“Frecce di fiamma piovvero in gran copia avvolgendo il nemico da ogni lato e sulle schiere di Pandava scese rapidamente una densa tenebra. Tutti i punti dell’orizzonte sparirono nella caligine. Poi cominciarono a soffiare venti tremendi, nubi si alzarono ruggendo, seminando polvere e detriti.

“Gli uccelli lanciarono stridule grida di terrore… gli elementi stessi sembrarono alterati a dismisura, il sole parve tremare in cielo. La terra fu scossa da un terremoto, bruciata dal violento calore di quest’arma. Gli elefanti si incendiarono e scapparono terrorizzati in ogni direzione… su un’immensa area altri animali si accasciarono al suolo e morirono. Da ogni direzione le frecce di fiamma continuarono a piovere senza sosta seminando la distruzione…

“Gurkha, che volava a bordo del suo potente e veloce Vimana, scagliò contro le tre città del Vrishnisand Andhakas un unico proiettile carico di tutta l’energia dell’Universo. Una colonna incandescente di fumo e fiamme brillanti quanto mille soli si levarono in tutto il loro splendore… la folgore Aniron, un gigantesco messaggero di morte, che ridusse in cenere l’intera razza dei Vrishnis e degli Andhakas… i cadaveri rimasero carbonizzati al punto da essere irriconoscibili. Capelli e unghie caddero, il vasellame si frantumò senza ragione apparente e gli uccelli diventarono bianchi… dopo alcune ore tutti gli alimenti si infettarono… per sfuggire a questo fuoco di distruzione, i soldati si gettarono nei fiumi per lavare se stessi e il loro equipaggiamento…”

Sono parole del Mahabharata, il più celebre poema indiano, tratte dall’episodio in cui l’eroe Adwattan scaglia contro i nemici “un lucente missile di fuoco senza fumo”. Da questa vivida descrizione di battaglia la prima immagine che viene in mente è quella dello scoppio di un missile nucleare.

La colonna di fumo che si leva a fungo, capelli e unghie che cadono, cibi contaminati, distruzione su vasta scala… Non occorre molta fantasia per arrivare a questa deduzione, la descrizione è precisa e non è l’unica. Il Mahabharata ne è pieno. Nel diciannovesimo secolo, quando il poema è giunto in Europa non ne era stato percepito tutto il potenziale: le nubi a forma di fungo, le polveri radioattive, le temperature elevatissime, le onde d’urto e la contaminazione radioattiva erano sconosciute e l’interpretazione più diffusa era che si parlasse di disastri naturali, più o meno abbelliti dalla poesia.

Oggi invece l’olocausto di Hiroshima e Nagasaki ci permette di interpretare molto più realisticamente queste scene.

Fantasie poetiche, obiettano molti. Ma le descrizioni sono tante e così precise che è difficile credere che una fantasia di un passato ormai lontanissimo possa coincidere così drammaticamente con la realtà di oggi

Nella letteratura Vedica dell’India le descrizioni di macchine volanti, di battaglie aeree, di distruzioni immani sono innumerevoli. Queste macchine volanti sono chiamate Vimana e in un libro epico indiano si parla addirittura di una battaglia di questi (Vimana) sulla luna!

Le fonti

Abbiamo già accennato al Mahabharata, il poema forse più conosciuto, anche al di fuori della cerchia degli specialisti. Ma la letteratura è vastissima.

Macchine volanti compaiono nella letteratura buddista, dove il termine Vimana è usato a volte per indicare macchine aeree e a volte “luoghi speciali” dove risiedono gli “spiriti eletti”, come nel Vimana Vitthu, poema che fa parte del Mahavamsa.

Il poeta Kalidasa descrive il volo di Rama da Lanka (Sri Lanka) ad Ayodhaya, circa 3000 chilometri, con termini assolutamente realistici. Il velivolo descritto da Kalidasa sembra addirittura sfruttare la levitazione, o per lo meno il principio dei cuscini d’aria.

