in faccia.

E lui?

Lui la baciò all’istante.

«Ahi!», esclamò Barry. La sua proboscide era rimasta incastrata tra loro, nella presa con cui l’investigatore aveva stretto a sé la giornalista.

I due si staccarono in silenzio, imbarazzati.

«Ecco, mi raccomando, non scusatevi neanche, terrestri obnubilati dalla chimica», brontolò Barry. Poi scoppiò a ridere, sculacciando Antenore con la proboscide.

 ILARIUS

Mentre insieme a Barry si tuffava nella folla delle vie della capitale mondiale di Ilarius, filmando ogni particolare interessante, Arianna notò qualcosa di strano. Apparentemente, gli ilariani sembravano identici ai terrestri, ma a incuriosire la giornalista fu la conversazione fra due donne che le camminavano davanti.

«Hai presente mia madre?».

«Sicuramente è morta».

«No, è in vacanza».

«In aereo? Precipiterà».

«No, è in crociera».

«La nave affonderà».

«Sì, è probabile. E i tuoi stanno male?».

«No, benissimo».

«Poverina, chissà come sarai angosciata! Non può durare: si ammaleranno, avranno qualche incidente. Mi dispiace tanto per te».

«Sì, sono preoccupatissima».

Quello era il dialogo più catastrofista che Arianna avesse mai sentito.

Lei e Barry si fermarono a comprare dei ricordini su una bancarella. Mentre pagavano, passò vicino a loro una coppia di coniugi molto anziani. Si tenevano per mano.

«Che bello invecchiare insieme», commentò a voce alta Arianna, tutta intenerita, mentre Barry annuiva.

«Che disgrazia! – rispose il commerciante, mentre le dava il resto – Uno dei due presto morirà, lasciando nella più cupa disperazione l’altro, che non si darà mai più pace».

La giornalista e il cameraman si guardarono, pensando la stessa cosa: Ilarius era il regno dei pessimisti.

Quella sera li raggiunse a cena Antenore. La scansione delle tracce di teletrasporto trovate a casa del professore aveva dato luogo ad una possibile rotta compiuta dallo scomparso collezionista di cravatte. Rotta che attraversava Ilarius. Ma le indagini su quel pianeta non stavano portando a niente e lui si sentiva giù di morale. Arianna trasalì: «Non sarà mica contagioso, vero? Non lasciamoci influenzare dal pessimismo di Ilarius. Cercheremo insieme ogni possibile indizio e ce la faremo».

Antenore la osservò, tutta infervorata, con le fossette che danzavano sulle guance, ma distolse quasi subito lo sguardo, onde evitare di essere colto da un altro raptus. Era stato già abbastanza imbarazzante quel primo bacio, con stritolamento di proboscide di Barry fra il suo petto e quello sodo e profumato della ragazza. Al ricordo del contatto con quei seni, si sentiva strano.

Una settimana dopo, l’investigatore brancolava ancora nel buio, mentre Arianna era soddisfatta del materiale raccolto per il documentario, ma continuava ad arrovellarsi sul perché un pianeta il cui nome rimandava all’ilarità fosse così pervaso di pessimismo cosmico.

Ma quello davvero a terra era Barry. Aveva perso la testa per una splendida ilariana. Era stato amore a prima vista, un’intesa perfetta, ma proprio sul più bello, proprio mentre i due era uniti anima e corpo, pelle a pelle, bocca a bocca, proboscide a nasino, e stavano raggiungendo l’apice della gioia psicofisica sublimata nell’estasi intergalattica, lei era scoppiata a piangere. Clara – era questo il nome dell’ilariana – non aveva retto al pensiero che presto la copula si sarebbe conclusa ed era crollata emotivamente, facendo precipitare anche gli entusiasmi del giovanotto a lei sottostante.

Barry, affranto, si era confidato con Arianna e Antenore, molto impegnati a non incrociare gli sguardi mentre si parlava di accoppiamento.

