Tratto da Il cuore misterioso. Il primo libro dei racconti,
Profondo Rosso Editore.

 

Tornò l’autunno col suo gelido fiato, e tra le grandi strade sempre più vuote, sotto la pioggia che batteva, venne un amore, ma un amore liquido, diverso da ogni altro che sino ad allora avevo conosciuto. E ci fu anche una ragazza, è chiaro, e io con lei mi sono pure sposato, e queste due vicende sono così concatenate che nemmeno oggi che tanto tempo è passato io saprei dire se questa sia soprattutto la storia della goccia o di Lisa… ma forse saperlo non ha più senso, ora… non pensate?

Ma prima, ascoltate…

***

Una goccia d’acqua mi seguiva e Lisa ne era gelosa, perché aveva capito che la goccia era innamorata di me. Ma io ignoravo le proteste di Lisa e lasciavo che lei, la piccola stilla liquida, mi seguisse un po’ dappertutto senza problemi, perché in un certo senso mi ero affezionato, ormai, a quella mia silenziosa amica, che mi veniva appresso anche se mi pareva un po’ strano, dato che non c’erano macchie d’umidità sulle pareti.

Ma più il tempo passava e più la goccia mi seguiva, e a un certo punto io me la ritrovai persino sulla scrivania, nell’ufficio dove lavoravo, senza capire come potesse esserci arrivata, e la vidi anche immobile sulla parete interna del parabrezza della mia automobile, mentre attraversavo il caos del traffico per tornare a casa.

La goccia era, infatti, sempre dove mi trovavo io…e se dapprima non le avevo dedicato più di un’occhiata distratta e vaga, adesso, ritrovandomela continuamente così inspiegabilmente vicina, cominciai a guardarla con maggiore attenzione, e presto mi resi conto che era pure una goccia straordinariamente limpida e chiara, forse la più bella goccia d’acqua, la più pura che avessi mai veduto.

Fu a questo punto che cominciai anche a capire che non era una cosa inanimata. No, non lo era proprio. Quella goccia era viva… e mi seguiva. Sì, si muoveva, si spostava con me, mi veniva sempre dietro, accompagnandomi dovunque andassi. Procedeva infatti lenta, quando io mi muovevo piano, e cominciava invece a scivolare veloce lungo i muri o i marciapiedi quando acceleravo il passo…e un giorno che, per prova, mi misi addirittura a correre per vedere se riuscivo finalmente a seminarla, la piccola goccia d’acqua silenziosa prese a venirmi dietro guizzando rapidissima con l’irruenza di un microscopico fiume in piena.

Non riuscii a seminarla, infatti, e neppure ci riuscii quando, per cercare di porre fine a quel pedinamento assurdo e inspiegabile, mi misi a entrare e uscire in continuazione dalle diverse porte di un grande magazzino, con passo sempre più rapido…ma la goccia riuscì ugualmente a tenermi dietro, malgrado tutta quella confusione di persone, e non si lasciò per niente distanziare. Solo alla fine, quando uscendo dal supermarket balzai di corsa su un autobus con le portiere spalancate che si stava rimettendo in moto, la goccia rimase indietro e il veicolo si allontanò con me a bordo prima che lei facesse in tempo a scendere dal marciapiede.

Ma il sorriso di soddisfazione per averla finalmente seminata mi si spense subito sulle labbra, perché, mentre mi allontanavo sull’autobus, vidi l’espressione che la goccia assunse nel vedermi fuggire, e allora…bè, allora mi pentii enormemente della mia azione e mi vergognai per come mi ero comportato, perché in quella goccia io vidi un’espressione di dolore che sfuggiva davvero a ogni descrizione.

Espressione? Dolore? Già, mi rendo perfettamente conto del vostro stupore, certo della vostra incredulità: per voi una goccia d’acqua è una goccia e basta, non può avere di certo un viso o un’espressione, né tantomeno può provare un sentimento come quello del dolore, e come potevo io scorgere qualcosa di diverso in essa anche da lontano?

…Eppure …eppure, quella mia goccia… quella piccola stilla d’acqua limpida e chiara che era ormai diventata quasi come un’appendice liquida della mia ombra…bene, credetemi o no, per me quella era ormai evidentemente una goccia che possedeva la vita e che quindi, proprio come ogni creatura viva, possedeva anche un viso…e siccome era anche intelligente e sensibile (ne ero già più che sicuro, a quel punto…) la “faccia” di quella goccia poteva anche assumere delle espressioni, e io ero capace di vederle, ed era appunto una smorfia infinitamente triste quella che lei assunse quando mi vide filar via e svanire a bordo dell’autobus alla fine della strada.

E fu proprio in quel momento che io capii quanto sciocco e cattivo fossi stato: perché, infatti, far soffrire tanto una innocua e minuscola goccia d’acqua che in fondo mi voleva solo stare vicino, dato che si era innamorata di me? Perché procurarle inutilmente tanto dolore, quando io la potevo rendere felice semplicemente limitandomi a lasciarmela venire vicino?

