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Terza

Quarta

Quinta

scrivere fantascienza sesta parte

Sesta

Io credo che non sia utile in questa sede insistere troppo sulle distinzioni di genere che è possibile tracciare all’interno del variegato mondo della narrativa d’immaginazione. Per i nostri fini, converrà attenersi alla tradizionale ripartizione fra fantascienza, horror ed heroic fantasy (comprendendo in quest’ultima anche la Sword and Sorcery).

Una distinzione basilare che si può fare nel momento in cui si vanno a considerare questi tipi di narrativa, è una questione di motivazioni.

Naturalmente, teniamo sempre presente che la mente dell’autore che posso concretamente analizzare è quella del sottoscritto e null’altri che me stesso, quindi il discorso è forzatamente personale, e non ritengo per nulla inverosimile che un altro autore possa raccontarvi cose completamente diverse da quelle che mi accingo a dirvi.

Guardandomi indietro, ripercorrendo mentalmente le tappe di una passione che dura ormai da mezzo secolo (non oso usare il termine “carriera”) che mi ha portato sicuramente molte più soddisfazioni morali che denaro e notorietà, regalandomi momenti piacevoli e qualche frustrazione. Ma anche l’apprezzamento di un piccolo ambiente “di nicchia” e ci sono moltissime persone, probabilmente la maggior parte, che nel corso della vita non riescono a ottenere neppure questo.

Mi è abbastanza chiaro che tutto parte dal persistere di una mai abbandonata fantasia adolescenziale: il desiderio di colmare almeno con l’immaginazione i vuoti della nostra conoscenza, di prevedere in qualche modo il futuro, di intuire il divenire del nostro mondo collocandosi nei limiti del possibile dall’esterno, di svincolarsi dalle catene dell’hic et nunc.

Questo, lo si comprende, va molto bene per la fantascienza, ma come si pone la questione rispetto a fantasy e horror?

Bene, qui la risposta deve senz’altro essere articolata.

Ad esempio, fra gli autori maggiormente innovativi della letteratura fantastica del XX secolo, va indubbiamente contato H. P. Lovecraft che, abbandonando quasi del tutto i temi della tradizionale narrativa horror a base di fantasmi, vampiri, streghe e licantropi, ha introdotto un concetto “cosmico” e “non antropomorfo” dell’orrore, basato sulla presenza di entità che nulla hanno di umano e che si rapportano a una scala che trascende di gran lunga la nostra.

scrivere fantascienza quinta parte: TholeCome mi è capitato di raccontare in altre occasioni, mi è successo di imbattermi molto precocemente nella narrativa del solitario di Providence, e l’antologia I mostri all’angolo della strada con la bellissima copertina di Karel Thole che conservo ancora nel suo cofanetto cartonato, ha finito per costituire un po’ il testo capostipite della mia biblioteca. Non è difficile comprendere il fascino che può esercitare su di un adolescente questo “allargamento degli orizzonti”, si può finire “catturati” per la vita, come per fortuna è successo a me.

P. Lovecraft non è stato soltanto un autore originalissimo dalla potente fantasia, ha creato un vero e proprio canone narrativo, un nuovo genere – potremmo dire – di narrativa fantastica i cui punti di contatto con l’horror tradizionale sono alquanto esigui.

Molti autori si sono cimentati nello scrivere racconti e romanzi che si inseriscono nel “canone” lovecraftiano, a cominciare da amici e corrispondenti dello stesso HPL, da lui stesso incoraggiati. Primi fra tutti Robert E. Howard e Clark Ashton Smith.

Poiché qui non si tratta dello stile di un autore, ma di un canone narrativo nuovo, diciamo che a parte qualche esempio deteriore, questi lavori sono imitativi nello stesso senso in cui tutti gli autori della fantascienza sono imitatori di Hugo Gernsback.

Tranne ovviamente Lovecraft stesso, non credo siano molti gli autori che hanno prodotto abbastanza racconti “lovecraftiani” da comporre un’antologia, August Derleth e probabilmente pochi altri.

Io ho all’attivo  quattro antologie di questo genere, tutte e quattro pubblicate dalla Dagon Press di Pineto (Teramo), Nel tempio di Bokrug, Sulle orme di Alhazred, Progenie degli abissi e Il segno di Yog Shotot. Non so se sia un record a livello mondiale, ma in Italia lo è senz’altro.