Altri riferimenti a veicoli aerei sono contenuti nel Katasaritsagar, per non parlare di fonti cinesi e coreane di cui parleremo più avanti.

E descrizioni di ogni genere sono presenti nel Rigveda, nel Ramayana e nel Paranas.

Le descrizione delle macchine volanti chiamate Vimana non sempre coincidono con le diverse fonti e questo è logico se si considera l’enorme tempo trascorso dai fatti narrati e la differente capacità letteraria degli estensori delle diverse opere. Così queste macchine si dividono in due categorie principali, veicoli aerei costruiti dall’uomo, che assomigliano ai moderni aerei e volano con l’aiuto di ali e strutture non aerodinamiche e Vimana che non sarebbero stati costruiti dall’uomo.

Molte delle descrizioni sembrano rifarsi a quelle dei moderni UFO… ma gli UFO sono oggetti volanti non identificati moderni, come mai allora le antiche descrizioni sembrano coincidere punto per punto?

Secondo alcuni antichi testi indiani il Vimana è un velivolo circolare a due ponti con oblò e una cupola… non vi ricorda niente questa descrizione?

In realtà sono sia circolari a forma di disco volante, sia affusolati a forma di sigaro. Molti degli antichi testi indiani costituiscono dei veri e propri manuali di volo dei suddetti, che si suddividono fondamentalmente in quattro tipi: Shakuna, Sundara, Rukma e Tripura. I Veda, altri antichi poemi indù, ne indicano specificatamente alcuni tipi, come l’ahnihotra-Vimana, munito di due motori, il Vimana-elefante, con un numero maggiore di motori e altri tipi di Vimana che portano il nome di animali, tra cui l’ibis.

Il Mahabharata

Il Mahabharata opera di estrema complessità e ricchezza, è forse la fonte più considerevole di accenni ai Vimana.

Una delle sue narrazioni più avvincenti è quella che riguarda il Vimana di un re indiano chiamato Salva, che l’avrebbe acquistato, niente di meno, che da Maya Danaya, un re, abitante del sistema planetario Taltala!

“Il crudele Salva era arrivato sul suo cocchio Saubha, da cui aveva ucciso molti valorosi giovani Vrishni e devastato tutti i parchi cittadini…”

Il velivolo di Salva è descritto come un’invincibile città di ferro da scaglia contro i nemici serpenti, pietre e tronchi d’albero. Ma possedeva anche tecnologie in grado di comandare gli eventi meteorologici e produrre così trombe d’aria, folgori e grandine con cui abbattere i nemici. Stranamente in questo caso non si fa cenno a bombe di sorta, a meno che le folgori non siano solo un pittoresco modo di indicare missili la cui esplosione provocava distruttive trombe d’aria e sconvolgeva gli elementi a tal punto da provocare grandinate con gli sbalzi di calore delle correnti aeree.

Però si parla di armi moderne quando l’eroe Krishna si lancia all’inseguimento di Salva:

“Il suo Saubha viaggia a grande altezza e mi scaglia contro razzi, missili, lance, giavellotti a tre lame, fiamme di fuoco… il cielo sembra accendersi di cento soli e cento lune.. e di miriadi di stelle. In ogni direzione non si distingue più il giorno dalla notte…”

Qui la descrizione sembra indicare una serie sterminata di esplosioni quando il Saubha diventa invisibile, Krishna scaglia una freccia che uccide tutti i Davanas, i soldati di Salva, mediante frecce fiammeggianti come il sole.

Ma di tutti questi combattimenti apocalittici rimane qualche reperto? Qualcosa di tangibile che possa suffragare le maestose descrizioni dei poeti indiani?

Ebbene sì. E ancora una volta torna il nome di un’antica città che compare in tante cronache d’epoca, una città avanzatissima, con sistema idraulici d’avanguardia, una città indiana il cui nome oggi ha un fascino misterioso per i mille segreti che ancora sembra nascondere: Mohenjo-Daro.

