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Fabio Carta

Come per il primo romanzo di Fabio Carta, della serie Arma Infero (Il Mastro di forgia) che abbiamo già trattato in un altro articolo, anche questa volta ho preferito condurre una sorta di contraddittorio con l’Autore, invece di limitarmi a una recensione e via. Stiamo parlando del secondo romanzo di Arma Infero, vale a dire I Cieli di Muareb.

L’idea che mi sono subito fatto di te, caro Fabio è che tu sia una specie di genio, con tante (forse troppe) cosa da dire. Come per il primo libro di Muareb, anche qui andiamo oltre le (virtuali) mille pagine: non è stampato, non ho trovato traccia della reale dimensione in pagine, ma secondo me sono almeno 1.500! Il calcolo è stato eseguito in base ai miei tempi di lettura: 44 capitoli, che dovrebbero essere in media sulle 35 pagine, per un totale di circa 1.500 pagine.

Beh grazie infinite per avermi dato del genio. Anche se temo che come preambolo sia per indorarmi un po’ la pillola: devo preoccuparmi?

Non sarei così spaventato. Anche se qualcosa non mi è piaciuto come ti dirò tra poco.

L’ambientazione è il terribile pianeta Muareb, costruito, come dici tu stesso nel nostro articolo precedente, sull’aspetto e sulle condizioni di Marte: vale a dire un pianeta mortale se non affrontato con scafandro spaziale. Ci sono naturalmente deserti estesissimi e credo che gli Autori italiani siano particolarmente attratti dai deserti: si veda per esempio il bravo Dario Tonani con Mondo9. Hai qualche idea sul perché?

Il fascino del deserto fa da cornice a tutte le grandi storie, non soltanto fantascientifiche. La pace sepolcrale e l’uniformità monotona, venti che sussurrano della caducità di tutto e di tutti, che ispirano il divino in ognuno; eppure anche una grande sfida, l’oceano di sabbia e fuoco, ostile e spietato, in cui l’eroe è forgiato, in cui persino il figlio di un dio è tentato.

Infatti, a cominciare da “Dune.” Qui la storia ha un protagonista insolito: una specie di motocicletta da battaglia chiamata Zodion. Esiste sul pianeta tutta una classe di artigiani-artisti dedicati allo sviluppo degli Zodion, dei quali nessuno possiede il progetto originale, che rimane in gran parte misterioso. Dal punto di vista del lessico utilizzato da Fabio, le macchine sono equiparate a dei cavalli: l’andatura infatti è a volte al trotto, a volte al galoppo sfrenato e i conducenti degli Zodion sono considerati dei cavalieri.

Nulla da eccepire nella descrizione che fai dello zodion, anche se appare un po’ tardiva, perché nel secondo volume, dove la motocicletta è destinata a evolversi in un aeromobile, così come tu hai potuto leggere e come chiunque può intuire già dal disegno della copertina (come dal sottinteso del titolo).

Ah vabbè. Dalla copertina io non l’avevo capito, ma non volevo fare dello spoileraggio. Comunque va bene: nel secondo volume trovano il modo di far volare gli zodion.

panNella descrizione ambientale di questo mondo (descrizione che mantieni spartana) esistono degli animali detti fauni. Anzi non esistono altri animali su tutto il pianeta, se non questi fauni. Non li hai mai ben descritti, si sa tuttavia che assomigliano agli Zodion, ché proprio ai fauni ci si è ispirati al momento della costruzione di queste macchine belliche. I fauni di Muareb hanno le corna e quindi dovrebbero essere qualcosa che ricorda i fauni mitologici. Sono bestie da soma, quindi si presume grandi. La cosa originale nel testo è che quando se ne parli tali esseri sono trattati come se fossero dei polli:

[…] Immerso nella calda luce dorata il balivo dava placidamente il becchime a diversi cuccioli di fauno radunatisi attorno a lui, mentre una chioccia, che brucava il prato lì nei pressi, di tanto in tanto levava il minaccioso capo cornuto per vigilare sui propri pulcini.

Nonostante la guardinga mamma non smettesse di controllarli, non v’era motivo di preoccupazione per i pulcini, ché Skotia li nutriva sorridente ammantato di una lucente e invidiabile aurea di santità, lanciando foraggio a destra e manca, coccolando la pigolante nidiata intorno a lui con sommesse esortazioni a pascersi […]”

Queste sono i passaggi che mi fanno capire una certa genialità!

