MassimoMassimo Mogai ci invia questo spunto già apparso su Omero e lo pubblichiamo volentieri.


È una cosa piccolissima, una briciola, un nulla, ma è lì a pagina 153.

Giulio Ferroni è un noto ed apprezzato professore di Storia della Letteratura italiana della Sapienza.

Per un insieme di circostanze troppo lunghe da raccontare mi è capitato per le mani un suo testo “Prima lezione di letteratura Italiana”, per le Edizioni Laterza, usato come uno dei testi per il suo esame. L’ho aperto, ho trovato interessanti alcuni dei titoli degli articoli contenuti ed ho cominciato a leggerlo così, molto casualmente. Si tratta di sei saggi autoconcludenti su diverse tematiche di storia della letteratura italiana. Il saggio finale, dal titolo “Il Tempo a Venire” riguarda l’evoluzione più recente della produzione letteraria Italiana. I titoli dei singoli paragrafi sono: La letteratura in pericolo; Una produzione debordante: pubblico e critica; Verso nuovi linguaggi; Fine dello stile. Intrecci e polifonie; Romanzo e racconto; Il silenzio della poesia; Il tempo della responsabilità.

Li cito per sottolineare come le tematiche trattate lo siano in un’ottica attenta alla contemporaneità, alla realtà della letteratura “vera”, fatta, scritta, pubblicata se non proprio ai nostri giorni (il libro in prima edizione è del 2009 e diciamo che fa riferimento ad un periodo precedente) quasi. Del resto il titolo stesso “Il Tempo a Venire” è per definizione se non fantascientifico, futuribile. Ora in tutte e 23 le pagine del testo non c’è nessun riferimento alla letteratura di genere, se non un vago riferimento al più recente (ma ormai in realtà “già trapassato”) noir della fine degli anni ’90. Ma proprio vago-vago. Mentre i riferimenti alla letteratura fantastica (fantasy e fantascientifica) italiana sono letteralmente zero. Intendiamoci: nulla quaestio! Da sempre la maggiore lamentela degli autori italiani di “genere” è “…gli accademici ci ignorano”, a volte abbinata all’esclamazione “… finalmente ci hanno sdoganato” sempre non vera, sempre illusoria, casomai fatta solo perché una tantum c’è un convegnino-ino sull’argomento.

Personalmente io non ritengo la cosa un problema: gli accademici ed i loro simili (i critici più o meno paludati delle riviste specialistiche o nelle pagine culturali di quotidiani e settimanali) fanno il loro mestiere e da sempre NON si curano della letteratura di genere se non considerandola come un fenomeno di tipo “sociologico”, materia bruta, subletteratura, fenomeno culturale di massa da studiare come materia grezza e non come materiale realmente artistico. Hanno altro da fare, facciano pure.

Ripeto: quello di essere “riconosciuti” o peggio “sdoganati” è un falso problema del fandom e personalmente scrivo genere (fantascienza e giallo) con la massima serenità. Vorrei vendere di più, è ovvio, ma questo non dipende, NON PUO’ dipendere dall’approvazione degli “accademici” o dai critici, i quali, è cosa nota, fra loro si lamentano del fatto che non hanno il potere di far vendere una sola copia in più: è un mondo autoreferenziale. Il successo editoriale di un libro (di genere o mainstream) è sostanzialmente il tam-tam del pubblico che può essere innescato da qualche segnalazione o da una campagna pubblicitaria, ma non più di tanto.

Inoltre io ho il sospetto che uno dei motivi della loro indifferenza sia il fatto che sotto sotto sanno o “sentono” che, soprattutto per la fantascienza, il materiale che dovrebbero conoscere o ispezionare per parlarne in modo serio ed esauriente (“accademico” appunto), è enorme e non pre-trattato accademicamente finora da nessuno, mai. Ergo è terra incognita e gli fa secondo me anche un po’ paura.
Certo, ignorare completamente la letteratura italiana di fantascienza e fantasy degli ultimi 20 anni, nei quali si è prodotto (e venduto) tantissimo e di livelli anche molto buoni, è probabilmente un errore per uno storico del settore. Ma tant’è.

Però a pagina 153 del libro, nel paragrafo intitolato “Verso nuovi linguaggi” c’è questo periodo: “[…] tanti intellettuali giovani e meno giovani, sorvolano con occhio aquilino gli sterminati deserti subculturali, esaltandosi nel trash […] o compiacendosi per … le nuove possibilità di eludere la biologia, per l’affollarsi di mutanti, di doppi, di avatar, di cyborg, di identificazioni di un mondo oltreumano e postumano.

Sia chiaro: non sta parlando di fantascienza, argomento che non è minimamente trattato in nessuna parte del libro. Ma per dire quello che vuole dire usa una metafora, usando un lessico che viene direttamente dalla fantascienza; perfino il termine avatar, che ha una origine religiosa hindu, è stato diffuso prima da Internet e poi da un famoso film di fantascienza di qualche anno fa.
Tutto qui. È un nonnulla, ma c’è.

Ferroni intenzionalmente ignora del tutto la fantascienza in un suo testo sulla letteratura italiana contemporanea, come è suo diritto, scelta, e qualcuno dei suoi colleghi (forse lui stesso) direbbe dovere.

Però per dire quello che intende gli scappa un bel pezzetto di lessico e di concetti di diretta derivazione fantascientifica.

E questo perché questi e molti altri termini sono entrati nell’uso comune non solo di molti se non tutti gli intellettuali, ma proprio nell’uso generale.

La FS ha creato una serie di realtà culturali ed un lessico estremamente pervasivo. La FS resta letteratura di genere, popolare, “pop” o “neo-pop”, e resta come consumo letterario (ahimé!) un consumo di nicchia, ma si è allargata concettualmente, soprattutto tramite i film, letteralmente a macchia d’olio, ed è inutile farne l’elenco. Si tratta di termini che vengono “elaborati” in racconti e usati e rielaborati in film quasi esclusivamente americani e successivamente escono, debordano, tracimano e vengono usati da tutti. Anche dai professori di storia della letteratura italiana in un saggio accademico.

Il libro in testa alle classifiche di vendita e di lettura in questi giorni e da molti giorni è “Anna” di Ammaniti, che è a tutti gli effetti un libro di fantascienza, come lo è “Sottomissione” di Michel Houellebecq, come lo è “1984” di Orwell. Ma la lista è lunga, ve la risparmio.

Io non credo che sia necessario usare stilemi e tematiche di fantascienza per raccontare il presente e se per questo nemmeno il futuro. Ma constato che gli stilemi e le tematiche di fantascienza sono onnipresenti nella letteratura mainstream odierna, italiana e non.

Non è sdoganamento né contaminazione, è meticciato. Non ha a che vedere con la malattia, ma con la riproduzione. Dispiacerà a qualcuno, e a me non importa nulla, ma secondo me è perdita della “purezza”

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È divenuto noto con la fantascienza umoristica vincendo il premio Urania nel 1997, per poi dedicarsi anche al giallo e al noir. Prima di diventare scrittore a tempo pieno si è dedicato a varie occupazioni, tra le quali 'art' e poi copywriter, in qualità di freelance, per varie agenzie pubblicitarie- Morì prematuramente a Roma, il 1º novembre del 2016