AlessandroAlessandro Fambrini, l’autore di questo articolo, è nato a Seravezza (Lucca) l’8 settembre 1960, lavora presso l’Università degli Studi di Trento. Si occupa di letteratura tedesca di Ottocento e Novecento, ma al fantastico e alla fantascienza ha dedicato e dedica inoltre un impegno non secondario come autore (con racconti e romanzi su svariate pubblicazioni del settore, tra le quali “Urania” e “Robot”, diversi dei quali in coppia con Stefano Carducci) e come critico (numerosi i suoi articoli e saggi pubblicati su “Futuro Europa”, “Robot”, “Nova sf” e su “Anarres”, che ha fondato insieme a Salvatore Proietti nel 2012).


Il personaggio di Perry Rhodan nasce dalla fantasia di Walter Ernsting e Karl Herbert Scheer, all’interno di un progetto del Moewig Verlag, nel 1961. Secondo tale progetto, è prevista la pianificazione di una cinquantina di episodi all’interno di un quadro omogeneo, cui dovrà prestare voce e penna un gruppo di autori coordinati dai due ideatori della storia. Il primo episodio di quella che sarà una serie duratura e longeva esce, sotto forma di breve romanzo, l’8 settembre 1961, è firmato da Karl Herbert Scheer e ha come titolo Unternehmen Stardust.

L’aspetto con il quale Perry Rhodan si presenta sulla scena è quello, piuttosto comune in Germania, dello Heft, del fascicolo spillato, non rilegato, “usa e getta”, stampato fitto su carta da poco e ricco di illustrazioni sensazionalistiche, accattivanti soprattutto per un pubblico giovanile. Seguiranno gli episodi successivi, con cadenza settimanale, alternando le firme degli autori, che saranno cinque in tutto per il primo ciclo dal quale è scaturita questa saga inesauribile: oltre a Scheer e Ernsting (che si firmerà come “Clark Darlton”) si tratta di Klaus Mahn (“Kurt Mahr”), Kurt Brand e Winfried Scholz (“W. W. Shols”). Nel tempo, poi, i collaboratori alla serie aumenteranno fino ai tempi attuali in cui se ne contano ormai più di una ventina nel bilancio complessivo, mentre pian piano il progetto originario si è andato espandendo verso altri mezzi di espressione e di comunicazione, ha imposto al mercato prodotti collaterali ed è diventato un fenomeno di successo e costume senza precedenti né pari in Germania.

A differenza di altre serie simili che sul mercato tedesco tentano la via dell’edicola prima e dopo (già negli anni Trenta una serie di fantascienza, Sun Koh – Der Erbe von Atlantis, si era imposta al mercato pubblicando 150 fascicoli tra il 1933 e il 1936; altri esempi di questo tipo sono Mark Powers – Der Held des Weltalls (1962, un’ottantina di numeri fino al 1967), Ren Dhark – Weg ins Weltall (1966, 98 numeri fino al 1969), Rex Corda – Der Retter der Erde (1966, 38 numeri fino al 1967), Perry Rhodan appare fin dal principio – e probabilmente deve anche a questo il proprio successo, al punto di occupare una vera e propria posizione di monopolio – come un’impresa altamente organizzata. Il lavoro viene pianificato in ogni dettaglio, i particolari delle singole storie e delle sequenze sono prefigurati in un exposee che gli autori sono tenuti a rispettare e che impedisce contraddizioni nello svolgersi degli eventi, nella caratterizzazione dei personaggi, nella messa a fuoco dei contesti e delle ambientazioni, e così via. Ogni romanzo acquista così senso pieno nel complesso del disegno, pur possedendo in genere anche valore autonomo.

Il primo di questi exposee abbraccia lo spazio di cinquanta numeri e in essi si esaurisce il primo ciclo di avventure. Successivamente il ciclo viene riorganizzato in cinquanta nuove storie, per poi passare a strutture progressivamente sempre più lunghe e complesse.