Per quanto riguarda l’horror non lovecraftiano e l’heroic fantasy, le motivazioni sono diverse e – lo ammetto – più superficiali. Giocano certamente sia il fatto che esiste una costumanza editoriale di accostamento di questi generi fantastici, sia “il gusto” che si finisce per sviluppare per i mondi di pura immaginazione.

Quando un autore ha la capacità di sviluppare un mondo fantastico articolato e coerente, la tentazione di “prenderne a prestito” gli scenari è ovviamente molto forte, sia per completare in qualche modo il suo mondo immaginativo, sia per “coglierlo in fallo” evidenziandone qualche contraddizione.

Finora ho avuto minore fortuna nel campo della narrativa lunga che in quella breve, anche se ho nel cassetto (in realtà nell’hard disk) altri progetti di cui ora non è il caso di parlare, per lungo tempo ho avuto all’attivo solo la pubblicazione di un romanzo breve (un centinaio di pagine), Uomini e sauri sul n. 48 della rivista “Futuro Europa” della Perseo (ora Elara) Libri di Bologna, e solo in tempi più recenti sono riuscito a produrre e pubblicare due romanzi di fantascienza, L’orizzonte di Cristallo e Uomini e sauri (in una versione ampliata) e due romanzi di heroic fantasy, La spada di Dunnland e Una spada per un re, tutti e quattro editi dalle Edizioni Scudo, anch’esse bolognesi. una produzione che comunque risulta minoritaria rispetto  ai racconti che superano agevolmente le tre centinaia. Quanto a eventuali romanzi di horror, nonostante le quattro antologie lovecraftiane di cui vi ho detto, confesso di non averne scritti né avere intenzione di scriverne: a mio parere l’horror è un genere che si presta molto meglio alla narrativa breve.

Scrivere fantascienza parte quinta: DunnlandCome è facile comprendere già dal titolo, in particolare La spada di Dunnland è un romanzo di heroic fantasy, non solo ma di ispirazione tolkieniana, una sorta di “vent’anni dopo” del Signore degli anelli. Immagino che la maggior parte di voi abbia presente la chiusa del capolavoro di Tolkien, “E questa fu la fine degli elfi delle storie e dei canti”.

Dopo averci aperto uno squarcio su di un mondo altro, dipinto con vivida immaginazione e indubbio fascino, sembra che l’autore inglese abbia voluto fare di tutto per richiudere questo squarcio, mettere un punto fermo o delle colonne d’Ercole che non possano essere oltrepassate.

Bene, proprio per spirito di sfida, io questo squarcio mi sono ingegnato di riaprirlo.

Devo dire che il rapporto che ho avuto (non, ovviamente con le persone, ma con le rispettive opere letterarie) con Tolkien, è stato completamente diverso da quello con Lovecraft.

Nell’uomo di Providence ho sempre visto uno spirito affine al mio, una sorta di guida e di saggio fratello maggiore al di là della distanza nello spazio e nel tempo.

Col professore di Oxford, penso che se avessi dovuto convivere, non avemmo fatto altro che litigare di continuo: trovo irritante il suo conservatorismo, la sua visione delle cose antropocentrica e tolemaica, e non voglio dire nulla del fatto che mentre io, pur coi miei limiti, ho cercato di spaziare un po’ in tutte le direzioni del fantastico, Tolkien attraverso Lo Hobbit, Il signore degli anelli, Il silmarillion, tutti i volumi della Storia della Terra di Mezzo, non ha fatto altro che raccontare un’unica storia. Questa settorialità, quando si hanno a disposizione gli illimitati campi del fantastico, non mi riesce comprensibile.

Dopo aver portato a termine il romanzo, per un lungo periodo evitai di scrivere e di leggere qualsiasi cosa avesse a che fare con Tolkien, anche perché c’era un ulteriore problema: l’autore oxfordiano aveva dipinto un mondo così vivido, complesso e coinvolgente da costituire un pericolo per qualcuno che fosse scrittore a sua volta, quello di essere “risucchiati” in esso al punto da non riuscire più a produrre un’elaborazione fantastica propria, o almeno questa fu l’impressione che ne ebbi.

Una volta chiarita la questione delle motivazioni, non siamo che a metà del problema.

