Percorse un corridoio lavato dalla luce dorata proveniente dagli alti finestroni sulla destra. Al termine dell’andito giunse in quella che pareva un’anticamera. Lì, a ridosso della parete sinistra, c’era una scrivania con dietro una segretaria grassottella e rossiccia, mentre sul fondo si scorgeva un uscio azzurro chiuso.

[singlepic id=495 w=300 h=300 float=left]La signora seduta, che aveva un’innegabile somiglianza con una mozzarella col parrucchino rosso, si scese gli occhiali sulla punta del naso minuscolo e chiese:

«Desidera?»

«Sono il padre.»

«Ah, certo.» La signora lo scrutò da capo a piedi non nascondendo un certo scetticismo. «Comunico subito alla Preside il suo arrivo.»

Discese dalla sedia con un saltello e si rivelò non molto più alta del tavolo. Con passetti nervosi e alternati, che gettavano il peso ora su un polpaccio ora sull’altro, aggirò la scrivania e si diresse verso l’uscio azzurro. Ne aprì uno spiraglio e, rivolta all’interno, disse:

«È arrivato. Lo faccio accomodare?»

Mugugnò due volte in cenno di assenso, poi si voltò di nuovo verso di lui. «Può entrare.»

[singlepic id=497 w=300 h=148 float=right]Egli ringraziò con un sorriso e la raggiunse sulla soglia. L’anta azzurra allora fu spalancata e rivelò uno studio non molto largo. Era una stanza quadrata. Sul fondo c’era un’alta libreria di legno dove erano affilati tutti i volumi della Treccani in scrupoloso ordine, mentre sulla destra una finestra aperta lasciava entrare la luce in un getto preciso che disegnava un rettangolo giallo sul pavimento. Esattamente a metà tra la porta d’ingresso e la libreria, c’era una scrivania in mogano, molto più elegante del tavolo della segretaria. Seduta dietro questa scrivania, con le mani nocchiute a reggere le lenti e le pupille che cercavano qualcosa tra le scartoffie ordinate sul banco, c’era a sua volta una signora molto più elegante della segretaria.

Costei non disse nulla, pertanto l’ospite prese posto in silenzio alla sedia davanti alla scrivania. Nel frattempo la mozzarella in parrucchino sparì dietro l’uscio azzurro e questo si richiuse.

Un silenzio strano pervase lo studio.

[singlepic id=494 w=300 h=200 float=left]La donna ben vestita, che doveva avere un’età compresa tra i cinquanta e i seicento anni, continuò a frugare con gli occhi algidi i fogli e le cartelle che aveva dinanzi, come un giocatore di solitario che debba decidere con accuratezza la prossima carta da voltare. Nel frattempo il suo naso adunco spalancava le froge in ampi respiri impazienti.

All’improvviso la Preside, perché questo era la donna, alzò il viso verso l’ospite e gli indicò al contempo uno degli innumerevoli scartafacci con un indice dinoccolato. «Lei è il Padre?»

«Credo di sì» replicò lui con una punta di incertezza. Era raro che qualcuno mettesse in dubbio un simile fatto.

La Preside prese l’incartamento che aveva indicato e se lo pose dinanzi. Aprì con cura la prima pagina, poi, alzandosi gli occhiali sulla fronte, lesse le parole minute stampate lì sopra. Subito domandò:

«Il Signor Dio?»

«Sono io» rispose lui con un sorriso, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera pesante.

La donna si ripose le lenti dinanzi agli occhi, si prese le mani una nell’altra e lo guardò dritto sulla punta del naso. Non c’erano dubbi: non occhi negli occhi, ma occhi nel naso.

Nello stesso istante disse:

«Sono molto dispiaciuta di averla dovuta convocare. Immagino che per essere qui lei si sia dovuto prendere una pausa dal lavoro.»

Egli assentì. «Il mio lavoro è vario. Posso gestirmi il tempo in modo abbastanza comodo, ma al momento sono in pausa pranzo. Riattacco alle tre.»