Lo scorso secolo una spedizione archeologica in questa città riportò una scoperta incredibile. Nelle strade venute alla luce trovarono degli scheletri stretti gli uni agli altri, come se avessero tentato di ripararsi da un pericolo incombente, e questi scheletri presentavano, ancora a distanza di migliaia d’anni, un altissimo indice di radioattività. Le strade inoltre erano costellate di masse vetrificate che accurati studi permisero di identificare un vasellame di creta che si era fuso a causa di un immenso calore!

Una Hiroshima dell’antichità?

Il Rigveda

Questo poema parla dei gemelli Asvina e Rbhu e di veicoli in grado di volare nell’aria. Questi veicoli sono chiamati “ratha”, ossia carri, e sono velivoli attrezzatissimi di forma triangolare. Decollano e atterrano su ruote retrattili, che in volo vengono ritirate, proprio come i moderni aerei.

Un punto molto interessante del Rigveda è quello relativo al carburante, chiamato “madhu” e anche “anna”, due termini che indicano una “sostanza liquida”. Madhu significa anche “miele” e forse indica il colore di questo combustibile. Purtroppo questo carburante non è meglio specificato, ma appare senz’altro liquido, esattamente come il carburante dei nostri moderni aerei. Un altro punto di somiglianza con i nostri aerei è il frastuono e il vento che questi velivoli producono al decollo, tale da fare oscillare piante ed edifici.

Sono descritte scene di battaglia, viaggi e azioni di commando.

Il Ramayana

Il Ramayana è interessante perché oltre alla descrizione di velivoli perfettamente e lussuosamente attrezzati, in grado di trasportare diversi passeggeri, sembra potessero ospitare anche degli “esseri divini”; ma forse si è voluto solo divinizzare una casta di privilegiati.

L’origine spaziale e le città spaziali

Di “esseri celesti” scesi nell’antichità tra gli uomini, parla invece esplicitamente il Sabhaparvan, in cui compaiono i sabha, autentiche città spaziali che orbitano intorno alla terra, munitissime fortezze dotate di armi poderose.

Una di queste città sarebbe stata costruita nientedimeno che da un dio, Brahma per due demonesse: Pulama e Kalaka.

Contro la città spaziale si batterà l’eroe Arjuna del Mahabharata che si impegnerà in una lotta terribile contro i demoni che della città spaziale avevano fatto la loro inespugnabile fortezza.

“La battaglia infuriò tremenda a tal punto che la città aerea fu sbalzata fuori dalla sua orbita per poi ricadere verso la terra… priva di ogni controllo… Arjuna allora scagliò un proiettile mortale che la distrusse totalmente. Ma alcuni demoni sopravvissero, ripresero le armi e tornarono a combattere con più energia di prima.”

Inutile dire che alla fine i demoni furono definitivamente annientati e la vittoria arrise ad Arjuna. Altrimenti che eroe sarebbe stato?

Altre città spaziali orbitanti compaiono nel Vanaparvan: Vaihayasi, Gganacara, Khecara.

Dall’enorme corpus della letteratura Vedica si possono trarre centinaia di accenni che fanno ipotizzare la presenza nell’antichità di città spaziali dotate di ogni comfort, in orbita attorno alla terra, dalle quali veicoli spaziali andavano e venivano diretti sulla terra o addirittura nello spazio.

C’è una certa confusione nei termini, poiché a volte sia le città spaziali sia i veicoli volanti sono indicati con lo stesso nome “Vimana.”

La tecnologia dei Vimana

La tecnologia dei VimanaNelle descrizioni i Vimana, sembrano sfidare le leggi della natura, esattamente come succede per gli UFO. In effetti le analogie con i misteriosi “oggetti volanti non identificati” non si limitano alla pura e semplice forma (disco volante o sigaro volante). I Vimana potevano rappresentare un’antica tecnologia che sfruttava le forze della natura, (come i campi elettromagnetici), non per nulla secondo alcuni monaci tibetani le manifestazioni, oggi definite UFO, sarebbero “forme radianti di materia”, una forza protettiva sempre presente, ma non sempre percepibile.