Prima di rispondere in maniera più estesa, scusami, ma non capisco cosa intendi quanto dici che la mia descrizione ambientale sarebbe “spartana”. È una critica nella forma della descrizione (un modo per dire che non è abbastanza elaborata?) oppure è un appunto rivolto al merito, un aggettivo volto a voler in qualche modo evidenziare – oppure criticare – le caratteristiche che connotano la durezza della sopravvivenza sul pianeta. Immagino comunque che sia una critica rivolta al contenuto, poiché poi ti concentri sul fauno, particolare per quanto mi riguarda marginale nella narrazione.

Ops! Quando dico spartana, intendo succinta ed essenziale. Non è affatto una critica: può darsi che altri avrebbero perso tanto tempo nel descrivere l’ambiente. Alcuni lo avrebbero fatto anche molto bene, ma ogni scrittore ha il suo stile. Nel tuo caso la prosa relativa all’ambiente tende ad essere molto tagliente, scabra e questo non è da criticare: tu la vedi a quel modo.

Ok, parliamo del fauno. La storia del fauno c’è e, come per la descrizione del fauno, è un argomento che ho voluto trattare nel primo volume, quando – in una delle mie lunghe e tediosi digressioni di infodump – spiego la fabbricazione artificiale per mezzo di ingegneria genetica del suddetto animale ibrido, creato per dare pelliccia, carne, latte e uova: tutto in un solo elegante caprone oviparo, quasi un grifone/ippogrifo mitologico, per quanto senza ali. I fauni a cui ti riferisci, presumo i satiri di cui alleghi la bella immagine, semplicemente non c’entrano un… tubo. Io, infatti, non ho mai parlato di sembianze umane nell’animale. Semmai nella rappresentazione arcana nella struttura dello zodion, che all’ibrido zoomorfo pare – e preciso pare – aggiungere un non so che di antropomorfo.

Questo è interessante: vedi, anche se ho letto con gran cura (te lo posso garantire) i due libri, questo passaggio, alla lunga, mi era del tutto sfuggito. Questo è uno dei problemi con i testi troppo lunghi: va a finire che alcune parti si dimenticano, o addirittura non ti restano impresse quando dovrebbero. Tra l’altro io, se fossi stato quello che scriveva il romanzo, avrei ampliato la storia dei fauni! A me sono piaciuti molto. Quindi il tuo lavoro è davvero notevole e sarebbe perfetto se solo fosse un po’ più limato. Poi, sai, anche a me piace farmi trasportare dalle mie passioni, per cui quei capitoloni tecnici, se io fossi il tipo, li avrei voluti scrivere assolutamente. Quelle discussioni politiche, personalmente non le avrei mai scritte, ma capisco che se ti piacciono ne sei attratto. Tuttavia uno scrittore deve conoscere i limiti dei suoi lettori. In questo senso la mia critica è parzialmente negativa. Va a finire che la storia diventa troppo difficile da seguire: ci sono interi capitoli in cui si sommerge il lettore con pseudo formule scientifiche sulla costruzione di mai visti zodion. Una scienza immaginata, che non porta in verità alcun giovamento alla curiosità del lettore.

Capisco come il tentativo di rendere plausibile quanto raccontato dal narratore in prima persona, che è uno scienziato, possa talvolta essermi sfuggito di mano. Ho letteralmente goduto perdendomi nel gioco della verosimiglianza fantascientifica, cercando di rendere tutte le mie fantasie coerenti tra loro. Pesante, tedioso, roba per lettori della più HARD tra le hard sci-fi, quasi da vietare ai minori di anni 18. Ci sto, me ne potrei persino fare un vanto. Ma che c’entra la storia? Pseudo formule? Non ho mai riportato una cifra: le mie misurazioni, coerentemente con il tipo di scienza alchemica, tradizionale e “baconiana” hanno sempre aborrito i numeri. Ripeto, non un numero. Nemmeno quando ho parlato di distanza, altezza, portata. Le città distano “giornate” di viaggio, non chilometri. Le persone sono alte “una spanna” più di altre; “diverse braccia” è il metro con cui si misurano i cannoni. Ridicolo? Forse. Ma le formule dove sono? Formule sui “mai visti zodion” … scusami.

