La storia non è nata con l’invenzione della scrittura;   l’invenzione della scrittura fu una delle conseguenze di un seme gettato molto prima.

È opinione di certa archeologia che le prime società umane fossero matriarcali. La terra era vasta, sconfinata, c’erano spazio e risorse per tutti, l’umanità era ancora in armonia con la Natura, e la Natura è femmina. Si dice che le tribù vivessero in pace tra loro. Come facevano (più o meno) i nativi americani.

Poi è accaduto qualcosa: il patriarcato ha preso il controllo. Forse è vero che con la nascita dell’agricoltura è cresciuta l’importanza che avevano gli uomini nell’amministrazione delle risorse. La parola dell’uomo ormai aveva più importanza di quella della donna. Da lì la scrittura. E le guerre, le lotte per il dominio, per il potere, per la crescita, per la fame di possesso, la morte, la morte, la morte. Insomma: la Storia.

Non lo so e non importa, e forse sto dicendo solo fregnacce.

Importa sapere che a livello di istinti e pulsioni femmine e maschi ragionano molto diversamente. Checché ne possa dire chi oggi cerca di imporre certe assurde neoverità sotto il mantra del “siamo tutti uguali”. Ma no, non siamo uguali manco per niente. Ed è bene così. Come è bene che esistano le razze umane. Ops, meglio chiamarle etnie, sennò si comincia a gridare al razzismo e al ritorno di Hitler…

Importa, poi, sapere che questo film, Tides nella versione italiana (ma conosciuto anche come The Colony), è impregnato di filosofia femminile e filosofia maschile. E il messaggio di fondo tutto sommato sembra suggerire che forse la prima è quella migliore.

Siamo in un futuro imprecisato, e una capsula atterra, o meglio ammara disastrosamente sulla Terra. Ne escono fuori un morto, un ferito, e una giovane donna, che è la protagonista della storia.

I tre, che ora sono solo due, fanno parte della seconda spedizione esplorativa mandata da un mondo lontano su cui l’umanità del postapocaliptico aveva trovato rifugio. Dalla Terra infatti l’umanità se ne era dovuta scappare, perché ormai l’aveva ridotta a un rudere inquinato, sterile, mortale.

La fame insaziabile umana, la sfrenata esigenza (completamente stupida) di risorse, di crescita, avevano prosciugato il mondo, riducendolo a una palla inquinata e invivibile. Ma mi sto ripetendo.

La storia parte così, con questa capsula che ritorna sulla Terra, dopo che una precedente missione aveva fallito, per capire se il mondo si sia sanato. E, qualora lo studio portasse a una risposta positiva, per ripopolarlo di nuovo, facendo ritornare l’umanità esule.

Il problema è che nel mondo lontano l’umanità non sta bene. Il pianeta è arido, non ha un’atmosfera respirabile, e questa innaturalità non confacente all’umanità ha influenzato la biologia stessa delle persone, rendendole sterili. La “Madre Terra” non viene definita così per sbaglio da un illuminato personaggio: essendo l’umanità ancora giovane e bestiale, deve seguire la madre, la madre che ci nutre e ci protegge (anche nel male). Lontano da essa il cucciolo deperisce e muore.

Il film prosegue e, senza temere di spoilerare, perché accade già nelle prime battute, scopriamo che la Terra, anche se diversa (sembra ormai del tutto sommersa dal mare, anche se due volte al giorno ci sono delle maree mostruose che ritirano le acque fino a far affiorare il fondale), sta mostrando i primi segni di una rinascita. E c’è di più: sta nutrendo una nuova umanità, cioè gli eredi dei superstiti, i “lasciati indietro” dal grande esodo tra le stelle.

TidesNon so se è dipeso da intelligenza creativa (cioè usando una tecnica atta a veicolare un messaggio) o da limiti di produzione, ma la sensazione spaziale complessiva della storia sembra perennemente avere un limite, che siano le nebbie della nuova Terra (il senso di umidità e freddo pervade ogni fotogramma) o gli ambienti chiusi e claustrofobici di imbarcazioni o celle. Poche volte, quando è necessario a far smarrire chi guarda, la telecamera si solleva su scenari ampi, desolati e monotoni, ma subito dopo si ritorna in un limbo dove lo sguardo viene frenato da qualcosa. “Limbo”, ma forse l’autore (Tim Fehlbaum, che scrive la sceneggiatura e la dirige) voleva indicare un grembo, il grembo della nuova Natura che sta sanando il mondo e concependo la nuova umanità…

La trama del film è lineare e offre qualche colpo di scena ben congegnato, anche se forse non originalissimo. Ma quello che importa è lo scontro di filosofie di genere che si attua nella storia.

In nome dell’umanità della vecchia generazione, quella che aveva distrutto il pianeta per troppo appetito, la protagonista è pronta a ripetere la storia.

Ben diversa invece è la nuova società che trova sulla Terra, che non a caso ha stretto un legame equilibrato coi nuovi cicli della Natura ed è guidata, ancora non a caso, da una donna, e quindi da un matriarcato.

Lo scontro di queste filosofie attraversa la vicenda e si manifesterà in una risoluzione finale che è dolce-amara. Ma chi guarda il film dovrebbe capire per quale delle due l’autore fa il tifo.

Tides è un ottimo film di fantascienza, perché si fa forte di profondi e primordiali significati anziché di effetti speciali, che pure ci sono e sono sempre molto validi. In internet ci sono poche recensioni, e su siti “istituzionali” come Rotten Tomatoes l’apprezzamento del pubblico ha una media non molto incoraggiante. Così come sono poco incoraggianti certi commenti o recensioni-flash superficiali che lo bollano come “anticolonialismo” (ma il colonialismo è un’altra scoria delle società patriarcali umane, ahimè).

Però è un ottimo film, ha una regia puntigliosa e attenta, ha ottimi effetti speciali, e un cast validissimo. Probabilmente il pubblico non ha saputo apprezzare un prodotto tanto atipico in un media-cinema moderno che di norma è gonfiato fino all’inverosimile da effetti speciali in digitale e da ritmi ipertrofici. Il cinema d’autore purtroppo può incappare in questo pericolo. E Tides è cinema d’autore.

Se devo trovargli per forza dei difetti, si tratta di piccolissime cose che non inficiano il positivo giudizio. Per esempio, quelle didascalie iniziali che fanno da introduzione, ma che sono inutili in quanto le stesse informazioni arrivano anche dopo, nelle analessi riguardanti la protagonista (e quindi arrivano in forma migliore, perché si tratta di show e non di tell)…

+ posts

Classe 76, vive fino ai diciotto anni in aperta campagna, dove sviluppa un carattere solitario e antisociale. Frequenta le scuole dell’obbligo, dopodiché decide di non proseguire gli studi. L’isolamento in campagna diventa totale, ma nasce la passione per lettura e libri. Contemporaneamente nasce la passione per la penna, con esiti disastrosi. L'apprendistato per diventare scrittore decente dura vent'anni. Bislaccamente, quando capisce come scrivere bene, la produzione scema fino a fermarsi quasi del tutto.