«Arianna – sospirò il cameraman –, avevi ragione: c’è qualcosa che non va negli abitanti del pianeta. Ma Clara mi ha raccontato che non è sempre stato così. Fino a tre secoli fa Ilarius era il pianeta più allegro dell’intera galassia. Poi è cambiato qualcosa, ma nessuno si ricorda che cosa. Dobbiamo scoprirlo!».

Tacquero tutte e tre.

«Che silenzio!», esclamò dopo un po’ Arianna.

«È perché siamo rimasti senza parole», rispose Barry.

«No, tu non capisci – intervenne l’investigatore -: che silenzio! Ce n’è troppo. Ha ragione Arianna!».

«La musica! Dov’è la musica? Non ho sentito una sola nota da quando siamo arrivati su Ilarius», s’illuminò la ragazza.

«È vero. Ma come si fa ad essere felici senza musica?», domandò Barry.

«È impossibile!», esclamarono tutti e tre in coro.

Su Ilarius non esisteva la musica. I tre amici indagarono immediatamente, con la determinazione e la perspicacia che poteva contraddistinguere un mezzo pachiderma innamorato, una bionda sotto l’effetto stupefacente di un bacio rubato e un investigatore stordito dal profumo di una giornalista inconsapevole di essere irresistibile.

Il giorno seguente, dopo aver consultato due biblioteche, tre archivi storici e i data base dello Stars, scoprirono che trecento anni prima un virus attratto dalle onde melodiche aveva sterminato tutti i musicisti e i cantanti del pianeta. Spartiti e strumenti musicali erano stati bruciati, per timore che fossero infetti. Molti ballerini erano morti di dolore, gli altri erano caduti in depressione. Poeti e scrittori, ispirati dal silenzio, avevano cominciato a comporre opere sempre più cupe e prive di prospettive felici.

I bambini si erano dovuti rassegnare ad addormentarsi senza ninne-nanne e gli innamorati avevano dovuto rinunciare alle serenate.

Ilarius era diventato il pianeta del pessimismo, e non si era più ripreso. Un po’ alla volta la gente aveva dimenticato la musica, il canto e la danza.

Gli ilariani non amavano viaggiare ed esplorare altri pianeti, per paura che i mezzi di trasporto incappassero in incidenti mortali. Quindi non avevano avuto occasione di rientrare in contatto con la musica. Da qualche anno accoglievano visitatori alieni, che, però, non reggevano all’atmosfera di pessimismo che aleggiava ovunque e ripartivano prima di capire quale fosse il problema, prima di tirare fuori un flauto o un violino.

Quella sera stessa, Barry diffuse nell’appartamento di Clara la musica più allegra che conoscesse, la prese fra le braccia e cominciò a farla volteggiare in una danza inizialmente goffa e poi sempre più armoniosa. La proboscide del giovanotto volteggiava leggiadra nell’aria.

Antenore coinvolse lo Stars in un’operazione di recupero culturale di Ilarius. Nel giro di due settimane, musicisti provenienti da mezzo universo giunsero nel pianeta per fare e insegnare musica. La gente cantava, ballava e soprattutto sorrideva.

Barry e la sua ragazza facevano l’amore con gioia, senza più una lacrima.

Arianna e Antenore li videro arrivare a bordo dell’astronave la sera prima di lasciare Ilarius. Clara aveva deciso di seguire Barry. Era raggiante e scuoteva felice la sua coda di capelli neri, legata con un nastro stravagante, violetto, con disegni verdi. Erano ranocchie, come notò con stupore Arianna. Dove aveva già visto quel nastro?

La giornalista ebbe un’illuminazione: «Antenore, mostrami di nuovo le foto del prof. Marzi».

L’investigatore guardò insieme a lei la galleria fotografica sul suo tablet. E la videro! La cravatta viola a ranocchie verdi al collo dell’astronomo scomparso. Avevano finalmente trovato una traccia. E che traccia!

