… pissi pissi bau bau… pissi pissi BAU BAU…

«Sì, sì, va bene.» Bofonchiò Girolamo, e si girò dall’altra parte.

… PISSI PISSI BAU BAU… PISSI PISSI BAU BAU…

«HO CAPITO!!» Urlò Girolamo sbattendo il palmo della mano sulla sveglia per farla star zitta, ché se non l’avesse fatto quella avrebbe continuato fino a pile scariche. In realtà, la rabbia di Girolamo non era tanto per l’interruzione del sonno (mica era stata una decisione della sveglia, era ben stato lui a programmarla), quanto per l’interruzione del sogno che stava vivendo da una buona mezz’ora. Tempo onirico, naturalmente, che non c’entra affatto con quello reale o, per meglio dire, con quello individuale che ognuno, se ne renda conto o meno, manipola per conto suo.

Ad ogni modo, senza tante disquisizioni sulla natura del tempo, quell’ultima mezz’ora era stata per Girolamo un vero sballo, ma poteva essere nulla a confronto di quanto immaginabile a partire dal momento del pissi pissi bau bau in poi, da quando cioè la ragazza con i capelli neri tagliati a caschetto aveva cominciato a tirar giù la zip della maglietta.

Il giovane rimase immobile a occhi chiusi cercando di far continuare il sogno, che invece già sentiva sbiadire nei contorni e che sarebbe svaporato del tutto appena lui avesse alzato le palpebre. Niente da fare. Non avrebbe mai saputo come sarebbe andata a finire dopo che quella meraviglia della natura dai bui capelli a caschetto aveva messo mano alla zip. Il volto della ragazza e tutto il resto si allontanavano sempre più verso la dimensione inaccessibile dove vivono i sogni. E pensare che siamo noi a crearli, pensò Girolamo con un sospiro.

Ancora tutto ingrippato, buttò da parte il lenzuolo e ricorse all’algidità della doccia per ricomporsi e nella mente e nel corpo.

La mattina passò come al solito nella cancelleria del tribunale in un continuo insulso colloquio a distanza con branchi di utenti invisibili. Inutile che gli scaraventassero sul video i problemi più impensabili come se lui avesse la soluzione per tutto. Perché lui, di problemi, non ne aveva? Adesso, per esempio, c’era la faccenda del nuovo registro. Faglielo capire al normale cittadino cosa significa ottemperare alla compilazione e all’incasellamento delle spese erariali e dei rimborsi spese di tecnici, periti e interpreti sulla base delle nuove direttive! Il suo tavolo di lavoro aveva le misure standard di qualsiasi altro tavolo impiegatizio di livello B, sufficiente cioè per accogliere computer, portapenne, blocchetto di post-it ed eventuale cornicetta con foto di persona cara. Ebbene, un paio di giorni prima era arrivato in tutte le cancellerie d’Italia il nuovo modello di registro. Aperto, misurava un metro e quaranta centimetri. E doveva essere compilato a mano. Erano già passati due giorni senza che nessuno fosse ancora riuscito a trovare un compromesso tra misura del registro, superficie del tavolo e possibilità di compilazione manuale.

Tutto questo aveva contribuito a liberare la mente di Girolamo dalle turbe sessuali provocate dal somnium interruptus. Però, durante il break, spento il video e aperto il contenitore della colazione, il rosso del ketchup tra la morbida parentesi dell’hamburger gli risvegliò sfilacci onirici, rimpolpati dal caffè che, dall’eburneo bicchierino di plastica, suggeriva lo stesso nero di una capigliatura a caschetto.

La cancelleria era sprovvista di docce, e così, fino alle quattro del pomeriggio, ora di chiusura del terminale, per Girolamo fu un tormento. Lui cercava di incastrare la faccenda entro i limiti della normalità, dopotutto mica era la prima volta che sognava situazioni del genere, ma non ci riusciva. Come mai un semplice sogno gli procurava tanto scombussolamento ormonico? Non poteva nemmeno addebitare quell’effetto ad astinenza, i rapporti con Biancamaria essendo regolari e di tutto rispetto e di piena soddisfazione… o no? Be’, proprio di piena soddisfazione non poteva dirlo, ma si sa che dopo un certo periodo tutto diventa routine.

Mentre rientrava a casa, l’unica soluzione a cui Girolamo era arrivato consisteva in un incontro con Biancamaria quella sera stessa. Avrebbe fatto in modo di convincerla anche se non era sabato, e ogni angustia sarebbe stata debellata.

