Abbiamo conosciuto Matteo Ciccone, l’autore del presente racconto, quando mandò alla rivista collega Altrimondi un suo drabble, un genere di racconto autoconclusivo con la particolarità di essere costituito da sole cento parole, dal titolo “La mano del mio amico m’infuse coraggio“. Sue notizie bio-bibliografiche si trovano all’inizio del microracconto, cliccando sul link.

Ritroviamo ora Matteo in un racconto medio lungo con una storia dove realistico e fantastico s’intersecano. Due sfaccendati al bar stanno spettegolando. La loro attenzione si appunta su una vecchia conoscenza di cui da tempo si sa poco o nulla…

tea c. blanc

 

La lupa

 

«Che dici, Antò? Quello ancora un po’ e si piscia addosso!»
«Eh, prima o poi ci arriviamo tutti, lì» rispose Antonio, tra due sorsi di birra fresca.
«Io piuttosto mi sparo, altroché» ribatté Giulio, facendo ripetuti no con la testa. «Proprio così, me ne vado per questi boschi col fucile e mi tiro un colpo in testa. Di mettere il pannolone, ts! Che cosa degradante!»
«A parole siamo tutti bravi a farla finita.»

I due sfaccendati, Antonio e Giulio, una quarantina d’anni ciascuno, forse qualcosa di più, stavano seduti una bella serata d’estate a un tavolino esterno del baretto, ed erano alla quarta birra a testa.
La via del corso, là vicino, era affollata di gente che andava e veniva, non si capiva da dove per andare dove. Giovani che gridavano, ragazze che chiedevano sottaciuti riscatti coi sorrisi, vecchi che facevano reumatici gruppi parlottando fra loro, ragazzini che scorrazzavano energetici, bambini che smaniavano… Era una bella sera, come tante nel piccolo paesello. I bar tiravano, la gelateria di Berta era un continuo viavai, i lampioni irradiavano luci benevole. Persino le zanzare sembravano partecipare di quella pacifica serenità, pungendo con garbo e misura.
«Oh, ma a proposito di boschi, che mi dici di Mauro?» chiese Antonio, più che altro per cambiare discorso.
«Mauro chi?»
«Ma sì, quello. A proposito di boschi, sai…»
«Dici il guardaboschi? Quello di Gallate?»
«E chi, sennò?»
«Sì, ma che ne devo sapere?»
«Tu sai sempre tutto. Te ne fai un vanto, dai» disse Antonio, facendo una faccia tra l’ironia e l’incoraggiamento.
«Beh, sono passati… quanti anni? Mi sembra tre… Non s’è saputo più niente, a parte che non abita più lì, al paese.»
«Ecco, è vero che s’è infrattato nel bosco? Non so quando l’ho sentito dire…»
«Così si dice, già. Ha una catapecchia da qualche parte, lassù. Era dei nonni, mi pare, abbandonata da tempo. Lui l’ha sistemata e pare che ci viva, adesso.»
«Che tipo!» disse Antonio, ricordando quella storia.
«Eh, quando ti gira il cervello, non ci puoi fare niente.»
«Lui era già un po’ matto, no?»
«Sì, ma era tranquillo. Faceva il suo lavoro e tutto. Mai una lite, mai una noia…»
«Ma è poi vero che se ne andava la notte, per i boschi? Tu ci credi?»
«Non c’è bisogno di crederci: era così. A Gallate lo sapevano tutti. Straordinari, si diceva. È che ci teneva, stare su quelle cime era la sua passione.»
«Era proprio così solo?»
«Lo voleva lui» disse Giulio, facendo un “sì” con la testa prima di tracannare un altro gran sorso dalla bottiglia.
«Niente famiglia?» chiese Antonio, e accompagnò la sorsata dell’amico.
«Nessuno. Dopo la morte della moglie è come se avesse troncato i contatti con tutti. Era l’unica della famiglia, a dire il vero.»
«Beh, ma è sempre stato così solitario, no?»
«Intendi fin da piccolo? E chi lo sa! A Gallate si sono trasferiti dopo il matrimonio.»