ALILA’

«Che bel nastro, Clara. Dove l’hai comprato?», domandò Arianna alla gaia fidanzata ilariana di Barry.

«In realtà – rispose lei – è una di quelle cose che voi terrestri annodate al collo. Me l’ha regalata un tipo strano. Era qui di passaggio, sulla rotta per Alilà e aveva con sé una valigia piena di queste strisce di stoffa. Mi ha spiegato che a lui aveva portato fortuna e a me avrebbe ridato il sorriso. Ed è stato così. Anzi, ora non mi serve più. Voglio che sia tua, e che ti aiuti a trovare ciò che cerchi».

Clara si sciolse i capelli e con la cravatta del prof. Marzi legò la treccia di Arianna. Le ranocchie sembrarono saltellare di gioia.

La giornalista terrestre era ancora pettinata così, quando pose piede sul pianeta Alilà, alla ricerca del misterioso alieno con la valigia piena di cravatte.

Al centro del continente maggiore del pianeta, proprio nella capitale di quel mondo, era in corso la grande fiera dell’abbigliamento universale.

Barry, che l’aveva visitata l’anno precedente, spiegò ai compagni di viaggio che lì avrebbero potuto trovare i famosi mantelli di seta kropftiana, le cinture di giraffingoide viola della Luna arancione di Pegasus VII, le parrucche michoosyane in fibra di baobab andromediano e mille altre rarità provenienti da ogni galassia. Era probabile che anche il misterioso alieno con la valigia di cravatte terrestri partecipasse alla manifestazione. Per un attimo Antenore aveva creduto che l’uomo con la valigia potesse essere proprio il professor Marzi, ma Clara non l’aveva riconosciuto nelle foto che le avevano mostrato.

Dalla base d’atterraggio numero 7731 si spostarono immediatamente in città usando il teletrasporto.

La capitale sorgeva sopra un vasto lago verde. Palazzi e grattacieli coloratissimi stavano misteriosamente in equilibrio su zattere inaffondabili che si spostavano liberamente in giro per il placido bacino, galleggiando con una solidità garantita dai migliori ingegneri della galassia. Come facessero le persone a trovare i palazzi giusti e a raggiungerli navigando o volando era un vero mistero, visto che gli edifici cambiavano continuamente indirizzo.

Ma il particolare più strano e spettacolare erano i cavalli alati azzurri che volavano da un palazzo all’altro o planavano sulla superficie del lago nuotando affiancati in una danza che assomigliava a quella di equini pattinatori sul ghiaccio. Arianna ne era affascinata, ma le parve di aver già visto da qualche parte una di quelle creature. Ma dove? Non riusciva a ricordarlo.

Nelle due settimane seguenti, la fiera dell’abbigliamento universale si rivelò una miniera inesauribile di materiale utile per il documentario che la giornalista terrestre stava realizzando insieme a Barry. Nel frattempo Antenore e Clara, che era diventata la sua assistente, indagavano alla ricerca dell’alieno delle cravatte. Ogni tanto qualcuno riferiva di averlo visto in luogo o nell’altro. L’investigatore e la sua compagna di indagini correvano lì, ma il cravattaio risultava svanito nel nulla.

Arianna e Barry decisero di prendersi un giorno di sosta e si allontanarono dalla capitale lacustre per fare una passeggiata in campagna: pendii dolci, coltivati a cereali e fiori, sotto a un cielo quasi sempre arancione.

Fu vedendo volare uno dei misteriosi cavalli alati sopra a quel paesaggio che alla ragazza tornò in mente dove aveva già visto una di quelle creature. Riconobbe un quadro di sua nonna, che ritraeva una campagna con quegli stessi colori, sorvolata da quello stesso alieno. Da bambina si era fermata a studiare il dipinto per ore, la faceva sognare, pensava che l’essere alato fosse una specie di incrocio tra un cavallo e un angelo, tra un principe azzurro e l’essenza della magia.

