Questo breve racconto di Umberto Folena ha le caratteristiche in nuce, dei racconti lampo di Frederick Brown, o l’ironia veloce di Robert Sheckley. Tanto per chiarire ai lettori più giovani che cosa intendo, mi sento in dovere di riportare questa famosissima Sentinella di Frederick Brown.

Frederick BrownSentinella
Fredricbrown Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa.
Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella a cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica.
Ma dopo decine di migliaia di anni quest’angolo di guerra non era cambiato.
Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo.
Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato.
E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico.
Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia…. crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.
Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata
la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica.
E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.
Stava all’erta, il fucile pronto.
Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui.
Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire.
Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso;ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame.

Detto questo (e letto questo) credo che gli aspiranti scrittori là fuori siano perfettamente in grado di terminare questo racconto con una sola, semplice, fulminante trovata finale. E noi siamo qui, pronti ad accoglierla. Alla trovata migliore assegneremo un premio: un originale del secondo numero de La Bottega del Fantastico. Non sottovalutate questo premio. Guardate qui…


Padova, Palazzo del Bò, Facoltà di Giurisprudenza, appello autunnale di Istituzioni di Diritto Romano. Il professor Italo Burdazzi Gentilini, meglio conosciuto come il Martello delle matricole e Sterminator, cacciati con la consueta gratuita cattiveria cinque candidati su sei, chiamava il settimo.

«Scalabrin».

«Eccomi».

«Si sieda. Ah, vedo che si è già seduto. Non abbia timore, chi ha studiato diligentemente non deve temere nulla. Nevvero, Negri?».

Vittorino Negri, l’assistente, 52 chili mal distribuiti attorno a un paio di occhiali bordati in tartaruga, annuiva col capo. Non sapeva se quel “nevvero” gli consentisse di aprir bocca e nel dubbio la teneva chiusa. Tacerà sempre.

«Bravo, Negri. Lei, Scalabrin: bel libretto, già due 30. Eppure la sua faccia mi è nuova. Ha frequentato le mie lezioni?».

«Assolutamente no, mai passato per la mente».

«Spiritoso. Lei ammette di non aver frequentato e si presenta lo stesso. Lei scherza».

«No. Non ho frequentato. Tutti sanno che lei si limita a leggere a voce alta il suo libro, che ci costringe a comprare guadagnandoci sopra, quindi tanto vale studiare quello senza perdere tempo con le lezioni. Sa, professore, io non ho TEMPO da perdere…».

«O scherza, o è pazzo».

«No, non scherzo. Faccio sul serio. Lei, Negri, è bravissimo a esserci senza sembrare di esserci, quindi dimenticherà tutto. È una fortuna che ai suoi esami non sia gradito il pubblico. Siamo soli. Professore, lei mi darà 30 senza farmi neppure una domanda. Tra, vediamo, 7 minuti».

«Oh oh oh, in trent’anni non mi era mai capitata una cosa del genere. E che cosa le fa credere un’enormità simile?».

«Lo so perché l’ho visto. Tra 7 minuti. Un 30. Senza lode, non pretendo tanto».

«Ma certo. Senta, fine dello scherzo. Mi dica…».

«Lei mi darà 30. Mai sentito parlare di viaggi nel tempo? Io so viaggiare nel tempo. Tra 7, anzi 6 minuti io sarò qui, dietro di lei. Ho già visto tutto. Un 30».

«Giovanotto, ora basta!».

«… O devo dirle della signorina Galante, quella con due seni così, che lei ha promosso un quarto d’ora fa? La osserva da mesi. Si rallegri: domani la incontrerà alle Padovanelle e la signorina saprà rendere tangibile la sua riconoscenza. Camera 112. Ho visto anche questo. Complimenti».

«Cosa? Ma come si permette?».

«Io viaggio nel tempo. Non mi chieda come, non lo so, sembra impossibile ma ci riesco. È una cosa che accade qui nella mia testa. Mi concentro e parto. Vuole una prova? Adesso vado ad assistere a una lezione di Galileo. E tornerò esattamente tra un secondo. Fatto. Vede? Questi sono gli appunti e questa è la barba di un giorno».

«Uhm, un trucco abile. Ma questa è la Facoltà di Giurisprudenza, non l’ora del dilettante!».

«Sono trascorsi 5 minuti e sono stanco, l’ultima notte nella Padova del Seicento non ho dormito. Tra un minuto lei mi darà 30. È già accaduto, nel futuro. Non ha scelta».

«E se non lo facessi?».

«Oh bella, ma non è possibile. Ho visto bene che lo farà, anzi che l’ha già fatto. Lei non può fare diversamente. Altrimenti…».

«Altrimenti?».

«Non saprei. Credo si formerebbe una biforcazione spazio-temporale, come se un fiume fosse costretto a dividersi tra due alvei. Un altro-lei darebbe 30 a un altro-me,mentre lei e io…».

«Io e lei?».

«Temo che accadrebbe qualcosa di terribile. Temo che il tempo non ami i paradossi».

Il professor Burdazzi Gentilini sogghignò. Studenti balordi ne aveva incontrati tanti, ma questo li superava tutti. Il ghigno si allargò. Godeva sempre quando poteva scrivere 12 sui libretti di quei maschi orgogliosi, gonfi di testosterone, che solo perché giovani credevano di poter disporre di tutte le pollastre dell’Università. Le Padovanelle… Sì, una buona idea. Negri era assente come al solito. Scalabrin invece strabuzzava gli occhi, apriva la bocca senza che ne uscisse alcun suono. Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta, dodic…