Come vi ho già spiegato, esistono sicuramente molti modi per arrivare a scrivere una narrazione di ispirazione fantastica, peccato che per quanto mi riguardi, non ne conosco in sostanza che uno: la violazione delle aspettative del lettore (ricordate l’esempio di Sentinella di Frederic Brown?), un metodo che si applica bene alla fantascienza; le lacune delle conoscenze scientifiche, le contraddizioni delle teorie accettate, le incognite del futuro e dell’universo infinito, magari popolato da forme di vita a noi sconosciute, di “sorprese” possono rivelarcene a bizzeffe, ma tutto ciò come si può applicare alla fantasy e all’horror, soprattutto all’heroic fantasy dove, nello spazio che va da John R. R. Tolkien a Robert E. Howard, pare si sia ormai costruito un universo codificato e dettagliato in tutti gli aspetti che sembra quasi aver acquisito la concretezza del mondo reale?

Sarà un caso, ma oggi il racconto di heroic fantasy appare un genere in decadenza, e la tendenza è non solo alla produzione di romanzi, ma di cicli lunghi che si sviluppano attraverso tre, quattro o anche più volumi.

Il problema, io penso, per quanto riguarda l’horror da un certo punto di vista è ancora peggiore, perché se si prescinde dal “canone” lovecraftiano, gli argomenti, gli spunti sono veramente scarsi, non più di cinque: fantasmi, vampiri, lupi mannari, streghe, zombi.

Controllando la mia bibliografia narrativa ho potuto verificare che in essa ci sono un paio di racconti, non di più, tangenti il tema della licantropia, Liomo e Plenilunio che si trovano nell’antologia Incubi e prodigi pubblicatami dalle Edizioni Scudo, ma in realtà non vi sono lupi mannari veri e propri.

Sempre in essa, vi sono un paio di storie di streghe, ad esempio Mab nell’antologia Il risveglio della spada (anch’essa delle Edizioni Scudo), ma è un tema che io vedo connesso piuttosto all’heroic fantasy che all’horror. Storicamente, “le streghe” o le donne ritenute tali, erano persone vittime o ribelli di una società e di una cultura fortemente maschiliste, e a me non riesce di vederle come personaggi negativi o pericolosi.

Di storie di zombi non ne ho mai scritte e non ho intenzione di scriverne mai.

Questo repellente personaggio che oggi è diventato di moda grazie ad alcune pellicole e serie televisive, è l’epitome dell’horror inteso NON come genere fantastico ma come pura e semplice esposizione di effetti truculenti da Grand Guignol o bassa macelleria.

Certamente, fantasmi e vampiri si prestano a un utilizzo più ampio dove si può giocare su una gamma più vasta di tonalità, dall’orrore all’umorismo. Oggi nell’horror i vampiri sono tornati di moda con una serie di romanzi e di produzioni televisive che calcano molto sull’aspetto erotico-sentimentale e sono una specie di versione horror (o halloween) di “Bluemoon”. Io, onestamente, preferisco la versione più classica del vampiro come ci è stata tramandata da Bram Stoker in poi.

Precisato tutto ciò, rimane il problema: come si può introdurre anche nella fantasy e nell’horror quel meccanismo della violazione delle aspettative o come talvolta si dice con un termine mutuato dal tedesco, della Spaltung, della frattura rispetto alla situazione attesa che risulta tanto fruttuoso nella fantascienza?

Non sempre, ma in qualche caso, ho sfruttato la mia innata propensione ai giochi di parole e alle metafore.

Ad esempio, in un racconto, L’ospite, ho parlato di un ospite di una giovane coppia che fa di tutto per evitare uno screzio fra i due coniugi, ma il motivo per il quale desidera che i due se ne vadano la sera a letto senza essersi fatti il sangue amaro, è meno altruistico di quel che potrebbe sembrare, poiché si tratta di un vampiro.

Il tema del vampiro è certamente il più sfaccettato e si presta a più interpretazioni, e quindi alla possibilità di scrivere più racconti senza essere ripetitivi.

Sempre per le Edizioni Scudo, ho pubblicato un’antologia di racconti “vampirici”, I canini sulla giugulare (dove trovate appunto L’ospite ma anche molto altro).

La stessa tecnica dei giochi di parole si presta a essere impiegata nell’heroic fantasy.

