Claudine Delors e Jean Paul Clement erano praticamente cresciuti assieme. Vicini di casa, amici inseparabili e compagni di classe alle elementari, alle medie e al liceo, avevano poi scelto entrambi la Facoltà di Fisica all’Università di Parigi, laureandosi lo stesso giorno.
Andavano molto d’accordo, pur avendo caratteri diversi: tanto Claudine era riservata, timida e metodica, quanto Jean Paul era estroverso, impulsivo e disordinato. Per di più, nonostante eccellessero entrambi negli studi, Claudine si era sempre classificata un gradino sopra a Jean Paul, che non aveva mai nascosto una certa delusione e anche un po’ di invidia verso la “prima della classe.”..
Dopo la laurea, entrarono come ricercatori presso il Laboratorio di Fisica Sperimentale grazie ad una borsa di studio.
Formavano una squadra molto affiatata, che acquistò ben presto notorietà internazionale grazie alle molte invenzioni e innovazioni tecnologiche che scaturivano dalla fantasia e dal genio creativo di Claudine, ma era Jean Paul che ne intuiva le applicazioni pratiche e le traduceva in pubblicazioni scientifiche, relazioni ai Congressi, brevetti, contratti con le industrie.
La sua ambizione lo spingeva a mettersi in mostra ad ogni occasione, a prendere contatti con le persone che contavano, a darsi da fare per trovare i fondi per la ricerca… tanto che, dopo pochi anni, riuscì a vincere un concorso a Professore di ruolo presso l’Università.
Claudine era contenta dei successi dell’amico, pur sapendo che li doveva in gran parte a lei: non amava mettersi in competizione, e la carriera accademica non le interessava più di tanto, preferiva stare nel suo laboratorio. Il successo delle sue invenzioni era una gratificazione sufficiente, e poco importava se il suo nome era quasi sempre in secondo piano.
Oltre alla Fisica, i due condividevano una grande passione per l’archeologia: nei rari periodi di vacanza organizzavano spedizioni in varie parti del mondo alla ricerca di oggetti preistorici.
Finora non avevano avuto troppa fortuna, il loro bottino consisteva in qualche decina di punte di freccia, pezzetti d’osso incisi, cocci di vasellame: piccole cose che si potevano osservare in quantità nei Musei specializzati.
Le tenevano in un armadio metallico del laboratorio (l‘Armadione), con la segreta speranza di trovare un giorno il “pezzo unico”, quello che nessun altro aveva mai scoperto.
“Ce la faremo, vedrai – disse una sera Jean Paul – Sono sicuro che un giorno troveremo qualcosa di eccezionale e diventeremo famosi. A costo di andarselo a cercare… nel passato!” concluse ridendo.
Ma Claudine si era fatta improvvisamente seria. “Cos’hai, ti senti poco bene?” “No, no… sono solo un po’ stanca. Ci vediamo domani, buonanotte.” Jean Paul rimase interdetto, ma capì che aveva in mente qualcosa… ormai la conosceva bene!
Il giorno dopo, Claudine non si mosse dal laboratorio. Jean Paul le portò da mangiare, era immersa in complicati calcoli al computer e lo ringraziò a monosillabi: inutile proporle di uscire, quando faceva così non la smuovevano neppure le cannonate.
Rimase lì per tre giorni, alla fine lo chiamò. “Ti devo parlare, è importante. Quello che hai detto l’altro giorno mi ha fatto venire un’idea.”
Jean Paul l’ascoltò per un’ora filata, non riuscì a seguire proprio tutte le spiegazioni e i calcoli, ma alla fine era sbalordito.
“Fammi capire… tu credi davvero che si possa andare indietro nel TEMPO? Ma tutte le teorie lo escludono in modo assoluto…”
“QUESTA è una teoria nuova – ribatté lei con decisione. – Le altre trascurano certi aspetti… Ti ripeto, il tempo è… una specie di onda, applicando particolari campi di forza la si può deformare, modulare… e quindi, se si riesce a far coincidere due nodi, è possibile passare da un punto all’altro.”
“Ho capito bene?” concluse lui. Claudine annuì, soddisfatta. “Allora io potrei… che so, vedere l’incoronazione di Napoleone? O l’assassinio di Giulio Cesare?” fece Jean Paul, ironico.
“Non proprio. Non scherzare, è una cosa seria. Vedi, le onde del tempo sono estremamente lunghe… diciamo che due nodi adiacenti sono separati da circa venti-trentamila anni. Come minimo potresti andare nel Neolitico, magari a cercare qualcosa di… interessante.” Si voltarono verso l’Armadione, ridendo.
Jean Paul si mise subito a cercare i finanziamenti, ovviamente non potevano parlare di viaggi nel tempo: li avrebbero presi per matti.