Quel senso di colpa quasi mi opprimeva, mentre giungevo davanti al portone di casa, e stavo mestamente frugando nelle tasche alla ricerca del mazzo di chiavi, quando di colpo il viso mi si illuminò di sollievo perché l’avevo veduta e riconosciuta: sì, lei era lì… la mia piccola goccia era ferma sugli scalini di casa, dove chissà come mi aveva preceduto e dove era rimasta in mia attesa fiduciosa, malgrado il dolore che le avevo procurato. E adesso era lì, ai miei piedi, e il suo “viso” , che io ormai avevo imparato benissimo a distinguere su quella minuscola superficie liquida, era tutto teso in un’espressione che invocava da me una cosa sola: comprensione.

Come gliela potevo negare?

Mi chinai e protesi la mano a terra, distendendo un dito per invitarla a salirvi sopra. La goccia capì e, felice, scivolò rapida su quel mio dito, e solo allora io entrai in casa, portando lieto quella piccola goccia che mi aveva dimostrato una fedeltà, una devozione e affetto che da una donna o da un uomo io non avevo mai avuto prima.

La posai con cura sul comodino, perché mi potesse restare vicina anche mentre dormivo…e fu così che ebbe inizio la nostra vita in comune, e fu meraviglioso perché, ogni volta che io guardavo la goccia, capivo che cosa vuol dire amore.

***

Poi però venne Lisa, e lei entrò come un turbine nella mia vita. La stravolse e la cambiò in modo completo, perché io finii profondamente innamorato di lei, e così per me Lisa prese a contare più di qualsiasi altra cosa al mondo…perfino più di quella piccola goccia d’acqua silenziosa, dolce e fedele che mi seguiva sempre e chiedeva soltanto di potermi stare vicino. Ma a Lisa, purtroppo…a Lisa quella goccia dava terribilmente fastidio!

Lisa diceva infatti che quella goccia solitaria la irritava, che non era salubre averla in casa, che se non la scacciavamo presto ne sarebbero arrivate altre e l’appartamento sarebbe diventato troppo umido…e siccome io resistevo, volendo che quella piccola goccia innocua e innamorata potesse restare con noi, Lisa usava parole sempre più astute per cercare di convincermi a darle ragione. Ma io non cedevo.

Poi Lisa rimase incinta e per tutta la gravidanza non mi parlò più della goccia che tanto l’aveva infastidita, ma quando la bambina nacque e noi la chiamammo Giada, Lisa mi disse che adesso saremmo diventati veramente una famiglia completa e felice…a patto che una sola piccola e semplice questione fosse stata finalmente sistemata.

La goccia se ne doveva andare!

Lottai come un pazzo per difendere la mia piccola, silenziosa amica liquida, e cercai di spiegare in tutti i modi a Lisa che, in fondo, quale noia le poteva mai dare una semplice goccia d’acqua che voleva soltanto sentirsi un po’ accettata e capita? Ma Lisa mi rispose che non era per lei che la goccia se ne doveva andare, no, non era per lei ma per la bambina…per Giada! Secondo Lisa, infatti, la nostra piccola creaturina appena nata non poteva crescere in una casa dove una goccia d’acqua s’aggirava in piena libertà di giorno e di sera, emanando umidità in continuazione.

E poi, aggiunse Lisa, chissà quali e quanti germi si annidavano in quella goccia fastidiosa, che io non avevo mai avuto nemmeno l’accortezza di fare analizzare: e se per caso uno di quei minuscoli batteri fosse stato nocivo e avesse attaccato una malattia alla nostra bambina? Infatti, sibilò ancora Lisa, quella era una goccia d’acqua randagia: io l’avevo incontrata per caso una sera, mentre pioveva a dirotto, ma chi ci poteva assicurare che fosse discesa realmente dal cielo o non fosse, invece, risalita all’insù da una fognatura?

Oppure…sì, forse poteva essere stata veramente una goccia d’acqua piovana…ma se per caso quella fosse stata una pioggia acida?

Insomma, concluse Lisa, quella goccia doveva assolutamente andarsene dalla nostra casa, e se non l’avessi finalmente scacciata io di persona, allora l’avrebbe fatto lei stessa…e magari l’avrebbe persino asciugata!

Inorridii, quando lei pronunciò quell’ultima parola, ma ormai per Lisa la discussione era chiusa, e io dovevo scegliere tra restare con lei e la mia bambina, oppure andarmene con la goccia fuori di casa. E me lo disse in maniera chiara, con un tono che non ammetteva più una replica.