«Capisco. Senta: non userò inutili giri di parole. La situazione è complicata. I suoi figli sono ingestibili.» Mugugnò per avvalorare il proprio asserto, poi continuò: «Noi cerchiamo di portarli all’ordine, di far rispettare loro le regole, ma non ci ascoltano. Sono ragazzi scalmanati. Passano il tempo a crogiolarsi con Iphone e tutte quelle chincaglierie, senza pensare alle cose realmente importanti. Non ascoltano le lezioni, e, nonostante ciò, si lamentano in continuazione di non ottenere buoni risultati. Non comprendono l’importanza del dare ascolto ai maestri.

«Come se ciò non bastasse, sono anche violenti. Si fanno del male l’uno con l’altro. Scatenano di continuo risse e baruffe. Non riesco a comprendere dove possano avere appreso simili modi di fare, poiché voi mi siete sempre parso un genitore ammodo e intelligente. Loro invece sono scorbutici, maleducati e irrispettosi. Fino a quando erano più piccoli riuscivamo a gestirli meglio. In giardino si tiravano tra loro sassi e rami, ma di rado si facevano male sul serio. Ora invece stanno crescendo e imparano solo ciò che vogliono imparare. Appena scoprono qualche nuovo argomento scientifico che possa essere sfruttato, trovano il modo di creare qualche assurdo esplosivo. L’addetto di laboratorio è giunto al limite di sopportazione. Se questi suoi ragazzi continueranno così, rischiano di farci saltare in aria tutta la scuola.

«E poi sporcano, Signor Dio, sporcano in ogni modo impossibile. Ovviamente si riempiono la bocca di belle parole, ogni giorno promettono che non lo faranno più, ma poi otturano i bagni, riempiono la loro aula di gas puzzolenti e di fumo. Non si rendono conto che a lungo andare i primi a pagare le conseguenze di questi danni saranno loro stessi. Quando inizieranno a crescere?

«Non è la prima volta che le facciamo arrivare le nostre rimostranze, ma ora ho deciso di convocarla perché la situazione si è fatta ingestibile. Solo i vostri figli raggiungono simili vette di maleducazione. Gli altri ragazzi, mi duole ammetterlo ma è così, gli altri ragazzi sono molto più educati. Rispettano la scuola, l’ambiente e i maestri. Solo l’aula in cui ci sono i vostri pargoli è un disastro.»

Egli annuì con gravità. «L’aula a piano Terra, giusto?»

«Esatto! Ma, mi spieghi, anche a casa si comportano in questo modo?»

Il buon Signor Dio emise un profondo sospiro e scosse la testa. «Ahimè, sì. Purtroppo la capisco pienamente. Questi ragazzi mi fanno dannare. A volte mi viene voglia di mandarli tutti in riformatorio, ma poi non riesco mai a decidermi. Non sono più vendicativo come un tempo, sa?» Sorrise e anche la Preside ricambiò con un risolino di cortesia.

Egli si grattò l’ampia fronte. «So che dovrei punirli duramente, ma più invecchio e più mi sento colmo di questo senso di perdono. Non vedo un solo errore che non abbia commesso anch’io in gioventù.»

«Mi permetta di contraddirla.» Ella lo interruppe. «Lei è sempre stato un’ottima persona.»

«La ringrazio. Ma vede, il fatto è che quand’erano piccoli erano molto più calmi. Allora li portavi in giardino e rimanevano soli per tutto il santo giorno senza fare danni. Ricordo che giravano nudi a inseguire il cane e il gatto, oppure passavano il tempo dando nomi improbabili alle cose.» Sorrise con benevolenza a quei remoti ricordi, ma poi si rabbuiò all’improvviso. «Poi è arrivata la maledetta pubertà, quell’immonda serpe che li ha trasformati. Da quel momento sono iniziati i peggiori disastri. Non può neanche immaginarsi quante me ne hanno fatte passare. Con il tempo ho perso il controllo su di loro e, giunto a un certo momento, decisi anche che dovevo intervenire. Feci loro una bella lavata di capo e, in apparenza, per un po’ se ne stettero buoni. Diedi anche delle regole molto chiare, poiché mi ero accorto che in passato ero stato di manica larga.»