Il progetto fu mascherato come nuove tecniche di conservazione degli alimenti.
“Se la macchina non funziona, possiamo sempre riconvertirla” disse Jean Paul. “Ma se funziona…”
.”..riveliamo la verità e ci guadagniamo la gloria. E magari qualcosa di più!” concluse Claudine.
Lavorarono a ritmo serrato per circa un anno, alla fine la Macchina era pronta per la sperimentazione.
Era una specie di grossa cabina sovrastata da fasci di tubi colorati, con una consolle piena di bottoni luminosi. La provarono una sera, in segreto. Jean Paul chiuse nella cabina una bottiglia del laboratorio, mentre Claudine introduceva con cautela in un foro della consolle un cilindretto metallico rosso lucente, con una corona di elettrodi a un’estremità: era il cuore del sistema, il crono-modulatore che conteneva tutti gli elementi necessari a realizzare la deformazione temporale.
Con il batticuore, accese la macchina: le luci nella cabina lampeggiarono, sempre più rapide, un ronzio acuto crebbe di intensità fino a farsi assordante. A un tratto comparve una specie di nebbia opalescente, la bottiglia cominciò a tremare e parve sfumare lentamente, finché non scomparve con uno schianto.
Jean Paul e Claudine attesero trepidanti per un paio di minuti, le dita incrociate per scaramanzia. Un grido di trionfo accolse l’improvvisa ricomparsa della bottiglia: “Funziona!”
Jean Paul era raggiante, ma Claudine ne raffreddò l’entusiasmo. “Be’, almeno sappiamo che non si disintegra… ma che abbia viaggiato nel tempo, dobbiamo ancora provarlo!”
I dubbi scomparvero quando inviarono nel passato uno speciale apparecchio per raccogliere campioni d’aria: le analisi confermarono che erano compatibili con la presunta atmosfera terrestre di circa trentamila anni fa. Poi venne il giorno dell’esperimento decisivo, quello che avrebbe aperto anche a loro le porte del passato.
“Jean Paul, stavolta ho un po’ di paura… “
“TU, hai paura? E cosa dovrebbe dire LUI?” ribatté Jean Paul indicando nella cabina il coniglietto bianco, che stava per compiere il balzo più ardito della Storia.
Ma tutto andò liscio: l’animale ritornò sano e salvo, dimostrando che gli esseri viventi potevano sopravvivere al viaggio senza danni apparenti.
“E ora tocca a noi.” Jean Paul appariva risoluto, ma Claudine era dubbiosa.
“Sei proprio sicuro di volerlo fare? Può essere pericoloso…”
“Ma certo! Non ci sono rischi, ormai di prove ne abbiamo fatte abbastanza. Piuttosto, dovremo studiare con cura tutti i dettagli…”
Due mesi dopo, era pronto per il grande viaggio: “Mi sento un po’ ridicolo, con questa pelle d’orso…”
Claudine ridacchiò. “Mica vorrai presentarti in smoking, agli uomini preistorici!” Poi gli consegnò una specie di orologio con vari quadranti. “Questo non dovrai portartelo a giro, come del resto nessun apparecchio moderno: non possiamo creare degli anacronismi. Devi nasconderlo in un posto che tu possa ritrovare facilmente, e fare in modo di essere lì quando l’orologio segnerà lo zero, altrimenti la macchina non ti potrà riportare indietro. Qui saranno passati cinque minuti esatti, ma nel “tuo” ambiente, per effetto della deformazione temporale, passeranno – fece un rapido calcolo – ventiquattro giorni, dieci ore e diciotto minuti. Dovrai calcolarli osservando il sole e le stelle…”
“Sta’ tranquilla, ho fatto il corso di sopravvivenza. Ce la farò. E se posso, ti porto un souvenir!” disse Jean Paul, ammiccando.
A Claudine tremò la mano quando accese la macchina. Il solito ronzio, uno schianto e Jean Paul si dissolse nella nebbia della cabina, per ricomparire dopo cinque interminabili minuti. Un po’ stordito ma bello abbronzato, con la barba lunga e un oggetto rotondo in mano.
Si abbracciarono.
Poi il racconto: “Ho visto paesaggi incredibili, ho cacciato animali strani e mangiato piante dai sapori insoliti. E ho incontrato gli UOMINI. Una famiglia, il capo si chiamava Chlun, non erano molto diversi da noi. Mi hanno accolto dapprima con diffidenza, poi abbiamo fatto amicizia e ho imparato a comunicare, pochi concetti essenziali in una lingua gutturale. Chlun c’è rimasto un po’ male quando me ne sono andato, ma ho promesso che tornerò. Mi ha regalato questo: oltre che un bravo cacciatore, è un ottimo artigiano…” e mostrò una scodella di legno finemente scolpita con figure di animali e piante, che venne riposta religiosamente nell’Armadione.