E così io mi dovetti piegare, ma quando, sconfitto e umiliato, andai in cucina per parlare con la piccola goccia d’acqua e spiegarle che cosa era accaduto, vidi che la goccia non c’era più: era sparita. Sì, se ne era andata, aveva voluto togliere il disturbo da sola, essendosi resa conto dell’infelice situazione che si era creata senza che lei ne avesse colpa alcuna…

***

Fu così che la goccia d’acqua lasciò la mia vita e, da quel momento in poi, solo i sorrisi della mia bambina mi ripagarono, almeno in parte, del vuoto e del dolore che cominciavo a sentire sempre di più dentro il mio cuore. Mi stava passando, infatti, la cieca infatuazione per Lisa, e ormai i rapporti con lei si facevano sempre più difficili, forse anche perché, privo della piccola goccia d’acqua che era fuggita, io avevo perso quell’equilibrio e quel benessere interiore che essa, con la sua sola presenza muta, mi aveva saputo conferire fino ad allora.

E così finì, e finì male, non molto tempo dopo la mia unione con Lisa, e io lasciai la casa dove ci eravamo stabiliti e mi andai a sistemare, almeno momentaneamente, in un piccolo appartamento alla periferia, dove però c’era almeno un grazioso saloncino che si affacciava su di un piccolo giardino.

Lì, faticosamente, iniziai a ricostruirmi una vita, soprattutto dal punto di vista affettivo, scoprendo che per fortuna esistevano ancora molte ragazze dolci e simpatiche disposte a conversare con me d’amore. E fu proprio la sera in cui una di queste care amiche mi venne a trovare, e lei era la semplice Emanuela che mai mi chiedeva più di quanto io ero disposto a darle…fu proprio quella sera che la piccola goccia d’acqua tornò dentro la mia vita.

Venne infatti in casa, Emanuela, e subito mi mostrò il palmo della sua mano, e lì sopra c’era posato qualcosa di minuscolo che scintillava.

“Guarda che cosa ho trovato,” mi disse Emanuela, accostandosi di più a me per consentirmi di vedere. “Una piccola goccia d’acqua sperduta…”

Io guardai e la riconobbi subito, anche se si era molto sciupata: era la mia piccola goccia d’acqua, così affezionata a me!

Era tornata!

Ma era anche malata, molto malata, e io me ne accorsi subito, mentre Emanuela la posava con cura sul tavolino, spiegandomi nel frattempo che l’aveva trovata fuori del portone di casa, dove essa era evidentemente ferma da diversi giorni, nascosta in un piccolo anfratto oscuro. Emanuela l’aveva notata, rientrando a casa, e si era anche accorta che la piccola goccia tremolava, come se fosse impaurita, mentre lei la scrutava: ma per Emanuela quella goccia era bella e cara, e quando si era accorta che era malata, l’aveva subito invitata a salirle sul palmo della mano per portarla al caldo dentro la mia casa.

Allora io spiegai a Emanuela che quella era proprio la piccola goccia che già mi aveva seguito, e a quel punto gli occhi della mia amica si velarono di lacrime, perché era chiaro che quella minuscola pallina liquida devota e affezionata era davvero tanto, ma tanto malata, e forse ormai noi non avevamo più il modo di poterla aiutare.

La curammo comunque con amore infinito, io ed Emanuela, ma la piccola goccia d’acqua non aveva più la forza di sopravvivere. Però era felice…oh, sì, la goccia almeno era felice, felice per me e perché capiva anche che, nella mia nuova casa, per lei ci sarebbe stato sempre un posto dove potermi stare vicina: nessuno qui, infatti, avrebbe mai parlato di asciugarla o di farla sparire!

Fu così che quella piccola, dolce goccia che di me si era innamorata morì… ma morì felice.

***

Restammo in silenzio fino all’alba, io ed Emanuela, e solo allora mi alzai in piedi e raccolsi la piccola goccia morta dal tavolino. Me la posai sul palmo della mano e poi la feci scivolare lentamente dentro l’acqua di un bicchiere.

Uscimmo insieme, io ed Emanuela, e senza una parola salimmo sulla mia auto e percorremmo nell’alba le strade vuote. Raggiungemmo il mare e scendemmo sulla riva, camminando sulla sabbia insieme mentre io tenevo in mano il bicchiere.

Entrai nell’acqua ed Emanuela mi venne dietro, tenendomi per la mano libera. Ci fermammo solo quando le piccole onde presero a lambirci le ginocchia, e allora io e la mia amica ci scambiammo una lunga occhiata: io avevo gli occhi lucidi, Emanuela già piangeva.

Guardammo insieme, per l’ultima volta, la piccola goccia morta che giaceva sul fondo del bicchiere, poi io ne rovesciai tutto il contenuto nel grande mare, perché solo così la mia piccola, timida goccia innamorata non sarebbe mai evaporata…

 

Questo racconto è © di Luigi Cozzi. All rights reserved

 

+ posts

Attivo nel fandom fantascientifico italiano dalle sue origini, è il più famoso autore italiano di film; il suo film più famoso è forse Scontri stellari oltre la terza dimensione (1978). Nel 1962 aveva creato quella che è considerata la prima fanzine italiana del genere, Futuria Fantasia. Dal 1995, a seguito della scomparsa del cinema di genere italiano, si è dedicato attivamente alla gestione del negozio Profondo Rosso, inaugurato nel 1989 a Roma nel quartiere Prati.