Era incredibile. Sembrava che la creazione della fantasia di sua nonna, un’immagine nata dalla creatività inesauribile dell’ava si fosse materializzata davanti ai suoi occhi. Arianna pensò che forse sua nonna era dotata di poteri telepatici e aveva saputo vedere una realtà lontana anni luce. Ma probabilmente si trattava solo di una strabiliante coincidenza.

Il cavallo alato di stava avvicinando. Arianna e Barry si accorsero che in groppa portava un uomo, che quando fu a due metri da terra balzò con agilità vicino a loro.

«Terrestri?», chiese lo sconosciuto in tono gioviale.

I due annuirono, ricambiando il sorriso.

Il loro nuovo amico era molto anziano, si chiamava Ampelio, era di Alilà, ma spesso viaggiava su altri pianeti come agente segreto. Mentre passeggiavano per le colline, Ampelio raccontò di essere stato l’anno precedente in missione sulla Terra, dove ne aveva viste di tutti i colori!

Arianna era curiosa di sapere quale fosse stato l’episodio che l’aveva colpito maggiormente. Così, il vecchio indigeno di Alilà chiese loro il permesso di stabilire un contatto telepatico con loro. Dopo qualche secondo cominciarono a vedere l’accaduto, come se fosse un film, o quasi. I volti erano sfocati, le immagini lattiginose, ma le parole suonavano chiare:

 

Quella sera il canuto giornalaio Ampelio vide rincasare Isabella uggiosa come un cumulonembo prima di un temporale. Non era mai stata così. Di solito con lei il buon umore si espandeva lungo tutta la via alberata mentre incedeva flessuosa verso il numero 27, dove abitava all’ultimo piano. Quel giorno, invece, si fermò al numero 25 e irruppe come un tuono nell’edicola di Ampelio, dove il temporale esplose con una gragnola di contumelie poco signorili.

Il giornalaio, stupefatto, tentò di calmarla: «Isabella cara, cosa ti succede? Con chi ce l’hai?»

«Con i terrestri, Ampelio! Con i terrestri! Con chi vuoi che ce l’abbia? Sono diversi da noi alieni!».

«Parla piano – la implorò Ampelio – o ti sentiranno. Ci farai scoprire! La nostra missione su questo pianeta è segretissima!».

«Ce l’ho con i terrestri nel mondo del lavoro. Con i maschi terrestri, che trattano le donne come esseri inferiori, pezzi di carne da usare a piacimento. E ce l’ho anche con le donne».

«Perché con le donne?», chiese Ampelio.

«Perché alcune di loro sono deleterie. La vita lavorativa terrestre offre quotidiane conferme di un fatto assodato ormai da tempo. Le meretrici peggiori sono proprio quelle che si schermiscono esclamando con vocina da educanda: “Ma con me nessuno si è mai permesso di mancarmi di rispetto o molestarmi, perché dipende tutto dall’atteggiamento che una ha”. E sgranano due occhioni da cerbiatta semivergine. Quindi la Poveraccia (la chiameremo così) che è sotto ricatto sessuale non avrà mai il coraggio di confessarlo, per non passare da Eva tentatrice e calunniatrice di serpenti con un occhio solo.

La Poveraccia non è che sia uno schianto, al massimo è carina. Così pensa lei. Eppure deve avere qualcosa di particolare, forse un ormone attira-dissoluto che attrae sistematicamente i maschi peggiori. Fatto sta che ha cominciato a 16 anni a dover cambiare liceo, perché importunata da un professore. Ha continuato all’università a dribblare le molestie di bavosi baroni, laureandosi eroicamente illibata, non si sa come. Poi il mondo del lavoro le ha fatto incontrare una serie di funzionari, dirigenti, esponenti politici e luminari della scienza più o meno molesti. Più volte si è stroncata la carriera con un semplice e fermo “No!”. E mai s’è potuta fare giustizia denunciando soprusi e ricatti.