Giulio sapeva proprio tutto; un vero impiccione. D’altro canto, da buon sfaccendato stava sempre in questo o quell’altro baretto della zona, a origliare le chiacchiere di altri sfaccendati, e a parteciparvi intrufolandosi senza presentarsi, perché tra nullafacenti pettegoli ci si conosce un po’ tutti quasi per istinto.
Non che Antonio fosse da meno; i due stavano praticamente sempre insieme, essendo amicissimi dagli anni di gioventù; però lui era meno potente di memoria per quelle notizie locali, ed era meno sfacciato nel ficcanasare.
Antonio quindi incalzò l’altro a raccontare, punzecchiandolo sui particolari, perché era meglio parlare di quello che non dei pannoloni per vecchi, o di far declinare quella meravigliosa serata in altri temi patetici, come le liti coi rispettivi vecchi genitori presso i quali abitavano entrambi, essendo ancora fanciulloni irresponsabili e sordi a ogni dettame della vita adulta. Per cui Antonio chiese ancora: «Ma però era nativo di lì o no?».
«Lui no. La madre era gallatese. Poi da giovane s’era trasferita a Milano, e lì aveva fatto famiglia. I nonni di Mauro sono morti quando lui era ancora bambino, e mi sa che sono stati loro a lasciare quella catapecchia dove vive adesso. Ma a Gallate non c’è mai venuto, se non dopo che s’è sposato. Non si sa il motivo per cui è ritornato lì. Forse quando sono morti i genitori in quell’incidente ha voluto troncare i contatti con la città… o forse per trovare le radici della famiglia… Boh.»
«Non è perché la moglie era malata terminale?»
«Forse è così… per farla vivere in un posto tranquillo…»
«Magari quella storia del lupo si collega al suo carattere.»
«Era una lupa. Vai a capire, comunque. Certo che era proprio matto… Come si era legato a quella lupa… E quando il giudice decise che avrebbe dovuto mollarla, ha dato di matto.»

Antonio ricordava vagamente come quel Mauro si fosse barricato in casa, armato, per evitare che i carabinieri entrassero. La storia aveva fatto il giro del circondario, diventando per qualche tempo il soggetto ideale per le discussioni.
«Quella lupa l’aveva trovata ancora cucciola nel bosco» continuò Giulio. «Disse che piangeva ancora presso la madre, morta schiacciata da un albero sradicato per una frana.»
«Beh, deve aver visto nella cucciola se stesso, ormai solo.»
«Ma lasciali agli psicologi queste cose» ribatté Giulio con una scrollata di spalle. «Lui la prese e se la portò per crescerla. Ma un lupo è un lupo, e resta lupo. Quando, cresciuta, ha cominciato a dare fastidio, sono partite le denunce…»
«Quando poi l’hanno ingabbiato s’è fatto dei mesi, giusto?»
«Sì, ma non ricordo quanti.»
Continuarono a parlare di quel Mauro, approfondendo, o meglio variando la forma per dire le stesse informazioni, riciclate di continuo perché era diventato “l’argomento della serata”. Nel mentre, una bottiglia tirava l’altra, e dalle quattro da cui era cominciata questa storia, finì che verso mezzanotte i due si trovarono belli allegri.

Non si conosce bene chi fu a fare la proposta. Probabile sia stato Antonio, perché aveva sentito un inatteso interesse per quel caso umano. Con l’alcol in corpo doveva essere sbocciata una qualche simpatia per Mauro, o un sentimento di soccorso. È facile improvvisarsi santi quando la verità del vino ti riempie e mette in enfasi la natura intima della persona; e Antonio era tutto sommato un bonaccione, filantropo già in potenziale. Quindi deve essere stato lui a chiedere a Giulio se non se la sentisse ad andare là, da Mauro. Ora, nemmeno si sa se Giulio abbia fatto rimostranze; ma questi particolari non sono importanti.
È invece importante sapere che mezz’ora dopo erano sul vecchio e sgangherato Jimny di Giulio, che guidava sbandando un po’, ogni tanto, e salivano per stradine sterrate e sentieri. Entrambi conoscevano quelle montagne, quei boschi, perché quando era stagione di caccia non mancavano mai un fine settimana di andarci con l’intenzione di sforacchiare povere bestie indifese. E ci rimanevano pure la notte, a fare scampagnate all’addiaccio, accendendo un fuoco sicuro e riempiendosi la pancia con l’alcol per riscaldarsi di più.

