Gli ultimi quattro Premi Urania, tra il 2018 2 il 2021 hanno visto una specie di rivoluzione nella selezione della Redazione di Urania: tre dei romanzi premiati sono opera di scrittrici.

Quindi significa che le scrittrici finalmente hanno fatto il botto?
O significa forse che non ci sono più scelte proposte da scrittori maschi?
O forse significa che la Redazione ha deciso di mettere in evidenza le scrittrici, costi quel che costi?

Forse tutte queste ipotesi sono giuste. Il fatto è che la qualità delle scelte dell’apposita giuria è per lo meno sospetta.

Non intendo aggiungere più molto sul romanzo di Francesca Cavallero del 2018 (Le ombre di Morjegrad) che davvero mi ha dato parecchi grattacapi personali.

In quell’occasione si è scatenata una vera canizza di signore arrabbiate per il mio giudizio negativo dell’opera. Scrittrici e lettrici mi accusavano di essere un maschilista, bieco, disgustoso e paternalista. Immagino che per non esserlo mi sarebbe dovuto piacere quel libro. Non essendo così stato, era evidente la mia appartenenza ai peggiori elementi della razza maschile.

Stesso trattamento da parte di autori e lettori maschi più avanzati di me, decisamente più moderni e più riformisti.

Al di là dello sgradevole effetto che ha mi ha fatto questa alzata di scudi, i protestanti e le protestanti si sono tutte e tutti nascosti nella penombra dei social, tranne il disegnatore Franco Brambilla che mi ha chiesto di eliminare tutti i suoi disegni dal mio sito e di mettere una nota in proposito. Come si vede (al fondo della pagina di cui il link) la richiesta è stata accolta ed è per lo stesso motivo che anche questo articolo non presenterà alcuna copertina del libro di quest’anno, ché temo essere anche ‘sta volta di Franco Brambilla.

Ho poi ricevuto in privato da operatori legati a Mondadori, diverse richieste di non essere mai più nominati da me, cosa che infatti ho accettato di fare. Costoro sono in definitiva i più disgustosi: non si sono fatti vedere in pubblico accontentandosi di insultarmi in privato.

L’anno successivo è stata la volta di Davide Del Popolo Riolo (Premio Urania 2019 Il pugno dell’uomo). Davide è autore che in genere apprezzo molto per la sua scrittura, eppure il romanzo non è all’altezza di altre sue opere, pur essendo un onesto viaggio di fantasociologia politica e futura.

Quindi nel 2020, abbiamo scoperto Elena di Fazio (Resurrezione), libro che inizia come romanzo di fantascienza e finisce come thriller spionistico/terroristico con grandi effetti. Direi che è la migliore tra le opere di questi ultimi quattro anni.

Ma oggi (2021) parliamo della proposta Premio Urania di Franci Conforti, (Spine).

Qui devo in verità confessare che la storia non mi ha preso granché.

Tutto si svolge in un tempo esageratamente lontano, intorno al 4000 dopo Cristo. L’autrice intende sviluppare una sorta di cronaca ecologista, con diverse sfumature sociali, politiche e femministe.

Una intrattenitrice tele-olo-visiva intergalattica, Ellie So, vive su un planetoide che disegna una complicata orbita tra Terra, Luna e Marte (Probe). La donna si lancia in un viaggio clandestino qui da noi (in Pianura Padana, pare di capire) per “liberare” gli animar.

E chi sono gli animar?

Sulla Terra e nello spazio conquistato, vivono un bel gruppo di esseri più o meno modificati: gli animar sono animali che possono parlare e comunicare, sia pure ognuno con il grado di intelligenza tipico della loro specie.

Poi ci sono mental, platonici, angelici, i friendz e altre diavolerie (i cosiddetti evoluti).

Uomini e donne nativi (cioè noi) esistono, ma sono poco considerati. Siamo anzi una razza disprezzata, pare di capire.

Tutto questo insieme di esseri è un po’ ingombrante nell’economia del romanzo. Vale a dire, troppa roba, difficile da gestire.

La protagonista viaggia portando con sé una koalar, vale a dire una Koala femmina. Tutti gli animar sono identificabili facilmente perché finiscono per ‘r’: canir, pecorer, topir, koalar e via divertendosi.

L’umanità abita torri, che sono città e che in realtà sono alberi semi senzienti (arbopoli).