E oggi, cosa va a capitarle? L’amministratore delegato della casa editrice del giornale per cui lei lavora che la invita a digiuno. Sì, a digiuno. Neanche a déjeuner, in francese, che lascerebbe intravvedere almeno un cappuccino, ma proprio a di-giu-no: “Ci vediamo in pausa pranzo, ché tanto io non mangio?”.

La Poveraccia va a digiunare con l’omone grande e atletico che vede per la seconda volta in vita sua. Deve intervistarlo, su ordine del direttore.

Subito viene accolta da un “Sei bellissima”.

Va bene, la Poveraccia è abituata agli apprezzamenti. Niente paura! Il dirigente digiunatore si siede di fronte a lei con l’occhio vagamente da triglia e tace. Allora parla la Poveraccia. Anzi, domanda! Lo sa fare bene, è allenata ad intervistare professionisti reticenti. Lui ascolta le prime due domande in silenzio, continuando a fissarla, quando all’improvviso, a sangue freddo, si piega in avanti, infila l’indice della mano destra dentro la scollatura della Poveraccia e tira la camicetta verso di sé, per spiarne comodamente il contenuto.

“Ma cosa fai?!” , protesta lei ritraendosi.

“Controllavo solo un attimo! Dai! Io e te ci possiamo divertire molto insieme, se vuoi. Ovviamente senza complicazioni. Senza impegno!”.

La Poveraccia è stupefatta. In tanti l’hanno già molestata. Sono 20 anni che ci provano! Eppure ogni volta riescono a stupirla, ognuno con la propria tecnica inaspettata!

“Non ti vuoi divertire? Divertire e basta?”, incalza l’Essere Delegato.

“No!”

“Vabbe’, non mi offendo mica”.

“Meno male… Cambiamo argomento. Parliamo della nostra intervista”. La Poveraccia cerca nella borsa penna e taccuino e intanto pensa a un cartone animato che ha visto il giorno prima, che mostrava un uomo primitivo di fronte ad una femmina: “Io! Tu! Caverna!”, colpo di clava in testa… e via nell’antro. Questo qui è uguale: “Io! Tu! Divertire!”. Solo che non c’è la clava.

La Poveraccia si sbaglia! Alza lo sguardo e… Ah! La clava!!!

L’amministratore neolitico, mentre lei frugava nella borsa, ha sbottonato i pantaloni e ora le mostra con maschio orgoglio la sua arma cavernicola. Le esce un urlo strozzato: “Sei pazzo? Metti via tutto!”. E lui: “Ma guarda? Non è bello? Non ti piace?”.

In questi momenti di calamità naturale si riconosce la donna che sa padroneggiare le emergenze. Così, al posto di distogliere lo sguardo, fuggire scandalizzata o incazzarsi come una biscia votata alla castità, lei lo osserva bene, con indifferente perizia, pur a debita distanza, e commenta: “Mh… Non ti devi abbattere. Ne ho visti perfino di più piccoli…”. Mentre pronuncia il verdetto di esiguità ponderale, la Poveraccia si alza e, facendo attenzione a non voltare le spalle al nemico, si avvia verso l’uscio, oltre al quale c’è la salvezza. E sa già che inesorabile arriverà la rappresaglia. In un modo o nell’altro il cavernicolo respinto riuscirà a fargliela pagare. Perché, mortificandolo nella potenza di maschio, lei l’ha stimolato ad utilizzare la potenza di dirigente per vendicarsi. Nel frattempo una finta santa, pronta a crocifiggere la Poveraccia qualora osasse gridare la verità, è in ginocchio davanti a qualche direttore o presidente e domani festeggerà la promozione».

 

Isabella tacque, grossi lacrimoni le rigavano le guance setose.

Ampelio le accarezzava i capelli e la consolava parlandole in tono paterno: «Cara, a parte i particolari sul liceo e sull’università, che avrai sentito narrare dalle tue amiche visto che tu ti trovi sulla Terra da poco tempo, sei tu la Poveraccia che oggi ha visto, suo malgrado, la clava dell’amministratore delegato, vero?».