Rinfrancato, programmò la strategia per circuire Biancamaria con puntatina allo snack girato l’angolo dove facevano polpette di vera carne che manco al New Haven con le sue cinque stelle, e poi Vacanze di Natale su Venere al cinema d’essai su schermo normale, senza cuffie e con poltrone prive di effetti speciali (lui si considerava l’ultimo romantico in materia di cinema d’autore. Biancamaria un po’ meno, ma insomma…)

Il caschetto di capelli neri stava diventando ormai una banale macchia, il fruscio della zip che cominciava a scorrere verso il basso nient’altro che un rumore… Bene.

Girolamo seguì il programma. Riuscì a strappare a Biancamaria la promessa di un rapporto estraneo ai normali parametri settimanali, assicurando comunque che la cosa non si sarebbe mai più ripetuta e tutto sarebbe rientrato nella canonicità del sabato sera.

Al momento di stendersi sul letto, Girolamo si era completamente riappacificato con se stesso. Aveva speso una fortuna per quella tuta ma ne valeva la pena, era stato ripagato in misura addirittura maggiore di quanto proclamato dalla pubblicità della televendita. Azionò lo schermo piazzato sul soffitto sopra il letto. Il conto alla rovescia stabilito con Biancamaria era a meno 3’ e 43”. Le coordinate della ragazza erano già inserite e bastava premere l’on. A meno 30” apparve sullo schermo il volto di Biancamaria.

«Che fai di Giro?» Chiese Girolamo sorridendo.

«L’amo.» Rispose con uno squittio Biancamaria seguendo il vecchio giochetto della scomposizione del nome, una consuetudine diventata rito, una di quelle scemate che da quando mondo è mondo un uomo e una donna si scambiano fino a che si rendono conto di quanto ridicolo sia continuare. Sempre che se ne rendano conto.

Durante i pochi secondi che seguirono ci fu solo uno scambio di sguardi, il pollice di entrambi pronto a schiacciare il rispettivo tasto galeotto. A meno due, Girolamo ebbe un tuffo al cuore pensando che, con i capelli tinti di nero e tagliati a caschetto, Biancamaria sarebbe stata più carina. Quando arrivò l’attimo di premere il tasto e mettere in moto la sequenza scelta di comune accordo tra le opzioni fornite dal programma, lui rischiò di mandare tutto all’aria. Ma se la prontezza di riflessi difettò di una frazione di secondo, ci pensò il software a raddrizzare la sincronizzazione. Quello schianto di programma aveva una facoltà di sincronizzazione che arrivava a un secondo tondo tondo.

Quindi, dal lato tecnico, tutto funzionò come da manuale. Da quello emotivo fu un disastro. Girolamo andò in bianco. Mai successo da quando aveva conosciuto Biancamaria.

Appena riaperti gli occhi sulla realtà del suo letto solitario, Girolamo vide che lo schermo sul soffitto era spento. Ecco perché il software lo aveva fatto tornare, era stata Biancamaria a interrompere il contatto.

La faccenda si stava complicando. Girolamo si rendeva conto che ormai la sua relazione era praticamente chiusa. Agli occhi e ai sensi di Biancamaria lui l’aveva tradita con una non ben definita ragazza dai capelli neri tagliati a caschetto. La perfezione del software questa volta l’aveva fregato. Valle a dire che si trattava solo di un sogno!

Ma come poteva essere successo che quella figura, una certa Louise Brooks vissuta agli inizi del XX secolo, certamente una pubblicità subliminale recepita chissà quando, fosse emersa dalle profondità del suo subconscio così all’improvviso? E poi, chi cavolo era questa Louise Brooks?

Tentò di richiamare al video Biancamaria ma l’accesso gli era stato vietato.

Cadde in una sorta di torpore. Il tempo passò.

Quando tornò in sé, era ancora infagottato nella tuta e con le sinapsi collegate al sistema. Fece un nuovo tentativo, ma invano. Fu invaso da una profonda tristezza. E soprattutto, per la prima volta, si vide ridicolo. La rabbia gli scoppiò all’improvviso come una vampata. Staccò le sinapsi, si sbarazzò della tuta, scese dal letto e si mise a girare tutto nudo per la casa (una stanza più servizi) alla ricerca di una soluzione… ma per raggiungere quale risultato, distruggere la sostanza di un sogno?

Si fermò di botto perché un’idea stava prendendo forma. Sfortuna volle che si fosse fermato proprio davanti allo specchio e così si vide nella sua triste nudità maculata di tracce rosse lasciate da tuta e sinapsi. Corse subito ai ripari, indossò calzoni e camicia e sedette sul bordo del letto per riacchiappare quel fantasma di idea.

