Le prediche di don Ivo

[singlepic id=289 w=320 h=441 float=left]Quel giorno don Ivo aveva guidato la sua Punto rossa fino al paese vicino, per confessare la signora Gina, che non si poteva muovere per gravi disguidi deambulatori provocati da persistente unghia d’alluce incarnita. Al ritorno, alla vista peraltro acuta del sacerdote al volante si oppose un insidioso banco di nebbia, che occultò un trattore, temporaneamente abbandonato sul ciglio della strada da un contadino che aveva esagerato con gli asparagi, notoriamente diuretici. Così, mentre l’agricolo incontinente annaffiava grazie al personale serbatoio i campi limitrofi, don Ivo s’incagliò col muso della Punto contro il didietro del trattore. Un botto agghiacciante, nonostante l’andatura molto prudente dell’autista, che nei confronti della nebbia aveva sempre nutrito una sorta di sacro rispetto, molto vicino al timore reverenziale.

Don Ivo uscì indenne dall’abitacolo, tirando un sospiro di sollievo. Non sapeva che il peggio doveva ancora venire: il contadino, spaventato dal frastuono, aveva chiuso frettolosamente la patta dell’idrante e s’era conficcato i dentini della lampo nei gioielli di famiglia, auto-infliggendosi sommo dolore fisico e anche morale, perché quando l’uomo viene colpito nell’intimo della propria virilità, l’umiliazione prevale su tutto.

L’agricolo, ferito nelle tenere carni e nell’orgoglio di maschio, corse come una furia contro il povero parroco, minacciandolo di morte per strangolamento di quella stessa zona anatomica che tanto dolore gli stava arrecando.

Seriamente spaventato, don Ivo, che in gioventù aveva vinto tutte le corse campestri della sua regione, si diede alla fuga in mezzo alla campagna. Solo quando fu certo di aver seminato l’inseguitore, si fermò a tirare il fiato e chiamò con il cellulare il cappellano, don Luigi. Il giovane pretino, però, aveva dimenticato il telefonino dal salumiere, dove aveva acquistato un etto di prosciutto crudo per la signora Pina, che non poteva muoversi di casa perché la Ketty, la sua cagnolina stava partorendo.

Così il salumiere, rispose alla chiamata, nella speranza di scoprire a chi appartenesse quel cellulare abbandonato sul bancone.

«Pronto? Chi parla?».

«Sono don Ivo! Ma lei non è don Luigi!».

«Cosa? Chi? Non sento niente!».

«Sono don Ivo! Avvisi don Luigi che ho avuto un incidente e mi sono perso! Perso in mezzo ai campi!».

Si sa, in questi frangenti la batteria del cellulare è sempre scarica. Quella di don Ivo non fece eccezione, e il telefonino gli si spense in mano con un flebile lamento.

«Chi era?», chiese la signora Tina, moglie del salumiere.

«Una notizia terribile!», rispose l’uomo sconvolto: «Era don Luigi. Diceva che don Ivo ha avuto un incidente e l’abbiamo perso!».

La Tina cacciò un urlo degno di Tarzan: «Nooooo! Don Ivo! Don Ivo! Nooooo!»

La povera donna, in lacrime, si precipitò fuori dal negozio del marito, attraversò di corsa la piazza, attirando mezzo paese coi suoi lamenti, e fece irruzione in chiesa, dove le pie donne recitavano il rosario.

Un’ora dopo, don Ivo parcheggiò la bici del contadino incontinente-ferito-rinsavito-pentito, che aveva cortesemente prestato un mezzo di locomozione al sacerdote, chiedendogli perdono per averlo minacciato di strozzamento intimo.

Il parroco si chiese subito come mai le campane suonassero lugubri e lenti rintocchi. Che gli era preso al sacrestano campanaro? Che fosse morto qualcuno d’importante?

Entrò in chiesa e si trovò nel bel mezzo del girone infernale del pianto. Tre quarti del paese era lì. Alcuni parrocchiani erano accasciati in ginocchio, altri in piedi con le mani protese verso il cielo. Tutti piangevano, emettendo alti lamenti, senza vergogna. La Tina ululava: «Don Ivoooo! Don Ivo mioooo! Perché sei morto? Perché? Eri così bravo che, quando predicavi, non si capiva nienteeeee!».