Isabella annuì: «Voglio interrompere la missione su questo pianeta, quella che prevede che io studi nei dettagli il funzionamento dei mass media terrestri. Voglio tornare a casa».

«Sì, capisco. Ci penso io – la rassicurò Ampelio -. Parlo io con i tre Grandi Saggi».

Più tardi, in video-telefonata intergalattica, il giornalaio tentò di risolvere la questione: «Esimi Saggi, devo parlarvi della vostra inviata Isabella».

Uno dei tre, gli rispose con aria preoccupata: «Ampelio, non abbiamo tempo ora. Dobbiamo risolvere un problema con un altro dei nostri lì da voi, sulla Terra».

«Di chi si tratta?”.

«Non lo conosci, Ampelio. È in incognito, e ricopre anche una posizione importante: amministratore delegato di una nota casa editrice».

Ampelio ebbe un presentimento: «Che ha combinato?».

«Temiamo che abbia terrorizzato una terrestre oggi pomeriggio. Si sentiva solo e ci ha chiesto consiglio su come comportarsi con una umana, per avere un po’ di compagnia femminile. E ha combinato un disastro. Ci sentiamo responsabili, ha equivocato le nostre parole».

«Perché? Cosa gli avevate detto?».

«Niente di particolare. Gli avevamo raccomandato: “Sii divertente, e soprattutto tira fuori immediatamente la parte più buffa di te!”».

 

Arianna e Barry risero fino alle lacrime.

«E che fine ha fatto ora Isabella?», chiese Arianna per solidarietà femminile.

«E il povero alieno esibizionista?», domandò Barry, che si era immedesimato nella figuraccia del goffo maschio extraterrestre.

Ampelio spiegò che Isabella, dopo un periodo di ferie sul proprio pianeta, era tornata sulla Terra, ma indietro nel tempo, all’epoca della seconda guerra mondiale, per aiutare uno scienziato ebreo a fuggire da un campo di concentramento, in modo da permettere il corretto compimento della storia successiva, ma era rimasta intrappolata in quell’epoca.

«Si sarà adattata alla vita terrestre, probabilmente si sarà fatta una famiglia. Chissà se è ancora viva? Vorrei tanto che riuscisse a mettersi in contatto con me, per darmi sue notizie», si rattristò Ampelio.

Poi tornò a sorridere: «Per fortuna l’alieno pisellone è ancora sulla Terra, non è più travestito da amministratore delegato, è un investigatore, e mi ha promesso di trovare Isabella e di dirle da parte mia che l’amavo tanto, ma ero troppo vecchio per lei, quindi non avrei mai osato dichiararmi».

Ora Ampelio era commosso.

In quel momento si udì il sibilo di una navetta aeromobile, che infatti atterrò proprio davanti a loro.

Ne uscì Clara, che si gettò subito allegramente fra le braccia e la proboscide di Barry. Dietro di lei, c’era…

«Antenore! – gridò l’anziano Ampelio – Antenore, che ci fai qui? Non dovresti essere in cerca di Isabella?».

Fu così che Arianna e Barry scoprirono che il loro amico investigatore era l’extraterrestre pisellone, il goffo finto amministratore delegato che aveva terrorizzato la povera Isabella, esibendo la parte più buffa di sé.

Per tutta la serata echeggiarono i barriti del cameraman. Era il suo modo di ridere, ripensando a ciò che avevano scoperto su Antenore, che per la vergogna si era chiuso in camera e non voleva più uscire.

Verso mezzanotte, però, giunse alla saggia conclusione che la cosa più intelligente fosse riderci sopra. Così, quando Arianna bussò alla sua porta, lui aprì tutto allegro:

«Ma lo sai che un po’ mi ricordi quell’Isabella?», le rivelò soddisfatto.

