La storia deriva dalle mie lunghe ricerche sugli attentati a Kennedy e ad altri presidenti americani, che ha dato luogo a diversi racconti, al mio secondo romanzo Seppelliamo re John (1971) e al saggio La serie maledetta (1980); e richiama una infinità di storie (film, romanzi, racconti) imperniati sulla violenza, sull’uso indiscriminato delle armi e sull’omicidio politico in America.

(Il Corriere di Arezzo, aprile 1995)

 

“Interrompiamo le trasmissioni per un comunicato speciale. Il Presidente Horton è stato fatto segno a un attentato a mezzogiorno e dieci, mentre usciva dal Biltmore Hotel di Los Angeles. Due uomini gli hanno sparato da un cavalcavia e sono fuggiti. Le condizioni
del Presidente sono gravi. Attenzione, ripetiamo. Il Presidente Horton è stato…”

 “Sono due bianchi. Li hanno visti salire su un’auto azzurra, una Lincoln a quanto pare.”

Il Vicepresidente Gaunt strinse i pugni. “E si sono dileguati. Maledizione! Ascoltatemi bene: che il Presidente viva o muoia, quei due devono essere acciuffati. Entro oggi. A costo di mobilitare l’Esercito e la Guardia Nazionale. A costo di rivoltare Los Angeles come un guanto. Mi avete capito bene?”


Il canotto scivolava leggero lungo il grande condotto coperto da una volta di mattoni.

“Un posto ideale per nascondersi” disse Carven. “Non c’è neanche troppa puzza. Se non fosse che di tanto in tanto salta fuori qualche dannato alligatore…”

Holly guardò il quadrante luminoso del suo orologio. “Coraggio, ancora nove ore. Il tempo lavora per noi.”


“Il Presidente Horton è morto questa mattina alle sette, dopo essere rimasto tutta la nottata sotto i ferri. Il vicepresidente Gaunt ha prestato giuramento nelle mani del giudice Parker. La caccia ai due attentatori continua…”

“Ancora niente?”

L’uomo dell’FBI si strinse nelle spalle. “Sembrano essersi volatilizzati.”

“Porca maledizione!” disse il Presidente ad interim Gaunt. “Duecentomila uomini che setacciano ogni buco di Los Angeles, e nessuna traccia! Cosa dirà di noi la Nazione? Cosa dirà il mondo?”


La grande fognatura terminava in un ambiente idilliaco: colline e boschetti. Carven e Holly uscirono fuori cautamente, abbandonando il canotto.

“Mezzogiorno e otto minuti” disse Carven. “Beh, ormai è andata, siamo fuori.”

“È andata solo per uno di noi” ribatté Holly in tono neutro.

“Non potremmo risolvere la cosa pacificamente?” chiese Carven.

“No, e lo sai. Il posto è uno solo, ed entrambi lo vogliamo.”

Carven si strinse nelle spalle. “Hai ragione, come sempre. Però mi dispiace: andavamo così d’accordo.”

“È la vita” disse Holly.

I due si allontanarono in direzioni opposte ai margini del boschetto. Fatti dieci passi, entrambi si girarono estraendo le pistole.

Risuonarono due colpi quasi simultanei, ma uno si perse nell’erba. Fu Carven a cadere stecchito.

Holly rinfoderò la pistola. Dette un’occhiata al compagno di fuga, si chinò a tastargli il polso. Poi scosse lentamente la testa.

Si ravviò i capelli e guardò in alto, verso gli elicotteri che, richiamati dagli spari, stavano calando verso di lui come un nugolo di calabroni. Da uno degli elicotteri scese Gaunt circondato da alti papaveri in uniforme.

Tutt’intorno, un muro di poliziotti. Holly si diresse tranquillo verso di loro.

Passò attraverso gli agenti della cerchia esterna strappando gesti e grida di ammirazione. Un agente gli accese la sigaretta, un paio di altri gli batterono pacche sulla spalla. Un altro volle stringergli la mano.

Arrivò davanti a Gaunt che si mordeva le labbra, bianco come un cencio. Gli strinse la mano scuotendola con forza; era molliccia, inerte.

“Ti è andata male, ragazzo” gli disse guardandolo negli occhi smorti. “Non prendertela: la vita è una grande partita.”

Un giudice di pace dall’aspetto di gufo saggio si materializzò come per incanto, la Bibbia in mano.

“Come ti chiami, figliolo?”

“Chester G. Holly, Vostro Onore.”

“Alza la mano destra. In base al XXXV Emendamento della Costituzione che recita: ‘Chi riesce a uccidere il Presidente e a sopravvivere per le successive ventiquattr’ore senza essere catturato o ucciso, ha diritto a succedergli’, io ti proclamo, Chester Holly, quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti.”

“Giuro di difendere la Costituzione” disse Holly senza riuscire a trattenere un sogghigno.