I Vimana avrebbero quindi una qualità virtuale nell’universo vedico, che guarda caso è descritto come prodotto dell’illusione. L’energia è attivata da un’espansione dell’essere supremo chiamato Maha-Visnu, il programmatore dell’universo.

Uma, la moglie di Siva è conosciuta col nome di Maya Devi, dea che comanda l’energia illusoria e Siva è il signore della tecnologia dell’illusione.

È possibile che i Vimana abbiano sfruttato principi naturali come i poteri paranormali o siddhis. Tra questi principi figurano il laghima-siddhi che consente di rendere il velivolo senza peso e il mano-java che serve per viaggiare nell’etere. Non è escluso però che il sistema di propulsione fosse misto e abbia sfruttato contemporaneamente i metodi della propulsione meccanica, o elettromagnetica e i principi paranormali.

La teoria della cristallizzazione psichica, la fusione delle forze del pensiero con un substrato PSI potrebbe generare forme mentali che sono entità di energia indipendenti. Queste forme mentali sono state studiate dal fisico Samuel Lentine, dell’Istituto Politecnico Rensselaer e sarebbero create mescolando le energie PSI, esattamente come si creano composti chimici miscelando sostanze chimiche diverse. Secondo Lentine queste entità create dall’uomo esistono veramente per brevi periodi e provocano un turbine di energia.

Ma torniamo al principio del laghima-siddhi. L’imperatore indiano Ashoka aveva costituito la società segreta dei “Nove uomini sconosciuti”, un gruppo di grandi scienziati che avrebbero dovuto catalogare molte scienze. Ashoka però mantenne il massimo segreto sul loro operato perché temeva che i principi scientifici più avanzati potessero venire usati per scopi bellici, a cui Ashoka era decisamente contrario perché di religione buddista. Questi scienziati scrissero nove libri, uno dei quali tratta appunto “I segreti della gravità”, specificatamente dedicato al “controllo della forza gravitazionale.” Si dice che il libro esista ancora, nascosto in qualche tempio dell’India o del Tibet.

Ashoka era anche a conoscenza delle terribili distruzioni provocate da armi e veicoli scientificamente avanzatissimi che migliaia di anni prima avevano provocato la distruzione dell’”Impero di Rama”.

Per tornare a tempi più recenti, qualche anno fa nei monasteri di Lhasa, nel Tibet, i cinesi scoprirono alcuni documenti in sanscrito che furono inviati all’università di Chandrigarh per essere tradotti. Ebbene, la dottoressa Ruth Reyna di questa università afferma che nei documenti sono contenute dettagliate istruzioni per costruire astronavi interstellari. E la propulsione era di tipo antigravitazionale, basata su un sistema analogo a quello del laghima, un potere ignoto dell’io umano: una forza centrifuga così forte da vincere l’attrazione gravitazionale. Lo stesso principio che consente a certi santoni indiani di levitare nell’aria.

Nei manoscritti si parlava anche dell’antima, o cappa dell’invisibilità, e del garima, o la possibilità di diventare pesanti quanto una montagna di piombo.

I manoscritti non specificano se poi i viaggi interplanetari hanno avuto effettivamente luogo, ma vale la pena ricordare che un grande romanzo epico indiano come il Ramayana narra di un viaggio sulla luna a bordo di un Vimana e di una battaglia sulla luna contro un’aeronave Asvin, o atlantidea.

I Vimana e gli UFO sono allora la stessa cosa?