L’ira di Arianna esplose. Entrò in camera come una furia, investendolo di male parole: «Pisellonio stolto, molestatore di sottoposte! Alieno bugiardo, ladro di baci! Mi hai mentito, hai mostrato la clava a Isabella, hai osato baciarmi, ti sei finto terrestre con me e l’hai terrorizzata».

«Non in quest’ordine!», rise Antenore.

«Come osi scherzare? Come puoi ridere? Ti detesto! Ti ho detestato fin dal primo momento che ti ho visto».

Arianna avrebbe voluto assalirlo, picchiarlo, sfogarsi. Invece stava piangendo.

ALBERONIA

Piangeva e un secondo dopo era fra le braccia dell’alieno impostore, che la baciava e l’accarezzava. Un secondo dopo ancora, o forse due secondi, o tre ore, o anche cinque, difficile a dirsi, stavano facendo l’amore per la seconda volta o più probabilmente per la quarta, prima di rifarlo e poi ancora e di nuovo. Fino al mattino.

Arianna s’addormentò pensando che Isabella era stata proprio falsa quando aveva sottostimato le dimensioni della clava dell’Antenore in versione cavernicola.

Il giorno seguente, i due non uscirono dalla camera.

Nel tardo pomeriggio si sentì bussare alla porta e un istante dopo fece irruzione Ampelio, senza dar nessun peso alle capriole che Arianna e Antenore compirono per coprirsi con le lenzuola. Con entusiasmo, il vecchio annunciò di aver incontrato un tizio che sosteneva di aver parlato con l’uomo delle cravatte. Gli aveva riferito di essere diretto a Linfè, città del pianeta Alberonia.

Tre giorni dopo, gli esploratori terrestri erano a Linfè.

«Da che parte cominciamo la ricerca del prof. Marzi?», domandò Clara ad Antenore.

«Antenore, Clara ti ha chiesto una cosa! Da dove comincerete le indagini?», lo richiamò a voce alta Barry.

L’investigatore si scosse dallo stato di pre-coma in cui stava osservando le labbra di Clara, intenta a succhiarsi l’indice destro, a cui s’era fatta un taglietto non si sa come.

«Oh! Molto semplice!  – rispose Antenore tranquillo – Finora i due indizi importanti, ovvero il ritrovamento della cravatta con le rane e il tipo che ci ha indirizzati qui, li abbiamo trovati assolutamente per caso, semplicemente familiarizzando con gli indigeni. Quindi, la mossa più intelligente è proprio familiarizzare con gli indigeni, visitare luoghi, conoscere gente, chiacchierare».

Prima di salutarli, Ampelio, che poi era rimasto su Alilà, aveva spiegato loro che gli abitanti del pianeta Alberonia erano pacifici. Li aveva avvisati che gli umanoidi con cui avrebbero interagito erano molto simili ai terrestri, solo più belli e perfetti nelle proporzioni, ma non erano loro la specie dominante. Ampelio, ridacchiando tra sé e sé non aveva voluto anticipare altro.

Il pianeta si presentava verdissimo, per lo più era ricoperto di foreste vergini. Le città erano concentrate in una zona circoscritta, dal clima temperato.

Ampelio aveva ragione: gli indigeni di Alberonia erano molto simili agli umani, ma più atletici e muscolosi, anche le donne. I quattro amici in missione provarono a salutarli, a chiedere informazioni. Niente da fare! Non rispondevano.

Che non ne fossero capaci? Eppure giravano ben vestiti e vivevano in palazzi dall’interessante architettura che richiamava forme arboree.

Arianna notò che ciascuno di loro portava un alberello o una piantina dentro uno zainetto sempre in spalla.

