Eugenio e l’Orecchione

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Il professor Eugenio Bellomi era un chirurgo estetico di chiara fama. Fino a due anni prima nessuno aveva mai sentito parlare di lui. Poi un giorno, in un ristorante sui colli Euganei, la figlia del presidente degli industriali si stava strozzando con un crostino al baccalà mantecato, e lui lasciò cadere nel piatto l’ala di pollo che stava rosicchiando per precipitarsi a soccorrere la bambina. La cappottò a testa in giù, le piazzò un colpo secco dietro alla schiena, e il pezzetto di pane abbrustolito schizzò come un proiettile verso l’assessore regionale seduto sette metri più in là, andando ad appiccicarsi sul suo farfallino firmato. Mentre il politico compiangeva il defunto papillon, macchiato per sempre di baccalà, la famiglia miracolata dal salvataggio della pargola ingorda si stringeva in riconoscente giubilo attorno a Eugenio. Il facoltoso padre della mancata vittima voleva offrire una ricompensa all’eroe: «Mi chieda ciò che vuole e lo avrà! La mia Ferrari gialla? La mia villa in Costa Smeralda? La mia collezione di spade antiche?».

«Quella l’hai promessa a me!», protestò il rubicondo figlio dell’industriale.

«La villa era di mio nonno!», s’oppose timidamente la moglie esile.

«La Ferrari mi piace troppo!», borbottò la figlia, che stava riprendendo colore.

«Niente di tutto questo – rispose Bellomi -. L’unica cosa che desidero è la soddisfazione di rifare il seno a sua moglie», e indicò la piatta signora che lo stava guardando stralunata, nonostante il sollievo di sapere salva la proprietà immobiliare dell’avo.

Dopo il primo stupore dei presenti, la scelta venne, se non compresa, almeno accettata. L’eroe aveva bisogno di pubblicizzare le proprie doti chirurgiche usando come biglietto da visita le poppe della first lady dell’imprenditoria locale. La signora meditava da tempo di dotarsi di un equipaggiamento femminile più poderoso.

E così, qualche giorno dopo, lei sfoggiava il più bel seno delle Tre Venezie, armonioso nella forma e nella dimensione, ma soprattutto nel muoversi con levità durante le lezioni di pilates.

Ben presto tutte le frequentatrici della palestra si rivolsero al professore per ottenere il medesimo effetto. Qualcuna si faceva anche iniettare il grasso dei glutei nel viso, per dotarsi degli zigomi più sensuali della città. Altre comparvero qualche tempo dopo con nasini all’insù grandi la metà di prima. Tutto il giro delle imprenditrici e consorti di imprenditori, nell’arco di poco tempo fu esteticamente ineccepibile.

Un giorno entrò nello studio del professor Eugenio il marito di una sua paziente a cui aveva sollevato le natiche di 10 centimetri. L’uomo aveva i padiglioni auricolari più sporgenti che il chirurgo avesse mai visto. Davvero deturpanti!

Il dottore si preoccupò subito di tranquillizzare il paziente: «Non si preoccupi, le orecchie a sventola sono uno dei difetti più vistosi, ma anche più facili da correggere, con un intervento semplicissimo».

L’uomo rispose con aria stupita: «Orecchie a sventola? Quali orecchie a sventola? Non vede il mio problema? Non vede? Guardi!». E indicò qualcosa sulla fronte. Eugenio si avvicinò, inforcando gli occhiali, osservò da vicino e notò un minuscolo e innocuo nevo, appena abbozzato sopra ad un sopracciglio.

«Me lo tolga dottore! Me lo tolga subito, è orrendo!», lo pregò l’Orecchione.

Fu accontentato.

L’episodio, che per altri sarebbe stato insignificante, fece meditare profondamente il luminare della chirurgia estetica. Si chiese cosa fosse davvero la bellezza e che legame potesse avere con la personalità, con l’anima degli esseri umani. Magari una persona aperta e disponibile di carattere si sente più a suo agio con orecchie protese verso gli interlocutori, per ascoltarli meglio! Sì, era così: quelle propaggini uditive erano esattamente le più adatte a quel personaggio lì, perfette per lui.

Il professore entrò in crisi. Cos’aveva combinato fino a quel momento? Aveva applicato poppe da mangiatrici di uomini a donne morigerate che non ne sapevano fare il giusto uso. Aveva reso simmetriche palpebre a donne che prima affascinavano il prossimo proprio per il sorriso enigmatico e asimmetrico del loro sguardo. Aveva rimpicciolito gioiosi culoni che mettevano allegria ad amanti annoiati e a venditori di creme snellenti ai fanghi del Mar Morto.

Un mese dopo, Eugenio Bellomi partì con Medici senza Frontiere verso una di quelle guerre di cui è comodo far finta di ignorare l’esistenza. Da allora trapianta pelle agli ustionati, ripara sfregi su volti feriti e ama donne meravigliosamente imperfette, nelle loro uniformi da infermiere.

Ma cosa ne fu dell’Orecchione, una volta uscito con un cerotto sulla fronte dallo studio di Eugenio? Rientrando a casa, si fermò nella guardiola del portinaio, originario del suo stesso pianeta.

«Pensa che rischio ho corso, Leandro! – gli raccontò – Mi sono dovuto rivolgere ad un chirurgo per farmi finalmente asportare la microspia biologica che mi avevano inserito sotto pelle sulla fronte i perfidi Dvurk ai tempi della Grande Guerra Galattica. E quello sai cosa voleva farmi? Voleva asportarmi le antenne, che ho tanto faticosamente mimetizzato da orecchie umane! Ma che vada ad aggiustarle a qualcuna delle sue donne!».


L’ospedale da campo sembra finalmente calmo. La dottoressa entra nella tenda dei chirurghi, si avvicina a Eugenio e comincia a spogliarsi con movimenti flessuosi. Lui la vede bellissima, è pazzo di lei, nonostante quelle enormi orecchie a sventola.

Lei gli porge le labbra, lui esita e le chiede: «Che ci sia pericolo che arrivi qualcuno?».

«No, non sta arrivando nessuno, me ne accorgerei», lo rassicura la donna e intanto pensa: «Ma come fanno gli umani a vivere senza le antenne?»

Competenze

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Postato il

23 Febbraio 2016

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