Erano le tre e un quarto. Dall’esterno filtravano voci di rifiuti della società che vivevano esclusivamente della notte. Per un attimo pensò che se non fosse riuscito a darsi un’inquadrata si sarebbe ridotto come loro… ma cercò di scrollarsi di dosso quel pensiero, un sogno non può distruggere un uomo col cervello in ordine… sempre che il suo cervello fosse in ordine… si diceva che i matti non sanno di essere matti…

Ricominciò ad andare su e giù per la stanza. L’ectoplasma di quell’idea si stava consolidando. Ma sì, con Biancamaria avrebbe chiarito ogni malinteso e tutto si sarebbe aggiustato. Per il momento non gli restava che indossare il pigiama al posto della tuta e dormire.

Già, dormire. Una parola.

Poco prima che facesse giorno, l’idea si era trasformata in progetto. Girolamo era arrivato alla conclusione che per liberarsi dello strano virus che l’aveva beccato doveva prendere il vaccino adatto. E il vaccino adatto doveva avere capelli neri tagliati a caschetto. Per procurarselo, l’unica cosa da fare era rivolgersi a Gildo.

Gli si sedette davanti e attese che si svegliasse.

«Salve, Giro,» fece il computer amplificando il suono di uno sbadiglio, «Sai che ore sono?»

«Certo che lo so. Devo chiederti scusa?»

«Figurati. Io sono il tuo umile servitore. Basta che mi strofini e io esco dal beccuccio.»

«Si può sapere che cazzo stai dicendo? Hai forse qualche problema di alimentazione?»

Il computer ridacchiò, «Nessun problema, non preoccuparti. Mi riferivo solo a una storia scritta qualche anno fa. Ma tu non leggi niente. Allora, dimmi cos’è che ti affligge a quest’ora insolita.»

Girolamo non si era ancora abituato a quel modello. Inutile ripetere il solito luogo comune della macchina stupida che non può dire e fare niente più di quanto sia stato messo dentro la sua zucca di silicio… aveva scoperto ben presto che Gildo assumeva toni diversi a seconda delle circostanze, e doveva ammettere che a volte, di fronte a lui, si trovava in imbarazzo. Per questo gli si avvicinava solo quando non poteva farne a meno. Adesso, purtroppo, era arrivato uno di quei momenti.

Fino a poco tempo prima aveva usato un modello che, malgrado le ironie di chi lo vedeva, andava benissimo per le sue esigenze e non pensava proprio per niente di sostituirlo. Ma un giorno apparve una maschera che annunciava l’impossibilità di effettuare una determinata operazione in quanto il sistema era antico. Usò proprio l’aggettivo antico, non superato o sorpassato o anche un più tecnologico obsoleto. Antico significa qualcosa appartenente a un passato molto lontano, a qualcosa di veramente remoto… l’Impero Romano poteva dirsi antico, una leggenda poteva essere antica, di antichi fasti certo udisti sonar dell’Ellesponto i lidi aveva cantato un certo Foscolo in uno spot pubblicitario che, chissà perché, gli si era conficcato nella memoria… ma quel modello aveva solo tre anni e sette mesi!

«Le consiglio un Gildo.» Gli aveva suggerito il commesso quando era andato a comprarne uno nuovo. A pronunciare quel nome, negli occhi del commesso s’era accesa la luce dell’amore. «È l’ultimo modello. Pensi, arrivato ieri.»

«A me basterebbe il penultimo.» Aveva mormorato Girolamo. Il commesso non aveva nemmeno risposto, si era limitato a fissarlo. Nei suoi occhi la luce dell’amore si era spenta come per un soffio su fiamma di candela. A Girolamo era sembrato che, a sostituire quella luce, fosse subentrato un lampeggio di commiserazione.

Sentitosi in colpa per aver provocato tanto dolore, aveva abbassato lo sguardo facendo finta di interessarsi a quell’ultimo modello collocato sul ripiano di cristallo girevole. Una pubblicità olografica diceva: “Prendi un Jeel-dow 43 e entra finalmente nel mondo delle persone normali!” A Girolamo era venuto da pensare che per ventott’anni era stato un anormale senza rendersene conto… ma fu solo un riflesso condizionato. Però quel pensiero c’era stato. Ed era proprio per questo che i creativi avevano scelto quella frase.

Quando cominciò a usare Gildo, si accorse che durante i tre anni e sette mesi di convivenza con l’altro modello i computer avevano imparato non solo a parlare ma anche a capire la situazione psicologica dell’operatore, esprimendosi spesso con snobistico sense of humour o con una spruzzatina di ruvida ironia, la stessa che aveva usato Gildo nel chiedergli se si rendeva conto di che ora fosse sbadigliandogli in faccia.