Alla fine del primo giorno sul nuovo pianeta, all’ennesimo tentativo di comunicare, rispose loro un geranio appeso alla schiena di una ragazzona nerboruta. Muoveva una minuscola boccuccia nascosta tra i petali:

«Alieni, è inutile che tentiate di ragionare con la mia umanoide! Questi esseri non parlano, non perché siano anatomicamente impossibilitati ad emettere suoni, ma perché la loro mente poco evoluta non ha mai sentito la necessità di comunicare in forma orale. Non occorre. Il linguaggio del corpo basta ed avanza. Con pochi gesti possono spiegare se hanno fame o sonno o se desiderano accoppiarsi a scopo ricreativo o riproduttivo. Altro non serve. Del resto non occorre che ragionino o studino! Lo facciamo noi vegetali al posto loro. Siamo noi a impartire istruzioni su come costruire le case, fabbricare utensili, confezionare i loro abiti. L’importante è che loro si mantengano in perfetta forma fisica. Devono pensare solo a quello! Queste creature sono le nostre braccia e le nostre gambe. Il cervello siamo noi».

Gli alberoniani correvano sempre, lungo le vie alberate della città e nei parchi. Quando pioveva, si allenavano in meravigliose palestre. Ogni tre ore, scioglievano polverine misteriose dentro caraffe d’acqua, e le bevevano, mentre i loro muscoli crescevano a vista d’occhio.

«Che sostanze stanno assumendo?», chiese Antenore al geranio.

«Proteine, vitamine e sali minerali. Tutto prodotto in laboratorio. Nulla di origine vegetale, naturalmente. A proposito, non sarete mica vegetariani, vero?».

«No! No!», esclamarono i quattro in coro.

«Ma i vostri umanoidi non potrebbero mangiare la carne degli animali?», chiese Arianna, avvicinando il microfono alla boccuccia della pianta, mentre Barry riprendeva tutto.

Il geranio cacciò un urlo inorridito:

«Ma scherziamo? Sarebbe cannibalismo! Non s’è mai sentita una cosa del genere. Nei quattro litri di bevande chimiche quotidiane c’è tutto ciò che occorre per sostenerli, energizzarli, far sviluppare al massimo la loro muscolatura. Se anche voi non mangiate nulla di origine vegetale o animale, siete i benvenuti!».

La nerboruta e il geranio si allontanarono, lasciando attoniti i nuovi arrivati.

Nei giorni seguenti, la giornalista e il suo cameraman intervistarono un ficus benjamin poeta, un ibiscus architetto, una buganvillea psicologa e un gelsomino docente di botanica universale.

Antenore e Clara li seguivano, osservando tutto e prendendo nota, in cerca di indizi utili a risolvere il caso dello scienziato scomparso.

L’investigatore era felice, perché l’alimentazione liquida di origine sintetica a cui si erano adeguati, per quanto fosse disgustosa, aveva valorizzato i pettorali di Arianna, che non stava più dentro ai soliti reggiseni. Intanto Barry osservava da dietro i fianchi ondeggianti di Clara, sempre più sodi e definiti. Potenza della nutrizione aliena da laboratorio!

Verso la fine dell’intervista il gelsomino si zittì per un attimo, poi esclamò:

«Che strano!».

«Che cosa?», domandò Arianna.

«Il nastro con le ranocchie viola che hai tra i capelli, terrestre popputa. L’ho già visto».

«Dove?», chiesero in coro i quattro.

«Il grande ippocastano astronomo che abita in fondo al viale s’è fatto fare un tatuaggio che assomiglia molto a quella cosa di stoffa che hai tra i capelli».

Salutato in fretta il gelsomino, si precipitarono dall’ippocastano.

L’albero astronomo aveva un’incisione nella corteccia: la cravatta verde con le rane legata attorno ad una scarpa rossa con il tacco a spillo.

«La cravatta del prof. Marzi – esclamò Antenore – e una scarpa rossa come quelle che indossa sempre Clara!».

L’ippocastano raccontò loro che aveva conosciuto mesi prima un terrestre che portava con sé una valigia piena di cravatte. Avevano conversato a lungo di astrofisica. Alla fine l’albero gli aveva chiesto di fargli un tatuaggio in ricordo del loro incontro.