Il successo, come detto, fu subito enorme e probabilmente inatteso, e dalla prima tiratura di 35.000 copie si raggiunse qualche anno più tardi, intorno al 1966, il picco delle 200.000 copie settimanali, per poi scendere comunque di poco e assestarsi poi su un livello di tutto rilievo, su cui si mantengono tuttora, tanto che, al momento in cui scriviamo (dicembre 2014), dopo più di cinquant’anni in cui ha mantenuto sostanzialmente inalterate le proprie caratteristiche, la serie ha raggiunto l’incredibile numero 2783: un vero e proprio, impressionante “Endlosroman”, “un romanzo infinito”, come lo definisce Gerhard Teuscher in uno dei molti studi che, nel tempo e con taglio di volta in volta letterario, sociologico, antropologico, politico, sono stati rivolti a questo ciclo. All’edizione tedesca hanno fatto seguito nel tempo numerose edizioni in altri paesi, tra cui si segnalano quella olandese e quella giapponese come le più longeve (entrambe datano a partire dal 1971). Un tentativo di importazione della serie in Italia fu intrapreso nel 1978 dalla Edinational Milano, ma l’iniziativa, curata con notevole impegno da Antonio Bellomi, dopo un notevole successo iniziale, si arrestò nel 1981 con il numero 66.

Sulla scorta della popolarità raggiunta dal personaggio e dall’universo di Perry Rhodan, le strategie di mercato puntarono ad altri media. Nel settembre 1967 usciva così il primo albo a fumetti della serie Perry Rhodan im Bild.Abenteuer im Weltraum, che nel 1968 divenne Perry – unser Mann im All. Il successo fu alterno, nonostante la buona qualità delle storie e del disegno (inizialmente a cura di Kurt Caesar, già noto in Italia come illustratore delle copertine di “Urania” e di altre riviste di fantascienza), e dopo vari tentativi di rivitalizzazione la serie fu interrotta nel 1975 con il numero 129. Una ripresa sotto diversa forma delle avventure a fumetti di Perry Rhodan è avvenuta in tempi recenti, nel settembre 2002, con albi che si annunciano a cadenza bimestrale, la cui grafica, aggiornata ai tempi con i suoi contorni vagamente manga, sembra diretta a un pubblico molto giovane.

Il cinema, a sua volta, registra un tentativo di incursione negli spazi di Perry Rhodan con il film S.O.S. aus dem Weltall (1967), una coproduzione italo-tedesco-spagnola per la regia di Pino Zeglio distribuita in Italia con l’eloquente titolo di Quattro – tre – due – uno… morte!, che fu girata in gran parte sulle isole Canarie (gli scenari desolati di Fuerteventura avrebbero dovuto simulare l’ambientazione lunare) e in cui Lang Jeffries svolgeva la parte del protagonista. Il film tradisce tutta l’inadeguatezza del basso budget di cui è dotato, ma con il passare del tempo, come spesso avviene con operazioni di questo tipo, è assurto al rango di vero e proprio cult, e non soltanto per gli (anzi soprattutto per i non) appassionati della serie (“leggendario” per la sua bruttezza, lo definisce Klaus N. Frick, che lo assume a campione del trash). Si segnalano anche tre Hörspiele (drammi radiofonici, un genere particolarmente caro al pubblico tedesco) nel 1976 e numerose operazioni di merchandising, con pupazzi, modellini di astronavi, armi giocattolo e così via (i cultori di Perry Rhodan sembrano nutrire una predilezione per i dettagli tecnici o pseudo-tecnici) e persino due dischi che hanno goduto di un discreto successo in hit parade: Countdown (1971) di un certo Sherman Space e Two Million Lightyears From Home del gruppo olandese dei Sensus.

Al di là di queste iniziative, in fondo sporadiche o collaterali al fenomeno principale (il merchandising si sviluppa e si rivela particolarmente fiorente intorno alle serie fantascientifiche che diventano oggetto di culto, come dimostrano anche gli esempi di Star Trek o di Guerre stellari), una vera esplosione di attività correlate a Perry Rhodan si è avuta con l’espandersi e il diffondersi della Rete, grazie alle immense possibilità che essa offre agli appassionati di entrare in contatto tra loro, di scambiarsi informazioni, di organizzare incontri, mailing list, istituire club e centri di discussione e così via, nonché alla stessa casa editrice di presentare nel modo più accattivante i propri prodotti, fino a costruire un vero e proprio universo virtuale in cui i personaggi incontrati sulla carta acquistano un volto, una storia, un contesto tangibile (al momento attuale il sito ufficiale si trova all’indirizzo https://www.perry-rhodan.net).