Girolamo lasciò perdere, confortato dal fatto che bastava allontanarsi di quattro piedi e undici pollici perché quello si rimettesse a dormire. Infatti non aveva mai voluto inserire il dispositivo di accensione continua. Probabilmente tra un paio d’anni, quando anche Gildo fosse stato antico, il nuovo modello non avrebbe permesso nemmeno quell’opportunità di libero arbitrio.

«Mi serve qualcosa su una certa Louise Brooks.» Si limitò quindi a dire.

«Ne conosco molte.» Sorrise Gildo.

«Quella che voglio è… antica.»

«Ti va bene una del 1906?»

«Se ha capelli neri e tagliati a caschetto, sì.»

Gildo gli fece l’occhiolino. In realtà non gli fece niente del genere, ma Girolamo ebbe questa impressione e ormai ne aveva le tasche piene. «Mi stai forse coglionando?» Sbottò.

«Penso che gli attributi tu li abbia già,» replicò Gildo, «Perché mai dovrei fornirteli io?»

«Ma si può sapere che stronzate stai dicendo?»

«Se ti stessi coglionando starei fornendoti di coglioni, mi sembra logico. Ad ogni modo mi dispiace dirti che non sono ancora in grado di risolvere un’operazione del genere.»

Nella situazione psico-ormonale in cui Girolamo si trovava, le soluzioni erano due: far finta di niente o scaraventare addosso al villano l’astronave di marmo, premio di consolazione ricevuto a un concorso letterario. D’istinto scelse l’astronave, ma dovette alzarsi perché era sistemata sulla mensola all’altra estremità della stanza. La bottiglia d’acqua frizzante che teneva abitualmente sulla stessa mensola rappresentò la soluzione di mezzo. La prese e ne tracannò fino a che il frizzare gli riempì di lacrime gli occhi, poi si riavvicinò al computer che intanto aveva chiuso l’unico suo. Ma non fece in tempo a sedersi che già l’occhio di Gildo si riaprì esibendo la ragazza del sogno.

Girolamo rimase come uno scemo a contemplarla, preso da intensa emozione.

Passò un bel po’ prima che si decidesse a porre la domanda. Intanto Gildo aveva aspettato, muto.

«Voglio incontrare una ragazza così.» Disse infine Girolamo, e tacque.

«A quale scopo?»

«Che te ne frega?»

«Devo sapere quale categoria selezionare, tutto qui.»

«Voglio una ragazza come quella lì disposta a… a un rapporto sessuale fisico.»

«Fisico? Vuoi confermare, per favore?»

«C… confermo.»

A Girolamo sembrò di sentire un fischio uscire dallo schermo. «Lo so,» disse subito, «C’è di mezzo la privacy e la faccenda è maledettamente complicata, però…»

«No, non è questo il punto. La privacy non c’entra.»

«Come sarebbe? La legge sulla privacy non permette nemmeno di fare una foto a te stesso se non ti firmi un’autoliberatoria! E poi, se la privacy non c’entra, perché hai fischiato?»

«Prenditela con il mio software. Comunque la privacy può essere a double face. Nessuno deve sapere che cerchi una ragazza per fruizione di meretricio, quindi le due privacy, quella della ragazza e la tua, si annullano a vicenda.»

Girolamo rimase a fissare l’occhio spalancato di Gildo. «Insomma vuoi dire che puoi darmi l’informazione?»

«Certamente, questione di un attimo… ecco qua, nome, numero, tariffa delle prestazioni orarie e a forfait comprensive degli appositi dispositivi e accessori previsti dalla legge.»

Adesso a Girolamo sembrava che dalle viscere di Gildo uscisse un suono come di risatina trattenuta a stento. Continuò a far finta di nulla e si concentrò sulla videata che era piuttosto complessa. Ma non si trovava nelle condizioni adatte per analizzarla nei dettagli, e poi voleva liberarsi al più presto di quel sogghignare irritante. Dopo aver trascritto il numero e senza attendere oltre, si allontanò da Gildo sputandogli metaforicamente nell’occhio.

Quella sera, prima di mettersi a letto, scrisse sul suo diario: “16 luglio 2023. Domani sarà una giornata particolare. Sarà una mia prima volta.

* * * * * * *

«Sono Girolamo.» Disse Girolamo al videofono.