Ok, ok! Mi sono mal espresso: non volevo dire formule, intendevo descrizioni tecniche. Ci sono pignolissime descrizioni tecniche, che francamente dopo un po’ risultano pesanti. Anche qui, non è una critica: se io fossi stato il tuo editor ci saremmo scontrati affinché tu limassi di molto queste pagine. Al di là del valore del tutto. Non dico che uno è un genio per poi dirne male.

La maggior parte delle critiche che ho ricevuto sul primo volume sono state proprio sull’eccessivo spazio lasciato allo zodion, alla sua minuziosa descrizione, al limite del maniacale. Mi spiace che questo mio inutile e confusionario “sbattimento pseudo-scientifico” non abbia poi sortito nessun effetto in te, non riuscendo a stimolare nemmeno un briciolo di curiosità. Per fortuna altri lettori mi hanno detto diversamente. Per fortuna. Sai, c’ho lavorato un bel po’…

Anche per me la descrizione dello zodion del primo libro è interessante, ma come ho detto per il primo libro si tratta di una spiegazione “dettagliata anche se sfuggente.” E questo credo sia un merito. La descrizione non intende far capire esattamente come sia uno zodion, ma quanto lo ami il personaggio che lo descrive. Ho portato allora degli esempi di simili operazioni letterarie, tra cui Il giuoco delle perle di vetro, di Herman Hesse, ma qui aggiungo soprattutto Nella colonia penale” di Kafka, che è il racconto che più ho amato su quello stile. In questo secondo romanzo queste descrizioni mi sono sembrate troppo pignole. Ma sai, forse sbaglio io!

Tuttavia a questo punto vorrei sottolineare una nota importante, che nel libro c’è l’amore, molto ben trattato. Qui la tua mano si rivela particolarmente ricca: il passaggio del personaggio principale, Karan, da un amore convinto per Luthien, fino a una separazione annoiata, è trattato davvero molto bene. Le difficoltà familiari, le gelosie… Scritto benissimo e senza niente da eliminare.

Ad ogni modo (mia sensazione, per carità) se nel primo libro, la metà iniziale risultava più debole, qui succede forse l’esatto contrario: a fronte di una prima metà scintillante, segue una seconda metà in cui troviamo fin troppe battaglie, morti sanguinolente, spietati nemici e tantissima filosofia. Anche la messianica trovata finale mi sembra un poco stiracchiata, direi non sufficientemente giustificata, come se fosse un pezzo di racconto separato.

Qui, mi dispiace, non so che risponderti perché, in fin dei conti, mi demolisci il libro. Una prima metà scintillante e l’altra semplicemente da buttare…

Non ho detto questo. È vero che la prima metà a me è piaciuta moltissimo. Il viaggio in treno, l’amore per Luthien, la vita nelle terre di Gargan e tante trovate originalissime. La seconda parte diventa un po’ film d’azione. Insomma, questi sono i miei gusti.

Accetto l’aggettivazione critica quando dici “messianica” perché rende bene l’idea.

Che sia “messianico” non è un difetto, né una critica. È uno status del racconto.

Infatti non è una svista, non un’esagerazione indesiderata: è esattamente quello che mi proponevo. Lakon come messia. Peraltro lo si capisce già dall’antefatto del primo volume: che altro aspettarsi man mano che si avanza nella trama? Quello che brucia è l’insinuazione che abbia raccattato un mio vecchio racconto (o stralcio di romanzo) per adattarlo al finale, tanto per riempirlo, magari per giungere all’agognato traguardo delle 1000 pagine.

Ma il difetto non sta nel “messia.” Semmai sta nel cambio repentino (troppo?) di ambientazione. Sai, l’impressione è di un netto salto tra prima e dopo un certo avvenimento. Secondo me si poteva far meglio, ma, vorrei sottolinearlo, non come dici tu, un po’ seccato, buttando via tutto. Niente affatto. Hai fatto un lavoro grandioso e lungi da me l’idea di considerare mal fatto qualcosa che in verità è molto originale. Io so che potrebbe essere molto più che un bel libro: potrebbe essere un bellissimo libro! Anche se bisognerebbe lavoraci un po’ con calma.

Temo che, come nella premessa dell’indoratura, anche questa conclusione sia abbastanza superflua, quasi ipocrita.

E vabbè, non devi prendertela con il critico. In genere i critici sono dei pomposi imbecilli! Però io consiglierei i lettori di leggere subito queste due opere per poi di farci sapere che cosa ne pensano. Grazie comunque per la tua disponibilità.

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.