Ad esempio nell’antologia Il risveglio della spada ci sono due racconti di ispirazione tolkieniana, Memorie ancestrali e Regenbogen e Arcenciel. Guarda caso, entrambi derivano da giochi di parole. Anagrammando il nome di Orome, uno dei principali valar, “gli dei” del mondo di Tolkien, si ottengono quelli di Omero e di Romeo. Se l’uno e l’altro fossero stati incarnazioni di Orome costretto all’esilio nel mondo degli uomini? È il tema di Memorie ancestrali. “Arcobaleno” in tedesco è Regenbogen mentre in francese è arc-en-ciel: accostando questi termini ai linguaggi inventati da Tolkien, il primo potrebbe essere il nome di un nano, il secondo un nome elfico.

Una bella traccia per immaginare una storia d’amore fra un giovane nano e una fanciulla elfica, anche se naturalmente occorreva farci entrare l’arcobaleno.

Un esempio di racconto basato sulle lacune o incongruenze che capita di scoprire in un autore, è I cinque anelli.

Avete presente l’incipit del Signore degli anelli? Un anello all’Oscuro Signore, tre agli elfi, sette ai nani, nove agli uomini: una progressione con un buco nel mezzo; qualche altro genere di creatura di anelli avrebbe dovuto riceverne cinque. Solo che a questa storia ho dato un’ambientazione moderna e uno svolgimento da racconto horror, e non l’ho pubblicato in un’antologia di fantasy come Il risveglio della spada, ma in Sulle orme di Alhazred, una delle mie antologie lovecraftiane (con un simpatico sottotitolo: Se il Signore degli anelli, invece che da John Tolkien fosse stato scritto da H. P. Lovecraft).

Queste però nella fantasia eroica sarebbero ancora delle eccezioni.

Il modo più giusto di procedere sarebbe quello di considerare i personaggi tipici del genere, che hanno alle spalle una lunga caratterizzazione: il giovane eroe, il sovrano saggio, la bella principessa, il tiranno ambizioso, lo stregone malvagio, il mago buono, e simili, e vedere in quale modo è possibile farli interagire.

In realtà si tratta di un metodo meno facile da usare di quel che sembri. Io sono riuscito a usarlo solo due volte: due racconti che credo rappresentino nella mia produzione le due sole eccezioni al metodo della Spaltung.

Nel primo dei due, L’occhio verde, probabilmente non sarei riuscito a venire a capo senza introdurre un deus ex machina alquanto estraneo all’heroic fantasy, un “viaggiatore” (spaziale o proveniente dal futuro) venuto da un mondo a elevata tecnologia che decide di dare man forte ai buoni.

Il secondo caso, L’occhio di Savankala, fu diverso, si trattava di un racconto che doveva inserirsi nel ciclo del Mondo dei Ladri di Michael Asprin, di cui l’editore Fanucci, dopo averlo pubblicato in Italia voleva pubblicare un sequel affidato ad autori italiani.

Di quest’ultimo non si fece niente, ma il mio racconto ha infine trovato collocazione in Il risveglio della spada. In questo caso fui avvantaggiato dal fatto di trovarmi una serie di personaggi già pienamente delineati, ma fui sorpreso di come, infine, gli elementi della vicenda si incastravano alla perfezione.

Qualche volta è possibile “barare”, si può ad esempio sviluppare un’idea fantascientifica accentuando gli elementi horror o magari qualcosa che sta a cavallo fra i due generi e potrebbe essere indifferentemente incluso in un’antologia dell’uno o dell’altro tipo.

Ad esempio Libertà presente in Incubi e prodigi e in diversi siti internet è la storia di una possessione ma non c’è alcun elemento soprannaturale. L’entità che si impadronisce della vita dello sfortunato protagonista è semplicemente il risultato casuale di un’esplosione che fa entrare nel suo cranio una piccola scheggia metallica che taglia alcuni circuiti cerebrali e ne crea di nuovi.

Come vi ho detto, in ultima analisi, quello che ho imparato a usare, e naturalmente da autodidatta, è in sostanza un unico metodo, ma abbastanza elastico e versatile da poter essere manipolato in una serie pressoché infinita di varianti e da accompagnarmi in un percorso ultra quarantennale, e raccontarvelo non sarà certo fatica sprecata se avrà aiutato qualcuno di voi a iniziare la sua esperienza nel mondo dello scrivere.

 

in copertina I mostri all’angolo della strada disegnato da Karel Thole.