Ma qual è dunque il contenuto della saga di Perry Rhodan? Mi soffermerò essenzialmente sul progetto iniziale, ancora circoscritto e non afflitto da quella elefantiaca dilatazione delle prospettive che in seguito ha reso praticamente impossibile a un non adepto il districarsi nell’universo rhodaniano. Perry Rhodan è, secondo lo schema di azione tracciato dagli iniziatori della serie originale, un astronauta delle forze spaziali occidentali che viene scelto per capitanare la prima spedizione sulla Luna, nel 1971. Sulla Luna, tuttavia, una sorpresa attende l’equipaggio terrestre, composto in tutto da quattro uomini: sul satellite, infatti, si imbattono nei resti di un’astronave interstellare – in avaria e costretta a rifugiarsi sul lato lunare invisibile dalla Terra – appartenente a una civiltà progreditissima, gli arkonidi (dal pianeta Arkon, dal quale provengono), i signori della galassia. I due arkonidi sopravvissuti, uno scienziato (Khrest) e la comandante dell’astronave (Thora), vedono nei terrestri un popolo che corrisponde all’ideale di razza giovane e forte e ben presto individuano in loro il ceppo destinato a rivitalizzare la civiltà arkonide, esausta e sul ciglio della decadenza. A poco a poco Perry Rhodan saprà conquistarsi la fiducia di Khrest, nonché l’amore di Thora, imporrà il proprio carisma a tutti i popoli della Terra divisa che riunificherà sotto di sé, e andrà avanti, verso sempre nuove avventure.

Dallo schema sommariamente tracciato, appare evidente come Perry Rhodan non si presenti con le caratteristiche di aggiornamento di un mito preesistente, di riscrittura con mezzi diversi da quelli tramandati dalla tradizione, quanto piuttosto come tentativo di creazione di un mito nuovo, che proietta su un piano simbolico gli impulsi della civiltà tecnologica dei primi anni Sessanta e sullo stesso piano risolve, con una regressione favolosa, le sue ansie sociali e politiche. Questa fondazione mitica, tuttavia, si presenta in realtà come rifondazione laddove riassorbe in sé figurazioni e archetipi del passato, sia da un punto di vista tematico che strutturale. In particolare, sono numerosi ed evidenti gli elementi che rimandano alla categoria della saga, in primo luogo la centralità dell’eroe, la peripezia, l’autorialità collettiva.

Il progetto di Perry Rhodan si sviluppa a partire dal 1961, il primo numero esce a neppure un mese di distanza dall’erezione del Muro di Berlino. Lo scenario iniziale – divisione del mondo in due blocchi contrapposti (a quello genericamente “orientale” se ne aggiunge uno “asiatico”, per movimentare lo scacchiere delle possibilità drammatiche), pericolo incombente di un olocausto nucleare, esasperata competizione spaziale, e così via – corrisponde a quello degli anni più cupi della Guerra Fredda e propone, anzi auspica una soluzione: sotto Perry Rhodan e all’interno dell’entità politico-economica da lui istituita (che porta il nome un po’ sinistro di Dritte Macht) i popoli della Terra si uniscono, superando le loro divergenze, le divisioni ideologiche, le barriere sociali, nella prospettiva di un ideale più alto, di carattere ecumenico. L’idea di fondo, condivisa in vario modo dai diversi collaboratori, è quella di un fallimento della politica come mezzo di azione sul sociale e la sua sostituzione con un impianto mitico-fiabesco, sostanzialmente astorico. È in questo impianto che confluiscono gli elementi e le figurazioni del mito che, nei vari episodi del ciclo, affiorano innumerevoli.