Salirono, dunque. E Giulio, malgrado i “pare”, i “sembra” e i “forse” che aveva calato nella chiacchierata a pura forma cautelare nel caso avesse sbagliato qualche fondamentale dettaglio, o forse per modestia, in verità sapeva approssimativamente dove fosse il casolare di Mauro. Per cui, pur sbandando e con la vista annebbiata, condusse la spedizione senza fallo.
Dall’abbandono dei vecchi parenti dell’eremita, la stradina sterrata per la casa era rimasta incustodita e ben presto invasa da piante e alberelli sbucatici in mezzo. Mauro, quando, persa la moglie e poi la lupa, che era stata rilasciata nei boschi dopo la sentenza, aveva deciso di andare via, aveva preferito lasciare quella stradina incolta, così come la Natura stava riprendendosela.
Fu per tale motivo che, arrivati al suo imbocco, Giulio fermò la macchina e scesero. Dovevano farsela a piedi, perché in altri modi era impossibile. Mauro si serviva di una motoretta per andare in paese a prendere roba che non poteva produrre altrimenti.

I due, ancora alticci, anzi, diciamolo pure, ubriachi persi, avanzarono barcollando su quella via, scansando le basse fronde di giovani alberelli e sollevando le gambe quando sconfinavano dal sentiero ed entravano in cespugli intricati.
La notte era ormai nel vivo, ma c’era ancora, prossima a calare entro qualche ora, una Luna così gonfia e benevola che neanche le ombre del sottobosco sembravano al sicuro.
Antonio e Giulio biascicavano qualche discorso, più per abitudine che per dire cose necessarie. Mentre si avvicinavano alla casa, però, cominciarono a sentire altre voci. Allora si tacquero.
Una voce era quella di Mauro, senza dubbio. Anche se Antonio e Giulio non lo avevano mai sentito parlare, furono sicuri di non sbagliarsi. Era un vocione profondo e forte, di uomo grosso e maturo, e conoscevano l’età e la stazza di quel Mauro. Il tono era di piena allegria, di calore.
L’altra voce la udirono appena, da lunga distanza, poi quando si avvicinarono di più capirono che era emessa da una donna.
Stupefatti, per un attimo si fermarono per sentire. Invero ognuno a modo suo si chiedeva confusamente, perché ammattito dall’alcol, se non stesse sognando.

Oltre gli alberelli cresciuti sulla strada, a un paio di decine di metri davanti a loro, era discernibile una qualche luce. Era la luce esterna della casa, quella che illuminava l’aia. Tra gli sparuti buchi che lasciavano gli intrichi delle piante, scorsero anche dei movimenti sull’aia stessa.
Giulio fece cenno di muoversi cauti. E, seppure in quelle condizioni psicofisiche, adottarono una strategia di segretezza: anziché proseguire sulla strada, penetrarono nel folto del bosco a un lato, e fecero una larga curva. Si avvicinarono quindi nascondendosi presso gli alberi e i cespugli più grandi del bosco e, da dietro un riparo sicuro, poterono sbirciare la scena.
Sullo spiazzo antistante la casa, Mauro giocava rincorrendo una ragazza, una giovane donna, snella, graziosa nell’aspetto, con lunghi capelli di un nero così intenso che sembrava argento scuro quando riflettevano la luce della lampada o quella della luna, che calava ormai oltre le cime degli alberi sul limitare dell’aia. Non indossava nulla, era nuda da cima a fondo.
La ragazza correva davanti a Mauro, sorridendo, e ogni tanto aspettava che lui fosse lì lì per raggiungerla; allora scattava di nuovo, canzonandolo, da monella.
A vedere Mauro, non sembrava fosse un uomo sopra i cinquanta e ormai spento di passione, di compagnia, di famiglia. Come giocava, come rimproverava scherzosamente la donna, ridendo, come cercava di appagarla nel divertimento che provava, si sarebbe detto un ragazzino innamorato per la prima volta.
E la giovane sembrava corrispondere.
Poi Mauro riuscì a catturarla, o meglio fu lei che lo permise, e si buttarono a terra, sull’erba tenera, facendo la lotta, avvinghiandosi strenuamente in un abbraccio di palese affetto. Allora si calmarono, e si baciarono. Dopodiché entrarono in casa, dove si udirono discorsi, pentolame, ancora scherzi, giochi. Nell’aria si diffuse una mezz’oretta dopo un profumo di cibo, carne rosolata.

