Il Premio Urania è decisamente stato e forse lo è ancora, il premio più prestigioso per la fantascienza italiana.

Le ultime tre uscite (anni 2019, ‘20 e ‘21), presentano il chiaro tentativo di aggiornare lo stile delle scelte, presentando storie che, o hanno poco a che fare con la fantascienza, o sono molto diverse e forse divisive rispetto alla fantascienza così cara ai vecchi appassionati di questo genere.

Ancora oggi il bando ufficiale del concorso dichiara: “Il contenuto dovrà essere strettamente fantascientifico. Non saranno accettate opere di fantasy o weird/horror.”

Per non parlare dell’anacronistico “Le opere dovranno essere inviate in due copie,” in un periodo in cui si parla di risparmio sulla carta. Caricando inoltre i partecipanti di un non proprio esiguo sforzo economico all’ufficio postale!

Ma la cosa importante è di capire che cosa intendono gli addetti alla selezione e alla premiazione, con strettamente fantascientifico.

Personalmente non sono mai stato uno che si formalizzasse troppo sulla necessità che un racconto di fantascienza dovesse essere fanta, e anche scienza, al contrario di molti amici miei, ma di sicuro per lo meno queste ultime tre premiazioni di Urania hanno qualcosa su cui magari si dovrebbe discutere.

Gli ultimi tre libri premiati sono stati:

Francesca Cavallero, Le ombre di Morjegrad, (Urania n. 1672, 2019)
Davide Del Popolo Riolo, Il pugno dell’uomo, (Urania n. 1684, 2020)
Elena di Fazio, Resurrezione, (Urania n. 1696, 2021).

A suo tempo quando ho commentato Morjegrad, sono stato decisamente negativo nel mio giudizio, il che all’epoca è stato interpretato da tutti come un attacco al fatto che il romanzo fosse scritto da una donna. “Molte discussioni riguardo al romanzo vincitore del premio Urania 2018, Le ombre di Morjegrad, si sono concentrate sul fatto che è scritto da una donna.”

Non so come l’autore di questo articolo possa essere giunto a tale convinzione, perché, per ciò che mi riguarda, so molto bene che non era affatto questo il motivo del contendere:

Invece, il romanzo, oltre a essere non particolarmente bello, semplicemente non esisteva e non era né fantascienza, né altro. Come del resto lo stesso articolo che ho appena indicato doveva poi spiegare: “Il grande difetto è l’assenza di una vera storia.”

Ma non voglio tornare su polemiche che a suo tempo mi hanno parecchio dispiaciuto: il romanzo non è fantascienza. Forse appunto è weird: Inafferrabile. Inspiegabile. Incomunicabile.

L’anno successivo è stato premiato un romanzo di Davide Del Popolo Riolo, bravo e affermato autore, ma anche questo non è proprio un libro di fantascienza classica, anche se, l’anno scorso, ho fatto notare come la qualità fosse decisamente superiore rispetto al premiato dell’anno precedente.

Il romanzo di Davide descrive una distopia (cioè una utopia al negativo), con l’aggiunta di qualche bella trovata fantastica.

l’autore introduce un po’ di elementi di genere steampunk, senza per altro premere sull’acceleratore: bello, ben scritto, secondo lo stile di Davide Del Popolo Riolo, ma (come gli ho detto direttamente) non completamente sviluppato. In conclusione, forse questo particolare autore aveva altre frecce al suo arco, Ma la giuria lo ha premiato! Allora tutto a posto.

Infine, l’opera di quest’anno.

Elena di Fazio è laureata in Teorie della Comunicazione, è nata a Roma vive in Romagna. È una grande appassionata di fantascienza e insieme a Giulia Abbate ha fondato l’agenzia letteraria Studio83.

Il problema qui è che il romanzo è davvero di un genere forse innovativo, ma non del tutto fantascientifico.

Si incomincia con un tema classico della fantascienza, amato già da H. G. Wells e molti altri: il contatto dell’umanità con una specie aliena.

Questi alieni sono arrivati sulla terra quarant’anni prima dell’inizio del libro. La loro tecnologia ha creato un wormhole (una singolarità gravitazionale) improvvisamente apparsa al di sopra di una scogliera di una immaginaria Île des Fraises (isola delle fragole) appartenente alla Mauritania e presumibilmente posizionata nelle Isole di Capo Verde.

All’orizzonte, in direzione sudest, si intravedeva appena l’Ilha de Santo Antão di Capo Verde, mentre la costa della Mauritania era troppo distante per scorgerla a occhio nudo.

In realtà quest’isola delle fragole non esiste: c’è solo una Île aux Fraises, che però si trova all’interno dell’estuario del San Lorenzo, in Québec.

La prima metà esatta del romanzo è molto, ma molto gradevole: credo che l’Autrice, come pure Giulia Abbate che conosco bene, sia uno spirito soprattutto umanistico. Nella storia ci sono molte citazioni classiche: Aurora la protagonista è una filosofa, come pure l’amica che l’accompagna.

A ogni modo, lo sbarco sull’Île des Fraises, la descrizione della situazione e l’attesa dell’arrivo per la nona volta degli alieni è piena di pathos. Ci spiega l’autrice che ci sono stati altri otto arrivi, tutti conclusisi male con la morte dei pochi alieni che erano spuntati fuori dal wormhole, che operava come un portale.

La descrizione degli alieni (i pemberiani), non è un granché. Credo per scelta:

Il primo pemberiano strisciava sull’erba, stagliato contro il sole: era un tetraedro dai colori cangianti, un solido geometrico che ai presenti doveva essere parso tutto, tranne che vivo. “Tetraedro, uno dei cinque solidi platonici” si disse Aurora.

La parte filosofica nel testo è sempre molto viva. Nella prima metà del libro.

Poi inizia la seconda metà!

In precedenza, ho letto solo un romanzo che fosse così diverso dalla prima parte, rispetto alla seconda: si trattava del quasi sconosciuto Passaggio a nord-ovest (Northwest passage) di Kenneth Roberts pubblicato nel 1937. Quel romanzo è opportunamente suddiviso in due libri: il lettore parte in un modo e finisce in maniera del tutto diversa. Esattamente come in questo romanzo di Elena di Fazio.

La seconda parte di Resurrezione non è possibile descriverla, senza rivelare troppo. Lo stesso titolo, Resurrezione, è già un po’ uno spoiler.

Basti dire che da romanzo tutto sommato di fantascienza, sia pure molto umanistica, il libro diventa una specie di thriller spio-terroristico, con abbondanza di sensazioni forti ed effetti parecchio grandguignoleschi.

C’è poi da dire che il finale, finale, quello proprio al termine di tutto, poteva esserci risparmiato: una trovata debole, vecchia e poco adatta a spiegare qualsiasi cosa sia successa in precedenza. Se fossi stato io l’Editor avrei insistito per cambiare qualcosa. In realtà avrei cambiato tutto il finale, convincendo la brava Elena che avrebbe potuto fare molto meglio. O addirittura terminare il libro qualche pagina prima…

In definitiva, dunque, anche questo è un romanzo di fantascienza solo fino a metà, poi diventa tutt’altro e quindi i responsabili di Urania forse dovrebbero cambiare il regolamento, o spiegarci cosa sia successo nelle loro teste.

Finito di leggere il romanzo ci sono tre racconti, che sono in gara per il Premio Urania Short.

Bene: non ho alcuna intenzione di parlarne! Meglio così.

 

 

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.