La figura centrale di Perry Rhodan, innanzitutto, corrisponde a una tipologia ben definita all’interno della tradizione mitico-fiabesca, è uno di quei personaggi, cioè, che incarnano il cosiddetto “mito di Aladino”, ovvero i reietti, i perdenti che, in base a qualche imperscrutabile disegno fatale o divino si rivelano essere i predestinati, gli eletti, gli eroi avviati sulla via della gloria. Perry, “un modesto, impetuoso nativo di un piccolo pianeta di un piccolo sistema solare” (Karl-Herbert Scheer, L’immortale [Der Unsterbliche, 1962], a cura di Luigi Randa [ovvero Antonio Bellomi], Milano, M.G., 1978, p. 90), trasporta il principio del mito di Aladino su una scala cosmica e simbolica: non Aladino in quanto individuo (tra gli uomini possiede già caratteristiche che lo portano a rivestire un ruolo di rango), ma in quanto terrestre, rappresentante di una razza priva di cultura e di storia e tuttavia destinata ad assurgere al ruolo di capo e di guida di uno sterminato impero stellare.

Questo è l’assunto di fondo, e le figurazioni del mito ritornano poi su un duplice piano. Il primo è quello di un recupero di elementi sottratti a tradizioni eterogenee e che vengono ricomposti e utilizzati come materiali. Perry Rhodan appare in questo senso come un grande bacino di raccolta in cui confluiscono motivi diversi e di origine disparata, concorrendo a costruire qualcosa di nuovo, di sapore quasi postmoderno, le cui singole componenti restano perfettamente riconoscibili nel tutto, ma smarriscono il substrato che le ricollega alla loro origine. Così, ad esempio, le risorse tecnologiche che gli arkonidi mettono a disposizione dei terrestri sono indistinguibili da mezzi magici, ne costituiscono una razionalizzazione e un’attualizzazione in termini scientifici (che restano peraltro semplicemente postulati e non spiegati), a rafforzare l’aura degli eroi. L’elenco è significativo e rappresenta un intero campionario di “sogni proibiti”: Perry può giovarsi di un meccanismo di antigravità che fa galleggiare a piacimento nell’aria persone e cose; di schermi di energia che gli procurano una sia pur intermittente invulnerabilità (del resto anche la vulnerabilità di tali schermi conosce ha i suoi antenati nei vari talloni di Achille o nelle foglie di Sigfrido); del controllo della volontà altrui grazie a dei manipolatori psichici; di un campo deflettore che, sulla base di fantastiche “oscillazioni delle onde luminose”, garantisce l’invisibilità a chi lo indossa e che, senza troppi giri di parole, viene definito Tarnkappe, come quella magica di Sigfrido

Quasi tra le righe, i riferimenti alla dimensione mitologica, e in particolare alla mitologia nordica, sono innumerevoli: così, uno dei primi romanzi del ciclo si intitola Götterdämmerung (senza peraltro rivelare grandi analogie con il modello del mito nordico né con quello wagneriano), in un altro (Walter Ernsting, Die Spur durch Zeit und Raum, 1961) i robusti, bellicosi abitanti di un lontano pianeta portano nomi vagamente islandesi (Lesur, Regor, Bogar; del resto, i nomi stessi di alcuni arkonidi, come Thora o Freyt, sembrano rivelare anch’essi echi nordici), mentre nella chiusura dello stesso romanzo cade un accenno alla Loreley; e così via.

L’instrumentario che ne risulta è posto al servizio di personaggi che, a partire da Perry Rhodan, sono caratterizzati con pochi, schematici tratti, tesi a dar loro la consistenza di archetipi proiettati su uno scenario futuribile (Reginald Bell l’amico un po’ sventato e leale, il topo-castoro Pucky il buffone, e così via; inizialmente un altro personaggio, il tedesco Ernst Ellert, condannato a vagare né vivo né morto nel tempo e nello spazio, rappresentava un aggiornamento dell’archetipo dell’Ebreo Errante, ma fu abbandonato con il settimo romanzo del ciclo). Tra essi i due arkonidi, Thora e Khrest, meritano un’attenzione particolare, sia per la centralità del loro ruolo all’interno della storia, sia per le implicazioni tematiche della loro caratterizzazione. Thora è sostanzialmente l’unica figura femminile nell’universo perryrhodaniano in questa prima parte del ciclo. In un contesto estremamente virile, improntato a forti valori di lealtà, di onore guerresco, di mantenimento della parola data e via dicendo, Thora rappresenta l’elemento femminile minaccioso e destabilizzante, in quanto imprevedibile, incontrollabile, destinato a innescare procedimenti distruttivi se non ricondotto entro l’alveo del controllo maschile. Thora è espressione caricaturale (i suoi parossismi di collera appaiono più che stereotipi, i suoi sbocchi di emozione culminano spesso in ridicoli svenimenti) ed estrema (più volte i piani ordinati di Perry Rhodan sono sconvolti da una sua azione impulsiva) di una femminilità percepita come pericolo, la cui minaccia può essere sventata solo a patto di un adeguamento al ruolo tradizionale, come avviene di fatto con il riconoscimento dell’amore per Perry, che infine sposerà e dal quale avrà due figli (per poi morire e scomparire dal suo orizzonte: per un supereroe da sempre la donna è più che altro un impaccio).