Insomma, il romanzo presenta una enorme quantità di cose: tutte sconosciute, ovviamente, come oggetti o bestie e ogni elemento ha un suo nome. Poco per volta, tutto ciò produce una scrittura che sempre più tende a sviluppare un linguaggio del tutto inventato, che non risulta sempre agevole per la comprensione. A me personalmente piacciono i linguaggi strani, ma questo risulterà alla fine poco amichevole.

C’è poi da dire che il romanzo stenta un bel po’ a prendere forma: vorrebbe essere una sorta di storia ecologica, ma poliziesca. Anzi, un genere crime tipo Gomorra.

Infatti, queste Spine, da cui il titolo, sono una sorta di banda mafiosa, o camorristica: delinquenti che trafficano, non è dato capire bene in cosa. È però sicuro che il loro scopo è di far soldi illeciti. Ammazzare a destra e manca. Insomma, le cose già viste.

Ellie So viene affiancata da due nativi, ex poliziotti, uno dei quali si è infiltrato nell’organizzazione delle Spine, unico elemento che permette di introdurre questa organizzazione criminale nella storia. Infatti, queste Spine non si vedono quasi mai per tutto il romanzo. Salvo un paio di personaggi che appaiono di sbieco durante la narrazione. Ogni tanto se ne parla: i nomi delle Famiglie, che cosa hanno fatto…

Eppure, i personaggi sono tutti molto spaventati da queste Spine, anche se, prima della fine, saranno in pratica eliminate dall’autrice senza troppi rimorsi, né ulteriori inconvenienti. Come fossero un impaccio anche per lei.

Che altro dire?

A mio avviso si sono perdute diverse buone occasioni, imbastite e non sviluppate.

1. Prima di tutto quella del ‘linguaggio’ inventato. Chi mi conosce sa benissimo quanto io sia appassionato di testi con linguaggi nuovi: a partire da James Joyce, fino alle trovate di Camilleri. In questo libro, invece, il linguaggio confonde e non decolla.

2. Poi il paesaggio: questi legni che crescono per la maestria dei bioarchitetti, non sono però mai descritti bene: show, don’t tell. Certo. Ma qui non funziona granché lo show! Forse proprio per ovviare a questa debolezza, alla fine del libro l’autrice ha inserito alcune schede, che parlano e descrivono più dettagliatamente elementi del romanzo: la strana orbita di Probe, le arbopoli, la localizzazione in Valle Padana del racconto…

3. Il terzo elemento non del tutto positivo è lo spunto crime che si scioglie tutto nelle poche pagine finali, senza quasi dare una spiegazione logica: si passa da un placido periodo di conoscenza dell’ambiente Terra da parte della protagonista, al pericolo di morire per mano delle Spine.

4. Infine, abbiamo il personaggio centrale, che è interessante (Ellie So), ma non ha purtroppo uno sviluppo coinvolgente. Il racconto non la vede mai davvero protagonista. Interessante l’idea di far descrivere in prima persona un ambiente terrestre (sia pur futurista) da una non abitante sulla terra. Credo che però il personaggio manchi di fascino. L’autrice non abita fuori dalla Terra e non vive a duemila anni nel futuro; per cui se è vero che gli esseri umani saranno sempre quelli, qui sono, tuttavia, pochissimo credibili.

Per concludere, come si usa fare ultimamente, il romanzo non rinuncia a due o tre episodi francamente repellenti, utilizzati naturalmente per rafforzare lo spunto ecologico: l’ultimo decisamente gratuito è un uomo trasformato in un terreno di coltura vegetale, con radici e rami che gli spuntano da tutte le parti!

Voglio sospendere un giudizio su Franci Conforti che tutto sommato ben si è comportata in questa proposta; per lo meno come quantità di idee e di trovate, ma per i miei gusti servirebbe qualche lavoro in più sullo sviluppo di una trama. Dovete perdonarmi, ma sono ancora un appassionato di altri tipi di classici…

Per completare il volume di Urania sono riportati tre racconti, cioè i vincitori del Premi Urania Short.

In questi casi due su tre raccontano la stessa identica storia di un mondo morente, o marcescente, senza pace e con un finale privo di ogni speranza.

Il terzo (sia lode ad Alessandro Montoro) crea (vivaddio!) un ambiente finalmente immaginifico. Peccato solo che l’argomento sia stato troncato a metà e che l’autore si sia dimenticato di sviluppare un finale degno.

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.