Questo racconto proviene da un’antologia cartacea di più autori in due volumi, Racconti a tempo (Il Rabdomante, 2019), curata da Antonio Limoncelli e Anna Maria Zingales, in cui il tema che pervade ogni storia è appunto il tempo.

In un giorno d’estate avanzata, l’anziana signorina Elisa Belli viene a trovarsi in una situazione un po’ difficile in cui la normalità quotidiana ha un cedimento…

t.c.b.

Mercoledì, giorno di mercato

Lo scorso autunno un’anziana signora, Elisa Belli, mi raccontò di un fatto a cui non riusciva a dare una risposta. Man mano che raccontava, spesso sollevava dello stupore per non aver tenuto conto degli innumerevoli indizi in cui ebbe a imbattersi durante quell’avventura, ma soprattutto per come li avesse ignorati nell’arco del lungo svolgimento.
Tutto era cominciato un giorno in cui si era svegliata, aveva bevuto un caffè con poco zucchero ed era uscita per andare al mercato rionale.
Giusto per inquadrare chi fosse, viveva sola perché la madre l’aveva lasciata da un pezzo. E non si era mai sposata. Del perché fosse rimasta nubile me ne aveva parlato più per accenni nel corso degli anni in cui ebbi a conoscerla, e avevo intuito più dai silenzi che dalle ammissioni. Il nodo insormontabile fu che il grande amore della sua vita si era rivelato un’emerita delusione dal momento che lui l’aveva bellamente tradita. E della cosa ci si sarebbe potuto fare una ragione: può capitare di riporre le proprie speranze d’amore in qualcuno che al momento della grande decisione rinunci, anche se, in verità, ci si aspetta sempre che la tragedia accada ad altri e non in casa propria.
Quello che lei non poté perdonargli fu che l’avesse tradita con un uomo.
Erano altri tempi, subito dopo la guerra, tempi in cui le convenzioni sociali non davano molte possibilità di scelta; eppure sono convinta che di più l’avesse distrutta la perdita della speranza nell’amore, non tanto lo scandalo, tant’è che perfino in famiglia nessuno sapeva bene come fossero andate le cose e sui motivi della sua solitudine si era sempre sussurrato e basta. Tutt’al più, congetturato.
Ma ritorniamo al giorno del mercato.