Khrest, invece, simmetricamente al principio che agisce nell’intero ciclo, rappresenta il riassorbimento del moderno nel tradizionale: scienziato, prodotto di una civiltà antichissima e progredita, Khrest presenta tuttavia delle caratteristiche che lo pongono a metà tra un guru e uno stregone, già a cominciare dalla sua descrizione fisica che è quella di un Mago Merlino fantascientifico, alto, magro, con i capelli lunghi e bianchi e gli occhi rossi da albino:

Da sotto una fronte alta e spaziosa, quegli occhi emergevano in modo tale da impressionare col loro effetto quasi ipnotico. Nell’insieme aveva un’espressione eterea di uomo molto vecchio e molto saggio. (Karl Herbert Scheer, L’erede dell’universo (Unternehmen Stardust, 1961), trad. della redazione, Milano, Edinational, 1976, p. 73)

La sua missione, del resto, che gli sfuggirà dalle mani proprio in vista del traguardo e che Perry Rhodan porterà a compimento in sua vece, è quella della ricerca di un vero e proprio Santo Graal, ovvero del “Pianeta dell’eterna giovinezza”, un luogo leggendario il cui raggiungimento porterebbe al conseguimento dell’immortalità – una ricerca che procede per enigmi, di tappa in tappa, sulle tracce dei misteriosi “esseri che vivono più a lungo del sole”, e in cui Perry Rhodan e Khrest sono coadiuvati da individui dai poteri eccezionali: il cosiddetto Mutanten-Korps, a sua volta proiezione avveniristica di una consorteria come quella dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Ciascuno dei suoi membri è caratterizzato da un potere speciale (levitazione, teletrasporto, lettura del pensiero e così via), razionalizzato attraverso una psudo-applicazione delle teorie genetiche ed evolutive.

In sostanza, nel contatto che diviene ben presto contrapposizione (per quanto proficua) tra la civiltà arkonide e quella terrestre, si ripresenta la dinamica dell’incontro tra Impero Romano (Imperium è il termine usato dagli autori di Perry Rhodan per definire il dominio arkonide) e popoli germanici. La linfa fresca dei terrestri, gente barbara e primitiva rispetto ai progreditissimi e inizialmente scettici interlocutori, finisce per rivitalizzare la decadente, per quanto evoluta civiltà arkonide, in una sintesi che si dimostrerà pienamente feconda: Solares Imperium, si chiamerà, con una scelta lessicale rivelatrice, il nuovo organismo fondato e retto da Perry Rhodan (nei secoli dei secoli, essendo egli divenuto immortale). Grazie alla fusione armonica con l’energia e la vitalità dei “barbari”, i valori e le conquiste dell’impero in disfacimento sono mantenuti, il medioevo non calerà. Avviene in Perry Rhodan quello che nella realtà non si è verificato e che è molto di più della proiezione di un desiderio: è la riscrittura stessa degli eventi della storia, la ridirezione del suo corso, sua correzione e insieme sua mitizzazione. Visione conciliatoria e consolatoria, in cui dimensione “pangermanica”, potenzialmente inquietante, si stempera in quella “panumana” di un’utopia rivolta al tempo stesso all’indietro e al futuro:

Furono i barbari quelli che, in virtù del loro spirito giusto e della loro forza fisica, pacificarono, dopo una temporanea conquista, imperi decaduti. (Karl Herbert Scheer, Sfida dalle sei lune (Die Festung der sechs Monde, 1961), trad. della redazione, Milano, D.N. Milano, 1977, p. 37)

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