Vimana e UFO hanno moltissimi punti in comune. È interessante notare che nel 1929, molto prima quindi che venisse coniato il termine disco volante, un gruppo di studiosi norvegesi aveva assistito a un evento straordinario in una valle tra la Mongolia e il Tibet, così raccontato in Altai-Himalaya dallo scrittore Nicholas Roerich:

“Il cinque di agosto è successo un fatto straordinario! Ci trovavamo nel nostro campo nel distretto di Kuknor, non lontano dalla catena dei monti Humboldt. Quel mattino, verso le nove e trenta, alcuni dei nostri sherpa hanno notato una grande aquila nera che volava sopra noi. Ci siamo messi a osservarla, poi un altro degli sherpa ci ha fatto notare: ‘C’è qualcosa più lontano, al di sopra dell’aquila.’ E si è messo a gridare per lo stupore. Noi tutti abbiamo così visto muoversi in direzione da nord a sud, un enorme oggetto ovale che viaggiava a grande velocità, riflettendo la luce del sole. L’oggetto ha attraversato il nostro campo e poi ha cambiato direzione da sud a sudovest, dopo di che è scomparso nel cielo azzurro. Abbiamo avuto tutto il tempo di prendere i nostri binocoli e abbiamo così potuto distinguerne bene la forma ovale scintillante, illuminata dal sole su un lato.

Di sicuro non si trattava di una sonda volante, come asserito tanto spesso nelle moderne cronache!

Secondo altre fonti sanscrite, però, i Vimana sono oggetti volanti aperti sulla sommità e quindi destinati a volare nella sola atmosfera terrestre.

Tutte queste descrizioni ci inducono a pensare che in passato esistesse una vera e propria tecnologia del volo aereo e, proprio come oggi, ci fossero velivoli di ogni genere, dai leggeri aperti, a quelli chiusi più pesanti, da trasporto e da combattimento, fino alle vere e proprie città spaziali. Del resto, se esisteva una tecnologia del volo è logico ritenere che questa si sia esplicata in una varietà di forme e di impieghi con uno sviluppo continuato nell’arco di chissà quanti secoli.

Il noto studioso italiano di fenomeni UFO Roberto Pinotti, che ha approfondito i testi indiani, ipotizza l’uso della tecnologia laser e per quanto riguarda la propulsione ipotizza fonti elettriche e chimiche nonché l’uso dell’energia solare. Conclude dicendo che tutte le fonti dimostrerebbero che centinaia o migliaia di anni fa in India si sarebbe sviluppata una civiltà superiore, poi scomparsa.

Hatcher Childress, scrive nel suo Ancient Indian Aircraft Technology “Secondo quanto riportato nel Dronaparva, che fa parte del Mahabharata, e nel Ramayana, il Vimana è a forma di sfera e trasportato a grande velocità da un vento generato dal mercurio. Il velivolo era in grado di spostarsi avanti, indietro e in giù e in su a seconda dei comandi del piloti. In un’altra fonte indiana, il Samar, i Vimana sono macchine di ferro dotate di una carica di mercurio che fuoriesce dalla coda sotto forma di fiamma ruggente. È possibile allora che il mercurio sia stato proprio alla base del sistema propulsivo o del sistema di guida. È interessante notare in proposito che alcuni scienziati sovietici hanno scoperto in caverne del Turkestan e del deserto di Gobi dispositivi che hanno definito ‘strumenti dell’antichità utilizzati per la navigazione di veicoli cosmici.’ Si tratta di oggetti emisferici di vetro e porcellana, terminanti a cono con all’interno una goccia di mercurio.”

G.R. Josyr, direttore dell’Accademia Internazionale di Ricerche Sanscrite a Mysore, India, ha dichiarato nel 1952 che esistono molti manoscritti indiani vecchi di millenni che descrivono la costruzione di numerosi tipi di velivoli a scopo civile e bellico.

“Il manoscritto specificatamente dedicato all’aeronautica, descriveva i piani di costruzione di tre tipi di Vimana, i Rukma, Sundara e Shakuna. Cinquecento stanze di un antico testo descrivono particolareggiatamente la scelta e la preparazione dei metalli adatta alla costruzione delle diverse parti dei Vimana.