I viaggi nel tempo proseguirono per alcuni mesi, e ogni volta c’era un nuovo, prezioso reperto per la collezione: una lancia lavorata a motivi geometrici, statuette di pietra, arnesi da lavoro dipinti a colori…
“Prima o poi faremo una mostra” suggerì Claudine. “Non si sono mai viste cose del genere, sarà eccezionale!”
“Ma prima di quella, dobbiamo annunciare al mondo la nostra invenzione” disse Jean Paul. “Farò un viaggio in diretta, durante una conferenza stampa. E non riferirò dei nostri esperimenti, dirò che è la prima volta… sarà ancora più emozionante! Fìdati… so quel che faccio” aggiunse, notando lo sguardo attonito di Claudine.
La notizia-shock fece il giro del mondo in un lampo. Quel giorno, la Polizia ebbe un bel po’ da fare per tenere a bada le decine di giornalisti che si accalcavano intorno al laboratorio, tempestando Jean Paul di domande:
“Professore, come ha fatto a realizzare questa macchina?”
“Be’, abbiamo… ho avuto un’intuizione più di un anno fa, da allora ci… ho lavorato in segreto. È stato un progetto molto difficile, ma alla fine… ce l’ho fatta. Questa è la prima volta che la utilizzo per un essere umano, ma non voglio rischiare la vita altrui: sarò io stesso a riportarvi le prove di un viaggio nella preistoria!”
“Professore, non pensa che una scoperta del genere le dovrebbe assicurare il premio Nobel?”
“Ecco, non so… io… immagino di sì. Ne sarei lusingato… Ma ora scusate, è l’ora, dobbiamo proprio andare.”
In un angolo, Claudine lo stava fissando con un’espressione strana. Lui non se ne era accorto, o forse evitò volutamente lo sguardo andando in fretta a prepararsi per l’esperimento.
Giornalisti e Autorità, in circolo attorno alla macchina, accolsero con un mormorio di sorpresa il ritorno di Jean Paul in abbigliamento preistorico. “Ora la mia assistente metterà in funzione la macchina. Non dovrete attendere molto, starò via solo cinque minuti, ma nel “mio” tempo passerà circa un mese. Dottoressa Delors, vogliamo procedere?”
“Sì, Professore…” Claudine chiuse la cabina, poi manovrò nervosamente i comandi. Un lampeggiare di luci, un ronzio ed il consueto schianto quando Jean Paul scomparve, fra le grida impaurite dei presenti.
Passarono cinque minuti, in un silenzio irreale. Ne passarono sei. Poi sette. Poi dieci. Claudine premeva spasmodicamente i bottoni della consolle, tremando come una foglia. Poi qualcuno osò chiedere: “Dottoressa… che succede?”
“Io credo… credo che non abbia funzionato…” rispose lei con un filo di voce. Poi svenne, nella confusione generale.
°°°
Nella pace della sua casa, dopo la giornata convulsa, Claudine si poté finalmente rilassare davanti alla TV:
“Telegiornale della sera. A Parigi un noto Professore di Fisica, Jean Paul Clement, è scomparso misteriosamente durante un esperimento di viaggio nel tempo, preannunciato con grande risonanza alcuni giorni fa. La Polizia ha archiviato il caso. L’assistente del Professore, Dottoressa Claudine Delors, ha dichiarato fra le lacrime: “Forse la macchina non era ancora a punto per un esperimento così rischioso. Glielo avevo detto, ma lui ha insistito per provare. È una grande perdita, sarebbe stata una svolta nella storia nell’umanità… senza di lui, il progetto verrà abbandonato…”
Ascoltava distrattamente. Nei suoi pensieri prendeva forma un altro telegiornale, chissà, forse tra qualche mese…
°°°
“Straordinario successo della mostra di manufatti preistorici scoperti dalla Dottoressa Claudine Delors durante una fortunata spedizione. Gli oggetti sono stati rinvenuti in una caverna profonda, dove l’ambiente secco e la scarsa circolazione d’aria li hanno preservati dalla corrosione atmosferica, lasciandoli in uno stato di conservazione mai visto prima d’ora…”
Si riscosse dal sogno, poi si alzò ed uscì di casa. Quella sera aveva voglia di qualcosa di diverso, magari una pizza, poi un gelato e un cinema. Mentre camminava con passo leggero, estrasse un oggetto dalla tasca e lo gettò in un cestino dei rifiuti. Un cilindretto metallico, rosso lucente.
Le immagini sono state realizzate con Intelligenza Artificiale Microsoft.
Enigmista tra i più accreditati e soprattutto chimico di valore, oggi in pensione. Ama scrivere e qualcosa di suo è arrivato fino a noi.