Giulio e Antonio erano rimasti muti e attoniti, bloccati di meraviglia e d’alcol. Forse stavano sognando? Continuarono a rimanere zitti e infrattati. Dalle finestre vedevano ogni tanto un ombra passare. Udivano vagamente i due parlare, udivano rumori, sedie spostate; giungeva ai loro orecchi la sinfonia della vita di sempre, di una vita tranquilla e positiva. Non si chiesero chi fosse la donna, tanto erano bloccati nel ragionamento, e persino come mai stessero cenando a quella insolita ora della notte. Solo lo stupore li manteneva ancora lì, dietro il cespuglio.
Un’ora dopo Giulio crollò a dormite, per fortuna senza russare. Ma Antonio si sforzò di rimanere sveglio, in attesa non sapeva neanche lui di cosa.
Dopo la cena notturna, nella casa ci fu quasi un assoluto silenzio, fatta eccezione per alcuni ansimi e schiocchi di baci, da cui Giulio capì che la coppia stava facendo l’amore. Infine, tempo dopo, li vide uscire di nuovo e sedersi sull’aia, accostati, con Mauro che ab-bracciava teneramente la giovane. A loro volta parevano in attesa di qualche evento che sapevano prossimo.
Calò a un tratto un buio assoluto, nel bosco. La luna piena e benevola doveva essere tramontata.
La ragazza cominciò a lamentarsi, a soffrire. Mauro, ora tenendola per le mani, sembrava volerle fare forza. Ogni tanto le diceva: «Coraggio, coraggio». Lei si piegò dal dolore, si contorse sull’erba.

Sto sognando, senza dubbio sto sognando, pensò Antonio. Perché non poteva essere possibile che la ragazza perdesse tutti i capelli in un attimo, o che diventasse lucida di sudore, bianca, per poi scurirsi di nuovo per una peluria diffusa che sbucava dalla cute a vista d’occhio, mentre gli arti rimpiccolivano, e il busto si allungava e restringeva lateralmente. E il muso che veniva in fuori, e le orecchie che s’impennavano a punta…
Durò poco, forse due minuti in tutto. Due minuti però di atroce sofferenza per la creatura, e per Mauro, che evidentemente soffriva anche lui per empatia.
E poi tutto finì. La donna non c’era più, ma c’era una lupa stupenda, ancora provata e uggiolante. Mauro l’abbracciò, la baciò tra le orecchie. Le diede una carezza sulla testa, le arruffò il pelo sotto la mascella. La lupa quindi si sollevò sulle zampe ancora tremanti e fece le feste all’uomo, scodinzolando.
Antonio aveva smaltito la sbronza, ormai.
Tremò quando il fine naso della bestia annusò l’aria e cominciò a ringhiare nella sua direzione.

Giulio emise uno sbadiglio epico. Il giorno filtrava da sopra, gli uccellini cinguettavano, e lui aveva la schiena ammaccata, anche se si sentiva riposato. Solo il mal di testa era un fastidio, ma ce l’aveva sempre quando si svegliava dopo una sbronza.
Si sollevò da terra, si stirò.
Antonio era seduto là vicino, con la schiena a un albero. Sembrava assorto in pensieri profondissimi.
«Uhè» disse Giulio. «Buongiorno. Ma che ci facciamo qui?»
«Scemo, che non ricordi? Siamo venuti dal Mauro per tenergli compagnia…»
Pure se nell’incertezza, a Giulio ritornò il ricordo. «Oh, vero… Ma, aspetta… c’era una ragazza…»
«Che ragazza?»
«Come sarebbe? Non l’hai vista?»
«Ma quanto hai bevuto? Che ragazza?»
«Era là con Mauro. Dai, non coglionarmi, ché l’hai vista pure tu!»
«Non ho visto ragazze, io. Mauro era con la lupa. A quanto pare l’ha ritrovata. O forse è stata lei a ritrovarlo, quando lui s’è trasferito qui. Non era stata liberata in questi boschi?»
«Sì. Ma… andiamo, c’era una ragazza!»
«Ufff» fece Antonio, mettendosi a sua volta in piedi. «Ti sei addormentato come un sasso… Sicuro di non aver sognato?»
Ora Giulio non era più tanto certo di cosa avesse visto. In effetti ricordava a stento come erano arrivati lì, e il motivo del viaggio. «Beh» convenne «magari hai ragione… Ma poi?»
«Poi che?»
«Che hai fatto?»
«Niente. Mauro sembra così felice, con la sua lupa. Non l’ho infastidito. Mi sono addormentato pure io. Tu dormivi da fare schifo: di svegliarti per andarcene non sarebbe stato possibile!»
«Eh, va be’… Dalla faccia, comunque, non mi sembri uno che se l’è dormita, la notte… Chiediamo a Mauro un caffè?»
«No, lasciamolo in pace. Ne ha passate tante, poveraccio…»
«Allora si va via, va’.»