«Settimo e ultimo piano porta numero cinque ascensore a destra.» Rispose una strana voce che sembrava di uomo. Con uno scatto la porta si aprì. Girolamo guardò a destra ma non c’era traccia di ascensore, solo qualche metro di parete e la prima rampa di scale. A sinistra, una finestra lunga e stretta faceva filtrare la luce grigia di un pomeriggio nebbioso di calura e di fumi di scarico. Chiedere lumi sull’esistenza dell’ascensore non se la sentiva proprio, quindi non gli restava che affrontare sette piani di scale. Si dette una controllatina allo specchio a parete e cominciò a salire.

Tra il terzo e il quarto piano sentì il rumore dell’ascensore in discesa al di là della parete di destra. Rimase perplesso ad ascoltare fingendo di sistemarsi davanti al pannello a specchio che decorava ogni pianerottolo. Il rumore dell’ascensore cessò, udì la porta automatica aprirsi, il suono di passi che si avviavano all’uscita, la porta di strada che veniva aperta e poi richiusa. Silenzio.

Sempre più perplesso, Girolamo si apprestò a scalare la seconda metà del palazzo.

Davanti alla porta col numero cinque attese che il battito cardiaco gli permettesse di parlare in modo decente, pur rendendosi conto che non dipendeva solo dalle quattordici rampe di scale: quando la porta si fosse aperta, avrebbe avuto davanti a sé la ragazza del sogno.

Non poteva aspettare oltre, e suonò.

La porta si aprì.

L’uomo aveva l’aspetto di un culturista dell’Uzbekistan. La maglietta sembrava scoppiare da un momento all’altro sotto la pressione muscolare.

«Si accomodi.» Disse l’uomo con tono neutro.

«Ma… forse…»

«No, non si è sbagliato. Entri.» L’uomo appoggiò una mano sulla spalla di Girolamo esercitando una lieve pressione per farlo entrare, quindi chiuse la porta alle sue spalle. «Mi segua, prego.» E l’uomo si diresse verso una stanza che sembrava il camerino di un negozio di abbigliamento. «Mi sembra un po’ in affanno.» Osservò senza girarsi.

«Lo credo,» ansimò Girolamo, «Sette piani di scale.»

«Perché non ha preso l’ascensore?»

«Già. Lei può dirmi dov’era?»

Erano arrivati sulla soglia dello stanzino. Facendogli cenno d’entrare, l’uomo disse: «Non ha visto la porta a specchio?»

Girolamo lo fissò non sapendo cosa dire. Dopo qualche attimo di perplessità, l’uomo aggiunse: «Ho capito. Ad ogni modo un po’ di moto fa bene.»

«Non c’era nessuna indicazione e nemmeno maniglie. Come facevo ad aprire lo specchio?»

«È un touch-mirror. Basta appoggiare un dito e si apre. Indicazioni e pulsantiera sono all’interno per non rovinare lo styling. Questo è un quartiere nuovo, le abitazioni sono tutte politically correct.»

«Politically correct?»

«Certo. Anche se nessuno usa più le scale è giusto che una casa le abbia, seppure come semplice elemento scenografico. Lei da dove viene?»

Ecco. Il tipo non ci aveva messo molto per catalogarlo. E Girolamo mica poteva dire che aveva lasciato il paesello per inserirsi nella meravigliosa società dell’effimero e dell’immateriale, post-industriale e neo-affluente,  globalizzata e omologata, per poi trovarsi a lavorare in categoria B e a vivere in un loft rasoterra composto di una stanza più servizio, con reddito che gli assicurava un fisico estremamente asciutto in cambio di motorino, computer, film mensile non restaurato detto d’essai e libido virtuale interattiva a scansione rigorosamente settimanale con una collega pari grado.

Perciò non rispose alla domanda e a sua volta chiese: «E se l’ascensore si guasta?»

«Improbabile. Comunque ce n’è uno di riserva.»

«E se càpita un black-out?»

«Abbiamo un sistema di energia alternativa.»

Girolamo non trovò nient’altro da chiedere.

«Gli appositi accessori li troverà nel cassetto.» Concluse l’uomo. Poi se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.

Appositi accessori… dove l’aveva sentito? Ma certo, era stato Gildo a parlare di ‘tariffe comprensive degli appositi dispositivi e accessori previsti dalla legge’. Però l’attenzione di Girolamo, più che da quelle parole, era stata attratta dal logo sulla maglietta dell’uomo. Una delle parole intorno a uno stemma era Polizia.

Un tranello. Le informazioni di Gildo erano state registrate ed ecco il risultato. Adesso doveva agire subito, doveva andarsene prima di trovarsi le manette ai polsi. Una telecamera lo stava senz’altro spiando, ma doveva tentare lo stesso. Avvicinatosi alla porta, tentò di girare la maniglia con la massima cautela. La porta era chiusa dall’esterno.