Si era d’estate. Anzi, un’estate quasi sfatta perché d’agosto inoltrato, quando la seconda metà del mese comincia a essere il preludio di quel cambiamento di clima tanto ben descritto in un proverbio che spesso lei mi ripeteva, la prima pioggia d’agosto rinfresca il bosco. La signorina Elisa uscì di casa verso le sette e un quarto e, svoltata la via, s’incamminò per prendere l’autobus che l’avrebbe portata verso il mercato; alle sette e trenta passò puntuale, si fermò, lei salì. In quel quarto d’ora, tra l’uscita di casa e l’arrivo dell’autobus, aveva già fatto capolino la prima anomalia: nei minuti di attesa si era domandata con sorpresa, guardando su e giù per la strada, a destra e a manca, come mai il sole quel giorno invece di salire a sinistra, cioè a est, fosse salito a destra, cioè a ovest. Ma poi l’autobus era arrivato e aveva messo da parte il pensiero.
Il breve tragitto la portò dritta ai margini della rotonda da cui avrebbero dovuto vedersi già le prime bancarelle; scese. Ma nonostante fosse l’ora in cui i mercanti cominciavano ad allestire banchi e merci, di banchetti non se ne vedeva l’ombra. Decise di entrare nel bar antistante alla rotonda e, con l’amichevole loquacità che le era caratteristica, mai spinta oltre l’attimo in cui potrebbe diventare importuna, scambiò qualche parola con la barista tenendosi per sé lo stupore di quel ritardo. Perché si ricordava che la barista aveva risposto con un sorriso alla sua domanda se non ci fosse mercato: di star tranquilla; che il mercato ci sarebbe stato, come ogni mercoledì.
Esauriti gli argomenti con la donna, che di argomenti poteva averne quel tanto che onorassero il puro piacere di una cortese conversazione, la signorina Elisa cominciò a notare che la sua presenza ostacolava le faccende in corso. L’aveva intuito dall’attenzione dell’altra che andava scemando, sostituendosi a una certa condiscendenza silenziosa mista a cenni del capo frettolosi, ma la vecchia signora non se ne risentiva, pur notandola, perché nella vita aveva lavorato anche lei, e anche molto, e conosceva il valore del tempo quando preme e ce n’è poco.
Stanca di aspettare, la Belli uscì dal bar pensando di colmare l’attesa con una capatina al vicino supermercato che alle otto e trenta, di regola, apriva i battenti.
Davanti alle serrande si ripeté il moto di stupore perché anche il piccolo supermercato non dava cenno di vita, non solo le serrande non erano nemmeno mezzo aperte come usa fare il proprietario quando è in ritardo e apre a mezz’asta per far intendere che c’è e manca poco all’apertura, ma erano proprio chiuse.
La signorina Elisa decise di avviarsi verso la stazione per ingannare l’attesa e godersi il fresco prima della calura incipiente, misurando i passi sotto i tigli del viale di raccordo. E i passi e i pensieri li misurava con un po’ di apprensione, però, perché il cielo aveva cominciato a oscurarsi e presentiva un temporale; non aveva con sé nemmeno l’ombrello. Conveniva affrettarsi e riprendere l’autobus di ritorno davanti alla stazione; si era spinta troppo in là, ormai, e non avrebbe fatto in tempo a ritornare prima che il cielo naufragasse.
Si dispose a una seconda attesa, e aspetta, e aspetta, già le nove e l’autobus non arrivava. Nove e dieci. Nove e un quarto. Una gazzella di carabinieri attirò la sua attenzione, prese a dirigersi verso le uniformi.
I carabinieri la guardarono avvicinarsi e insieme volsero le teste, pronti ad ascoltare. L’anziana signora si lamentava stupita del ritardo dei mezzi e si domandava a che ora passasse il numero cinque, quello diretto verso l’autostrada; ne sapevano niente, loro? Lampi interrogativi percorsero il viso degli uomini e uno disse che a quell’ora, non ne era sicuro, ma credeva non ce ne fossero. Ancora più interrogativo fu il volto della signorina Elisa che, no, quel giorno proprio non riusciva a imbroccarne una. E nel frattempo il cielo si faceva sempre più scuro e la prospettiva di essere sotto l’acqua per strada le piaceva sempre meno. Decise di ritornare a piedi, nonostante cominciasse ad accusare la stanchezza.
«Chissà perché non pensai di prendere un taxi, poi!…» mi disse più di una volta.
Rifece il percorso inverso, risalì l’intero viale, arrivò al supermercato che continuava a restare chiuso, passò davanti al bar che ormai aveva acceso le luci e oltrepassò la rotonda. Quando fu sul cavalcavia vicino a casa le gambe non la reggevano più, aveva i piedi doloranti e il buio si era fatto così fitto che pareva stesse per scatenarsi un uragano; tanto che fu solo l’idea della tempesta incipiente a darle la forza di superare quel momento e trascinarsi fino alla porta di casa. Entrò, fece un lungo pediluvio e andò immediatamente a letto; era stanchissima.
Al risveglio ricevette una telefonata, era la nipote. Le diceva che sarebbe passata a prenderla di lì a momenti, in auto. Che si andava al mercato!

* * *

Quando mi raccontò il fatto, la signorina Elisa si chiedeva ancora come avesse potuto evitare di vedere: aveva schiacciato un pisolino il pomeriggio del martedì e tutto era cominciato al risveglio.
Ci ripensavo guidando, poco dopo, e mi venne in mente la fatidica data del tradimento: era un dieci di agosto… Accostai di colpo e tirai fuori dalla borsa l’agendina per verificare: sì, quel mercato che si sarebbe tenuto solo il giorno dopo era caduto all’undici. E il giorno precedente era stato, in qualche nascosta parte della sua mente, solo un tempo fantasma. Una data da dimenticare.

 

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Nell’immagine: “Time”, digital art/drawing & paintings di PookaDoodle