Durante i minuti successivi, qualcuno accusò un malore credendo di ravvisare in don Ivo le sembianze di un fantasma, ma alla fine l’equivoco venne chiarito. Con la stessa rapidità con cui il pianto s’era propagato fra la folla, si diffuse la gioia del riabbracciare il redivivo. Don Ivo riuscì a sopravvivere a stento alla morsa di cotanto affetto. Seguirono festeggiamenti luculliani, con salami nostrani e vino di quello buono.

Ma ciò che turbò il sonno di don Ivo, quella notte, fu la frase della signora Tina: “Eri così bravo che, quando predicavi, non si capiva niente».

Quando, 10 anni terrestri prima di quest’episodio, l’Alto Ispettorato Scientifico Stellare aveva inviato nel mondo degli umani il ricercatore inter-specie di nome Hivk, il Consiglio degli etologi gli aveva consigliato all’unanimità di mescolarsi agli studenti di teologia di un seminario cattolico e di prendere i voti, per poi utilizzare le confidenze dei fedeli – non le confessioni, perché sarebbe stato scorretto perfino per un extraterrestre – e l’osservazione del loro comportamento come materiale scientifico di ricerca. E così il prof. Hivk era divenuto l’amato don Ivo. Da quando il prete alieno – fra l’altro sinceramente convertito al cattolicesimo – aveva cominciato a predicare, aveva attribuito il merito dei consensi ottenuti fra i paesani proprio alla sua perizia nell’ars oratoria. Si era convinto che la gente tenesse in così grande considerazione la sua opinione, quasi esclusivamente grazie alla sua abilità extraterrestre di mantenere viva l’attenzione degli ascoltatori con figure retoriche trascendenti i confini della galassia. La signora Tina, in pochi secondi, aveva insinuato il dubbio nelle certezze scientifiche che Hivk aveva consolidato con anni di rilevamenti dal pulpito.

L’indomani era sabato, e don Ivo come sempre si sedette nel suo studio per comporre l’omelia domenicale. Di solito scriveva di getto anche sette pagine di sagaci riflessioni. Quel giorno… il vuoto. Gli era sopraggiunto un blocco psicologico. La Tina, con il suo ingenuo affetto, l’aveva distrutto!

Fu così che don Ivo, quella domenica, arrivato alla predica, facendo finta di niente, tirò di lungo, la saltò a piè pari.

A fine Messa, mentre ripiegava i paramenti, vide entrare in sacrestia il medico, il dott. Draghetti, con la gentile consorte. «Ecco – pensò don Ivo -. Ora questi saggi terrestri mi domanderanno come mai ho saltato la predica!».

Ma il dottore gli strinse la mano sorridendo: «Grazie, don Ivo! Grazie! Come sempre lei ci illumina!».

Don Ivo, perplesso, chiese: «Ma l’omelia?».

Rispose la signora, mentre il dottore annuiva con sincera approvazione: «Stupenda la sua omelia, don Ivo! Come sempre!».

Quella sera il prof. Hivk scrisse all’Alto Ispettorato:

«Esimi colleghi, mi duole comunicarvi che le ricerche da me finora condotte si sono rivelate del tutto inesatte…».

In quel momento, Cassandra, la gatta rossa della signora Nina, fuggita dal suo giardino ed entrata nella canonica, saltò sulla tastiera di don Ivo, notoriamente allergico al pelo di felino. Il povero prete alieno balzò indietro urlando alla belva di sloggiare. Ma la miciona dispettosa zampettò a raffica, 2600 battute e, con l’abilità che solo i gatti hanno di far partire email a casaccio, inviò l’insensato messaggio all’Alto Ispettorato.

Il povero prof. Hivk si preoccupò tantissimo: «Cosa penseranno ora di me? Ricevere una lettera di caratteri sconnessi!».

Attirò la gatta in cucina, aprendo una scatoletta di filetti di sgombro, la chiuse lì dentro e tornò di corsa davanti al pc. In quel momento arrivò la risposta dell’Alto Ispettorato:

«Stupenda la sua email, prof. Hivk! Come sempre!».

Anna Laura Folena (2015)

1 commento

  1. Ivo

    ma è fortissima questa storia!!!!!!

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Appassionato di fantascienza credo da sempre, ma scoperto di esserlo in quarta elementare quando mi hanno portato a vedere "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin: era il 1953 e avrei compiuto nove anni in quell'autunno.

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