È finita, pensò Girolamo, adesso mi hanno incastrato di brutto. Si guardò intorno ma non c’era granché da vedere, una sedia e un tavolino con un cassetto. Aprì il cassetto, come gli aveva detto il poliziotto. Vide una serie di piccoli contenitori colorati e un foglio A4 plastificato fitto di articoli sotto l’intestazione REGOLAMENTO. Gli fu sufficiente leggerne qualche riga per capire di che si trattava. Si sentì sollevato. Era l’estratto di un bando di concorso per agenti di polizia municipale. Insomma, l’uomo che gli aveva fatto gli onori di casa non era altri che uno degli ‘appositi accessori previsti dalla legge.’

Un articolo recitava: ‘L’aspirante deve rientrare nei rapporti previsti di altezza-peso, tono ed efficienza delle masse muscolari, distribuzione del pannicolo adiposo e trofismo atti a rispecchiare un’armonia idonea a configurare la robusta costituzione e la necessaria agilità indispensabile per l’espletamento dei servizi di polizia.’’

E ancora: ‘L’accesso al concorso è riservato a laureati la cui età minima sia di 18 (diciotto) anni o a chi abbia la cittadinanza italiana a cui sono equiparati gli italiani non appartenenti alla Repubblica.’

 ‘Verranno esclusi gli aspiranti che presentino imperfezioni od infermità che rendano il soggetto palesemente non idoneo a svolgere il servizio nelle 24 (ventiquattro) ore giornaliere senza limiti di impiego. I soggetti non dovranno avere un’altezza inferiore a metri uno e sessantacinque centimetri, vista, udito e dentatura perfetti, dovranno essere disponibili a guidare ogni mezzo terracqueo, a utilizzare armi ed essere disposti a lavorare continuamente nell’arco delle 24 (ventiquattro) ore compresa la notte.

Un altro articolo precisava che ‘I soggetti ammessi alla preselezione dovranno affrontare la somministrazione di test a risposta chiusa tendenti a verificare una serie di fattori specifici quali, ad esempio, ragionamento verbale, ragionamento numerico, ragionamento astratto, ragionamento spaziale, velocità e precisione, cultura generale.

Girolamo non era nella posizione di valutare acrobazie burocratiche o di chiarire certe nebulosità concettuali, ma gli bastava capire che il marcantonio non era lì per mettergli le manette; al contrario, avrebbe salvaguardato la sicurezza del luogo e degli ospiti che lo frequentavano.

Da un punto imprecisato del soffitto scivolò giù una voce femminile che gli provocò un brivido di eccitazione: «Il signor Girolamo è pregato di attendere ancora qualche minuto. Grazie.»

Il grazie fu appena sussurrato ma aprì nella mente di Girolamo, ormai fieramente provata, aperture oniriche esagerate… perché quella era proprio la voce della ragazza del sogno! Tuttavia, con un ultimo sbrendolo di realismo, il giovane riuscì a pensare che poteva trattarsi di semplice suggestione.

Poiché gli era stato chiesto ancora qualche minuto, lasciò perdere il regolamento e si dedicò ai contenitori colorati. Sul fronte di ogni astuccio c’erano immagini olografiche di uomini e donne nudi in posizioni assortite. Sul retro, una scritta in varie lingue ne illustrava il contenuto: ‘Dispositivo medico di intervento sul concepimento, il quale non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico, ma la cui azione possa essere coadiuvata da tali mezzi. Il dispositivo deve recare il marchio CE (Comunità Europea). Con un’eccezione, prevista al comma 2 dell’articolo 5, può anche farne a meno purché risponda alle condizioni prescritte dall’articolo 11 e dall’allegato VI-II. Peraltro, i dispositivi delle classi II.a, II.b e III devono essere muniti della dichiarazione di cui all’allegato VIII.

Incuriosito, Girolamo passò all’articolo 7: ‘Il Ministero della Sanità, quando accerta che un dispositivo, anziché installato e utilizzato correttamente secondo la sua destinazione e oggetto di manutenzione regolare, può compromettere la salute e la sicurezza degli utilizzatori o eventualmente di terzi, ne dispone il ritiro dal mercato. Il dispositivo deve essere progettato e fabbricato in modo che la sua utilizzazione non comprometta la sicurezza e la salute degli utilizzatori ed eventualmente di terzi quando sia utilizzato alle condizioni e per i fini previsti. Il fabbricante, se del caso, deve adottare le opportune misure di protezione nei confronti dei rischi che non possono essere eliminati, eventualmente mediante segnali di allarme.