A un tratto, mentre ripercorrevano la stradina invasa da erbe, cespugli e virgulti d’alberi, Antonio si fermò per darsi un’occhiata alle spalle, anche se non poteva intravvedere già più la casa oltre la vegetazione.
Che storia, accidenti. Meno male che la sua vita non era un film horror, perché altrimenti non sarebbe stato lì, per ritornare a casa. Mauro lo avrebbe fatto sbranare dalla lupa, per tenere il segreto al sicuro. A lui e a Giulio insieme.
E invece l’uomo gli aveva detto tutto, certo dopo che Antonio aveva fatto capire di aver visto il prodigio, della ragazza che ritornava lupa. Ma no, Mauro aveva confessato, ed era stata una confessione accorata, emozionata e umana.
E Antonio aveva promesso che sì, avrebbe mantenuto quel segreto. Certo, chi mai avrebbe creduto a quella faccenda? Con loro due ubriachi? Meglio, quindi, stare zitti, e lasciare che quel povero uomo si godesse un po’ di vita tranquilla. E a Giulio avrebbe dato a bere che non aveva visto nessuna ragazza, e che aveva sognato, o avuto una visione.
Che faccenda, accidenti. E meno male che non era un film horror! Perché solo fuori da un film horror poteva accadere un fenomeno paranormale al contrario, ossia di una lupa che era donna mannara… Si poteva dire? Chissà! Una bestia che fa la bestia, salvo diventare umana a ogni plenilunio; e non donna assetata di sangue, schiumosa di rabbia, come è il lupo mannaro nei film, ma proprio donna, normale donna, che vuole amare, che vuole giocare, che vuole un compagno, le carezze, una voce rassicurante al fianco, tranquillità…
E ciò era capitato a Mauro: di trovare per caso una di queste creature fatate, una di quelle notti in cui si vedeva perso, solo, dopo aver perso anche la moglie, e preferiva andarsene per i boschi a piangersi addosso, magari sperando in un destino che ponesse fine alla sua vita piena di perdite. E il destino era arrivato, però anziché terminarlo, gli aveva dato qualcosa di bello. Così Mauro aveva preso a crescere e voler bene alla creaturina, pur avendo compresa la sua straordinarietà, forse anche pericolosa. Si era battuto per difenderla, e gliela avevano portata via. E oggi sono ancora insieme.

Da dove venivano, la lupa e la sua specie? Mauro non aveva saputo dire altro, a parte affermare che la Natura è sempre piena di sorprese. Né la ragazza stessa sapeva dirlo, visto che, seppure avesse imparato a parlare per gli insegnamenti di Mauro, non aveva ricordi lupeschi quando diventava umana. Mauro tuttavia non s’interrogava troppo su quel mistero, né sulla sua impossibilità. Dopotutto, non ci sono così tante storie di voci umane che si odono nottetempo in boschi sperduti e foreste vergini? Non sono voci che piangono, o si lamentano, o tremano? È così, in fondo, che deve sentirsi un uomo o una donna, appena nati da una natura di lupo, trovandosi spersi in un ambiente mostruoso e pieno di tenebra argentea per intervento della Luna, privi di parole perché non le conoscono, ma sono comunque dotati di sentimenti umani, per cui tremano e invocano un soccorso, e si feriscono i piedi sui sassi e sui rami secchi…
«Mbe’?» lo richiamò Giulio. Antonio tornò al presente, si scosse e riprese il cammino.

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Classe 76, vive fino ai diciotto anni in aperta campagna, dove sviluppa un carattere solitario e antisociale. Frequenta le scuole dell’obbligo, dopodiché decide di non proseguire gli studi. L’isolamento in campagna diventa totale, ma nasce la passione per lettura e libri. Contemporaneamente nasce la passione per la penna, con esiti disastrosi. L'apprendistato per diventare scrittore decente dura vent'anni. Bislaccamente, quando capisce come scrivere bene, la produzione scema fino a fermarsi quasi del tutto.