“C’erano otto capitoli… che fornivano i piani di costruzione di un velivolo che volava nell’aria, sott’acqua e viaggiava sull’acqua. Altre stanze parlavano dell’addestramento dei piloti.”

Per quanto riguarda il materiale con cui i Vimana erano costruiti, si racconta che i primi fossero in legno rivestiti da una speciale vernice per offrire maggiore resistenza (guarda caso, come i nostri primi aerei) e che in seguito fossero costruiti in una speciale lega bimetallica (un metallo rosso, probabilmente rame e uno bianco, magnesio e alluminio) Una lamina di questa lega veniva applicata sulla superficie del Vimana e saldata elettricamente.

Molti resoconti sulla costruzione dei Vimana sono riportati nel Brihat Kath Alokasamgrah. Quando Rumanavat chiese loro di costruire una macchina volante, questi risposero che tali velivoli erano un segreto degli Yavanas, i Greci. Dal che si può dedurre che in realtà volessero mantenere il segreto sulla costruzione.

A un Greco, costruttore di una macchina volante, si accenna anche in un’altra opera del settimo secolo Le imprese di Re Harsha. Qui il Greco era un prigioniero che avrebbe prestato le sue conoscenze per costruire un veicolo meccanico yantray na che viaggiava sulla superficie dell’aria.

L’accenno a un Greco ci rimanda con la memoria al mito di Prometeo, l’uomo che ha volato con le ali verso il sole. Ed ecco così il trait d’union tra i miti d’occidente e d’oriente, tutti unanimemente concordi nel raccontare delle straordinarie macchine volanti che esistevano nel passato.

I 32 segreti per pilotare un Vimana

Pandit Subbaraya Sastry era un erudito, ma anche medium dotato di percezioni occulte, che nel 1918 cominciò a dettare, in stato di trance, a Venkatachala Sarma un intero libro, il Vaimanika-sastra Il volume è piuttosto voluminoso e si suddivide in ben 23 tomi. Su istruzione dello stesso Subbaraya Sastry un disegnatore ha realizzato anche una serie di disegni dei Vimana. Vengono descritti tre tipi di velivoli, comprese le macchine che li azionavano e che non potevano né incendiarsi né guastarsi. Vengono elencate anche 31 parti essenziali di questi veicoli aerei e 16 materiali che li compongono, in grado di assorbire luce e calore. Scudi termici?

I Vimana si alzano in volo verticalmente come i nostri elicotteri e possono rimanere anche immobili in cielo.

Il libro dettato in stato di trance da Subbaraya Sastry in realtà è stato scritto nel quarto secolo a.C. da Maharishi Bharadwaja, il Saggio, e rivela i 32 segreti che occorre conoscere per pilotare un Vimana. Tra questi i principali sono:

Aparoksha: la capacità di proiettare un raggio di luce dal muso dell’aereo per illuminare la sua rotta. Un faro frontale?

Goodha: il segreto che permette al pilota di rendere il Vimana invisibile ai nemici. Lo stesso scopo è raggiunto dall’Adrishya che attira la forza del flusso etereo dei cieli. Il principio dello stealth?

Jalada roopa: consente al pilota di miscelare opportunamente certe sostanze chimiche in modo da avvolgere il Vimana in una nube mimetica. Cortina fumogena?

Kriyaagrahana: il principio che permette di spiare ogni forma di attività che si svolge al suolo. Radar? Fotografia?

Maantrika: l’invocazione di un mantra che permette di acquisire certi poteri spirituali e ipnotici che consentono di costruire velivoli indistruttibili.

Paroksha: questo principio permette al pilota di paralizzare altri Vimana e metterli fuori combattimento. Blocco dell’attività elettrica a bordo di velivoli nemici?

Pralaya: grazie a questo terribile segreto si può proiettare una scarica elettrica distruttiva.

Roopaakarshana: questo principio permette al pilota di vedere all’interno di un velivolo nemico.