Seguiva una serie di commi:

Comma 4: Caratteristiche e prestazioni del dispositivo devono essere tali da poter fronteggiare anche i casi in cui esso sia sottoposto alle sollecitazioni che possono verificarsi in condizioni normali di utilizzazione.

Comma 6: Qualsiasi effetto collaterale o comunque negativo deve costituire un rischio accettabile rispetto alle prestazioni previste.

Comma 7.3: Il dispositivo deve essere progettato e fabbricato in modo tale da poter essere utilizzato con sicurezza con tutti i materiali, sostanze e gas con i quali entra in contatto.

Comma 7.5: Progettazione e fabbricazione devono essere tali da ridurre al minimo i rischi derivanti dalle sostanze che possono sfuggire dal dispositivo.

Comma 9.2: Il dispositivo deve essere progettato e fabbricato in modo da eliminare o minimizzare nella misura del possibile i rischi d’interferenza reciproca connessi con la presenza simultanea di un altro dispositivo, se questo è normalmente utilizzato in determinati trattamenti.

Comma 9.3: Il dispositivo deve essere progettato e fabbricato in modo tale da minimizzare, durante la normale utilizzazione prevista e in caso di primo guasto, i rischi di incendio o di esplosione.

Aveva appena iniziato il comma 10 quando la porta si aprì e l’apposito accessorio nella figura del poliziotto disse che poteva accomodarsi. Ma subito aggiunse: «Si è fornito del dispositivo adatto?»

Girolamo si trovò in confusione. Non poteva dire di sì; d’altra parte, non poteva mettersi a scegliere proprio in quel momento, quindi prese il primo contenitore che gli capitò sotto mano.

Gildo aveva fatto un lavoro eccellente, doveva ammetterlo. Pochi istanti dopo, davanti a lui c’era Louise Brooks, ovvero la ragazza del sogno. Ma non fu tanto il suo aspetto a colpirlo – sapeva che prima o poi si sarebbe trovato di fronte a una splendida creatura dai capelli neri tagliati a caschetto – quanto gli indumenti che la ragazza indossava. Rimase ammutolito a fissare la gonna e le scarpe dal tacco sottile e altissimo che erano l’esatta materializzazione dei suoi ricordi onirici, e soprattutto la maglietta con quella zip che la chiudeva fino al collo. Come mai tanti particolari, non necessari all’economia dell’incontro, venivano rispettati?

Intanto la ragazza aveva portato la mano sulla zip e la stava aprendo.

Ecco, pensò Girolamo, adesso mi sveglierò per la seconda volta.

Ma la mano della ragazza continuò a scendere, lenta, trasportando sul piano della realtà quanto, nella dimensione onirica, era stato interrotto dal pissi pissi bau bau della sveglia.

La vista di Girolamo si annebbiò. Anche la sua mente stava perdendo lucidità. Però fu ancora in grado di avvertire la presenza che si trovava alle sue spalle. Si girò. Il poliziotto era in piedi accanto alla porta chiusa, le braccia incrociate sui pettorali.

«Ma… scusi, lei che ci fa qui?»

L’uomo non rispose, fu la ragazza a parlare: «Sarà mica la prima volta, per caso? Le norme comunitarie di sicurezza dovresti conoscerle, no?»

«Mi sembrava ci fosse anche una legge comunitaria sulla privacy.» Mormorò il giovane.

«E infatti lui è qui anche per questo, così nessuno verrà a disturbarci. Adesso rilassati, su, da bravo.»

Poiché Girolamo non poteva cancellare la presenza di quell’apposito accessorio proprio dietro di lui, nella sua mente stavano prendendo forma scenari inquietanti. Gli si presentò soprattutto il punto 2 del comma 9 dove venivano previsti ‘rischi d’interferenza reciproca connessi con la presenza simultanea di un altro dispositivo se utilizzato in determinati trattamenti.’ Ma che poteva fare? Si concentrò solo su quanto stava avvenendo davanti ai suoi occhi, che non era poco e che diventava sempre più interessante, cercando di escludere dalla mente quanto gli stava dietro… e incredibilmente l’accessorio a due gambe svanì e rimase solo l’incantevole creatura che, uscita come per magia dalle nebbie del sogno, stava completando la liturgia che la sveglia maledetta aveva interrotto.

Il tempo si arrestò o, forse, si mise a galoppare.