Il Signor Dio scosse per l’ennesima volta la testa, incapace di accettare quei comportamenti. «Pensi che queste regole gliele ho anche scritte chiare e tonde. Una sera loro stavano facendo un’assurda festa. Sa, queste cose che fanno oggi i ragazzi: musica a tutto volume, alcol e promiscuità becera. Pensi che si erano addirittura messi a cantare davanti a un aggeggio tutto luminoso: una sorta di videogioco con un vitello d’oro e non so che altro. Io sono arrivato, ho cacciato via quelli che erano di troppo e ho stabilito le mie regole. Bam!» Batté le mani. «Per me erano come incise nel marmo. Per un po’ obbedirono, ma a lungo andare siamo tornati al punto di partenza. Trovano sempre qualche cavillo per girare le mie regole a loro favore.

[singlepic id=498 w=300 h=300 float=right]«L’ultima assurda novità che si sono inventati è chiamarmi con nomi diversi. Ognuno fa orecchie da mercante e interpreta quel che dico a modo suo. Io, ad esempio, do un ordine chiaro: rimettete a posto la camera. E loro iniziano a battibeccare: chi si mette in ginocchio sul tappeto a pregarmi di lasciarglielo fare più tardi, chi sostiene di voler regalare tutti i giocattoli ai poveri e, con questa scusa, ruba i giocattoli a tutti gli altri fratelli, chi si fa crescere i ricciolini alle basette perché va di moda, chi grida che metterà a posto alla prossima reincarnazione e così via. Sta di fatto che finiscono per azzuffarsi tra loro e nessuno mette a posto un bel niente.»

La Preside tossicchiò e commentò con il tono di chi dice una grande ovvietà:

«Lei dovrebbe sedersi a parlare con loro. La vicinanza del Padre è importante per un ragazzo in questa fase dell’adolescenza.»

Il Signor Dio chiuse gli occhi e si trattenne dal replicare con asprezza. Deglutì e poi disse:

«Secondo lei non ci ho provato? Sa quante volte sono sceso a parlare con loro, con calma, uno per uno? Sa quante volte ho cercato di ragionarci? Sul primo momento mi danno ragione, sembrano capirmi, ma il tempo di girarmi e ricomincia il parapiglia.»

La Preside allargò le braccia e si tirò indietro, così da poggiarsi allo schienale. «Dunque non c’è soluzione? Permettiamo a questi ragazzini di scatenare un continuo putiferio?»

Egli strinse le labbra, poi replicò:

«Dovranno pur crescere prima o poi, se Io voglio. Diventeranno adulti, capiranno i propri errori e metteranno la testa a posto.»

«E nel frattempo cosa facciamo, Signor Dio? Ha capito che se continuiamo di questo passo i suoi figli rischiano di farsi molto male? Rischiano di finire anche in pessimi giri! Le cattive amicizie sono sempre dietro l’angolo.»

«Io ho provato a sgridarli, signora Preside. Poi ho provato a parlare loro. Li ho anche lasciati soli per un po’, per vedere se scottandosi troppo comprendevano di dover essere più assennati, e non le dico cosa ho ottenuto perché mi piange il cuore al solo ricordo. Inizio a temere che questi ragazzi siano irrecuperabili.»

La Preside sorrise e si sfilò gli occhiali. Mentre li poggiava sulla scrivania, al fianco del fascicolo aperto, disse:

«Non sia così drammatico. Dobbiamo solo trovare un modo per ricondurli all’ordine. Di solito, giunti a questa età, si mette la testa a posto solo quando si incontra una ragazza seria.»

Il Signor Dio aggrottò le sopracciglia. «Sta parlando di amore?»

«Amore! Che parolone! Perché lei tende subito a sacralizzare tutto? Parlo solo di una fidanzatina.»

«Sta parlando di un’esterna?»

[singlepic id=499 w=300 h=169 float=left]«Sì, una persona completamente nuova che li sconvolga. Vedrà che dinanzi a un’influenza proveniente da un’altra aula o anche da un luogo totalmente diverso, tutti i suoi ragazzi finiranno per darsi una calmata. Ciò di cui hanno bisogno è capire di essere piccoli. Ora si sentono troppo importanti nel loro ambiente e in questa scuola, mentre il mondo lì fuori è tanto vasto. Devono capire di essere soltanto degli alunni qualsiasi dispersi nel granello di sabbia dell’istruzione universale.»