Roopaanara: permette al Vimana di assumere varie forme: leone, tigre, rinoceronte, serpente, o addirittura quella di una montagna. Sembra un’arma tipica simile a quelle elettroniche che confondono le apparecchiature dell’avversario.

Saarpa-Gamana: questo segreto consente al pilota di attirare le forze dell’aria, unirle ai raggi solari e fare procedere il Vimana a zig zig come un serpente.

Suroopa: chi riesce ad attirare i tredici tipi di forza Karaka può far sì che il Vimana assomigli a una fanciulla celeste ornata di fiori e gioielli.

Taantrika: l’acquisizione di poteri tantrici da parte del pilota permette di dotare il velivolo degli stessi poteri.

Taara: questo principio consente al pilota di evitare il contatto col nemico. “Mescolando alla forza eterea 10 parti di forza dell’aria 7 parti di forza dell’acqua e 16 parti di riflesso solare e proiettando il tutto mediante uno specchio a stella attraverso il tubo frontale del Vimana, si crea un cielo cosparso di stelle.” Questo principio assomiglia da vicino all’emissione di oggetti metallici mediante il quale si confondono i radar nemici.

Vimukna: semina una polvere venefica che ai nemici procura insensibilità fisica e coma. Un gas nervino?

Viroopa Karana: il pilota che ha imparato questo principio può generare una nube di fumo di 30 secondi, caricarla della luce delle onde termiche del cielo e trasformare il proprio Vimana in un’arma terrificante. Si tratta di un’arma laser?

Il Vaimanika-sastra è stato tradotto in inglese: Vymaanika-Shaastra Aeronautics, di Maharishi Bharadwaaja, edito da G.R. Josyer, Mysore, India, 1979. Josyer è il direttore dell’Accademia Internazionale di Ricerche Sanscrite di Mysore, di cui abbiamo parlato prima.

Anche i Vimana possono essere distrutti da vortici d’aria, o Aavartaas, se ne distinguono di cinque tipi, tra cui il vortice Koranavarta, o vortice di raggi solari, lo Shytyaavarta, o vortice di correnti fredde e il gharshanavartaor, o vortice per collisione.

Abbiamo detto in apertura che di velivoli volanti si parla anche in antiche cronache cinesi e coreane. In Po Wu Chih, dello scrittore Chang Hua, si legge: “Il popolo Chi era abilissimo nella costruzione di dispositivi meccanici per l’uccisione di ogni tipo di uccello. Questo popolo era anche in grado di costruire cocchi aerei che, spinti da un vento favorevole, potevano raggiungere grandi distanze. Al tempo dell’imperatore Thang (metà del secondo millennio a.C.) un vento da occidente trasportò uno di questi velivoli fino a Yuchow, dove Thang lo fece smantellare, non volendo che al la sua gente lo vedesse. Dieci anni dopo arrivò un vento da est sufficientemente forte e il velivolo fu riassemblato e i visitatori rispediti nel loro paese d’origine, che si trovava 40.000 li al di là del Cancello di Giada.”

In Shu I Chi troviamo un altro resoconto: ”Sulla cima meridionale del monte Tian Lau, tanti anni fa, Lu Ban scolpì nel legno una gru che volò per 700 li. In seguito l’uccello fu collocato sulla cima ovest della montagna. L’imperatore Wu (157-87 a.C.) ordinò ai suoi uomini di impadronirsene, ma questa fuggì sulla cima sud. Spesso, quando sembra che stia per piovere la gru comincia a sbattere le ali come se stesse per volare.”

In Pao Pu Tzu di Ko Hung troviamo una descrizione sulla costruzione di un veicolo volante.