Poi, all’improvviso, successero tre cose contemporaneamente. Un fischio soffocò ansiti e mugolii, la voce della ragazza proruppe in un «Ma che cazzo fai, sei un incosciente?», e due ganasce che sembravano quelle di una benna lo strapparono dal letto scaraventandolo a terra. Un attimo dopo, Girolamo realizzò che le ganasce della benna erano le mani del poliziotto. Afferrò d’istinto la camicia che si trovava sul pavimento ammucchiata tra pantaloni scarpe e mutande, e si coprì. Il fischio continuò ancora per qualche secondo, poi si spense. Proveniva da sotto la camicia.

Intanto anche la ragazza stava risistemandosi, mentre il terzo elemento aveva ripreso posizione accanto alla porta.

«Si può sapere che sta succ…» cominciò a balbettare Girolamo non ancora ripresosi dallo shock, ma la ragazza lo interruppe. Alle sue orecchie la voce di Louise Brooks aveva perduto ogni rimembranza onirica, adesso era solo arroganza e volgarità: «Tu non sei solo un incosciente,» diceva, «Sei pure un emerito stronzo! Che cazzo hai fatto durante tutto il tempo che ti ho lasciato per scegliere!»

«Scegliere?»

«Ah, ma allora…»

E all’improvviso Girolamo scoprì il mistero del fischio che aveva provocato tutta quella buriana. In un lampo gli si presentò davanti agli occhi l’articolo che prevedeva ‘le opportune misure di protezione nei confronti dei rischi che non possono essere eliminati, eventualmente mediante segnali di allarme.’ Quando l’apposito accessorio gli aveva chiesto se aveva scelto il dispositivo adatto, lui aveva afferrato il primo che gli era capitato tra le mani ma evidentemente non aveva imbroccato quello giusto.

Appena si fu rivestito del tutto, il poliziotto lo condusse fuori dall’alcova per riscuotere il dovuto, a prescindere, come ebbe l’accortezza di precisare, dal tipo e dal risultato della fruizione.

Rientrato a casa, Girolamo notò subito che Gildo lampeggiava. Come mai si era acceso da solo? Si avvicinò allo schermo. C’era un messaggio: «Un consiglio da Gildo. Visto come sono andate le cose, leggi Onanismo manuale, mentale e interattivo. Io ce l’ho. Basta scaricarlo.»

Sembrava proprio che Gildo fosse a conoscenza di quanto era successo. E quel titolo, che significava? Ma Girolamo continuava soprattutto a chiedersi come avesse fatto Gildo ad accendersi da solo e dire ‘visto come sono andate le cose’. Che aveva visto?

Non pensò nemmeno per un momento di far scaricare da Gildo il testo di quello strano libro, avrebbe pensato lui stesso a procurarselo.

 Riuscì a trovarlo l’indomani in un remainder dopo aver setacciato la città per tutto il giorno. C’era un sottotitolo: Onanismo economico e socio-culturale dell’Occidente nella globalizzazione del XXI secolo.

Girolamo non ricordava più da quanti anni non leggeva un libro, eppure, malgrado fosse fuori esercizio, ci mise poco per finirlo. Poi lo rilesse. E poi lo rilesse una terza volta. Quel libro gli provocò uno scombussolamento pari a quello avvertito nel trovare Gildo acceso motu proprio e con quell’incredibile messaggio.

Troppe cose erano concatenate, e tutte apparentemente inspiegabili. Però adesso intravedeva la presenza di un filo rosso che le univa tutte, le più importanti e le più insignificanti, dal nuovo registro arrivato in cancelleria al quartiere politically correct, dai profilattici provvisti di sistema d’allarme al suo monolocale nella società neo-affluente, dal rapporto a distanza con Biancamaria alle facoltà che avrebbe avuto il figlio di Gildo… sentiva che un intero mondo gli stava crollando addosso. Doveva trovare la forza, come si dice, di riprogrammarsi.

La prima cosa che fece fu caricare Gildo sul motorino e avviarsi alla discarica.

Bisognava pure cominciare da qualcosa. O da qualcuno.

Renato Pestriniero ha concesso parecchie sue opere in esclusiva a Elara s.r.l., per cui il presente racconto è pubblicato per gentile concessione di Elara s.r.l, da C’era una volta il futuro. Ringraziamo in particolare l’amico Ugo Malaguti, che abbiamo risentito, dopo parecchio (troppo) tempo.

 

 

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Ha pubblicato oltre un centinaio di opere fra romanzi, racconti e saggi. I suoi libri sono stati tradotti nelle principali lingue europee.  Al suo attivo ha inoltre esperienze come pittore e soggettista radiofonico e televisivo. Su un suo racconto di fantascienza, Una notte di 21 ore, è basato il film Terrore nello spazio di Mario Bava (1965).