“Alcuni utilizzano la parte interna dell’albero di jojoba per costruire una macchina volante, usando cinghie di cuoio che azionano lame rotanti che servono a far volare questa macchina. Altri hanno l’idea di fare incontrare il ‘vento forte’ da parte di cinque serpenti, sei draghi e tre buoi [si tratta di aquiloni aventi la forma di questi animali] in modo da levarsi in volo con questo veicolo fino a un’altezza di 40 li. Questa regione è chiamata Tai Qing (zona dell’aria superiore). In questa regione la corrente d’aria è molto forte e può sollevare le persone. Il Maestro afferma che a un aquilone che sale a spirale sempre più in alto basta spiegare le due ali, senza doverle sbattere, per spostarsi in avanti, perché a spingerlo ci pensa il vento. I draghi, quando si levano in alto, raggiungono i 40 li di quota, poi volano da soli. Questo resoconto proviene da fonti taoiste che l’hanno raccontato alla gente comune, la quale però non ne comprende il significato.”

In questo caso i principi dell’aereo in legno, dell’elica e dell’aliante sono evidenti e per noi, uomini moderni, perfettamente comprensibili, diversamente dalle popolazioni primitive di un tempo.

Anche le cronache coreane abbondano di descrizioni di macchine volanti simili. In un testo coreano del 1923, Kwon Tokkyu scrive:

“Jung Pyung Goo è stato l’inventore dell’aeroplano in Choson [Corea]. Durante la guerra Im Jim (tra Corea e Giappone, 1592-1597), in un momento in cui la fortezza di Jin Joo era in pericolo, questi salvò un suo amico con un aeroplano, volando a chilometri di distanza dove atterrò. Il principio con cui era azionato l’aereo di Jung Pyung Goo è simile a quello della trottola nel gioco Ping Goo. La trottola viene fatta girare vorticosamente con una cinghia fin quando si leva in aria. Esattamente come si spostava l’aereo di Jung Pyung Goo, tanto che il suo nome, deformato in Ping Goo ora indica questo gioco.

Antichi resoconti narrano che a migliaia di li dalla Cina, in quella che oggi è la Russia, c’era gente capace di costruire ruote per una macchina volante, in grado di volare per migliaia di li in un solo giorno. Il popolo di XI Wu era riuscito a costruire una macchina volante e utilizzando mantici e pulegge per farla muovere. La macchina si era levata in aria, e aveva viaggiato senza trovare ostacoli. Era poi stata impiegata anche in tempi di guerra per respingere gli attacchi nemici.

Scienza perduta

Tutti questi resoconti ci convincono sempre più che in passato siano veramente esistite macchine volanti. Nonostante le contraddizioni, le diverse attribuzioni, differenti forme e funzioni, tutto sembra puntare in un’unica direzione. Le macchine volanti sono esistite davvero.

Ma come mai sono scomparse? Questo è il grande mistero. Un’ipotesi è che non siano di origine terrestre, ma portate da un popolo extraterrestre, magari naufragato sulla terra, e che col tempo queste macchine si siano guastate per l’impossibilità di procedere ad un’accurata manutenzione, fino a scomparire.

Oppure potrebbero essere state di origine autoctona, ma costruite da un popolo che qualche immane catastrofe ha spazzato via dalla faccia della terra, come la civiltà di Atlantide. Anche in questo caso le macchine superstiti sarebbero inevitabilmente andate incontro alla distruzione per gli stessi motivi.

Anche sommovimenti geologici, catastrofi naturali, distruzioni dell’uomo; tutto avrebbe contribuito a far scomparire ogni traccia fino a perdere il ricordo preciso, tramandato solo in antichi poemi, abbelliti da descrizioni infiorate e dalla fantasia di estensori che non furono in grado di fornire precisazioni di tipo scientifico poiché mancavano loro gli strumenti culturali adatti.

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ha svolto la sua attività nel campo dell’editoria per più di cinquant’anni. Ha diretto numerose testate dedicate al giallo, alla fantascienza, all’horror, al western e al fumetto. Ha scritto praticamente per ogni genere di letteratura popolare, dal giallo alla fantascienza, dal western alla narrativa per ragazzi e ha pubblicato più di trecento racconti su una miriade di periodici.