Il regalo di nozze

[singlepic id=331 w=250 h=333 float=left]“Cari amici,

vi ricordate di Alessandro, il violinista? Ripensavo proprio oggi al suo matrimonio. Eravamo tutti in trasferta a Varese, nella città della sposa, e partecipavamo alla gioia del nostro musicista per aver trovato l’amore.

Conoscevamo molto poco la sposa, che non ci aveva ben impressionati con quella faccia da barbagianni perennemente imbronciato, con il naso adunco che partiva direttamente dall’attaccatura dei capelli e l’espressione arcigna che segnava la fronte e i lati della bocca. Ma eravamo certi che, se il radioso orsacchiotto Alessandro l’aveva scelta, sicuramente era una ragazza d’oro.
Da Varese c’era giunto l’ordine tassativo di non architettare nessuno scherzo agli sposi. Effettivamente – avevamo pensato – le automobili avvolte nella carta igienica o lo sposo in mutande imbrattato di schiuma erano barbare dimostrazioni di cattivo gusto. Ma almeno una sorpresa carina bisognava organizzarla!

Così, verso la fine del lauto e morigerato banchetto nuziale, riuscimmo a rapire lo sposo, portarlo in una stanza appartata, stenderlo su una specie di tappeto formato da fogli di carta da regalo fiorita, impacchettarlo alla perfezione con tanto di fiocco e issarcelo sulle spalle. Entrammo con aria festosa e solenne sotto il peso del violinista ben nutrito e deponemmo il pacco-dono davanti al barbagianni, sul tavolo precedentemente sgomberato da un nostro complice.

Beppe urlava felice: «Ecco il più bel regalo per la sposa!». Checco saltellava cantando «Tanti auguri a teeeeee…». E Paolone agitava in aria un pezzo di carta, proclamando a gran voce: «Se non ti va bene lo puoi cambiare, ho tenuto lo scontrino!».

Come ci era riuscita bene la scenetta! Eravamo proprio soddisfatti. Ma lo sguardo basedoviano del barbagianni ci gelò la risata nella strozza. La sposa cominciò a scartare il suo regalo strappando con rabbia e violenza brandelli di carta fiorita che sembravano schizzare da tutte la parti, come se volesse spararceli addosso.

Appena saltò fuori il musetto da koala preoccupato di Alessandro, lei gli ruggì ferocemente: «Guai a te se lo rifai! Mai più!».

In quel preciso momento comprendemmo tristemente che, ad uno ad uno, la sposa di Alessandro ci avrebbe scartati, eliminati, defenestrati con la stessa furia con la quale aveva sbranato la nostra confezione regalo.

Sono anni che nessuno di noi vede la coppia. Avete notizie di Alessandro?

Un abbraccio.

Annuccia”

“Cara Annuccia,

anch’io finii col perdere i contatti con Alessandro, ma so che, qualche anno dopo quella disastrosa festa a Varese, ottenne il divorzio e si buttò più che mai nella carriera musicale. Non ti ricordi i titoloni su di lui? Mi pare siano passati già 10 anni. Aveva ereditato una fortuna dallo zio direttore d’orchestra ed era finalmente riuscito a comprare il violino dei suoi sogni, uno Stradivari. Poi deve essere accaduto qualcosa di improvviso e terribile, si parlò di un’esplosione alla Fenice di Venezia, non si capì mai esattamente, e poi Alessandro sparì nel nulla.

Forse Claudia ne sa qualcosa. Chiederemo a lei, che ci sta leggendo in copia. Almeno spero, perché il suo indirizzo di posta elettronica è roba dell’altro mondo.

Un abbraccio.

Checco”

 

“Carissimi Annuccia e Checco,

eccomi qui. Il mio indirizzo email è insolito, ma funziona.

Vi racconto io com’è andata veramente.

Le cose sono state messe a tacere, la stampa è stata ridotta al silenzio, ma io ero lì.

Il nostro Sandro, sul palcoscenico della Fenice di Venezia, suonava per la prima volta in pubblico il suo violino Stradivari. Il prezioso strumento si chiamava “Il Planetario”, perché era stato realizzato appositamente per un musicista appartenente ad una celebre famiglia di astronomi. Il nostro amico interpretava Sibelius, e il suono si propagava colmando lo spazio del teatro e viaggiando oltre, al di là della percezione degli esseri umani e della loro capacità di misurazione. L’energia impercettibile all’orecchio delle creature viventi oltrepassò l’atmosfera terrestre e proseguì oltre, incontrando una particolare e rarissima anomalia quantica che la guidò a bucare la curvatura, fino alla galassia vicina. Qui raggiunse la capsula spaziale di Slurry, astronauta del pianeta Mètilam. La navetta era studiata appositamente per captare onde armoniche prodotte da strumenti di scienziati di altri pianeti, astronomi esperti, capaci di produrre le giuste frequenze. Il suono del Planetario agganciò i sensori della capsula, ne innescò il suo teletrasporto e la fece rimaterializzare in pochi secondi proprio dentro allo Stradivari, disintegrandolo.

Ci fu un’esplosione sul palcoscenico della Fenice. Con un gran botto comparve in un baluginare di luci fosforescenti verdi e fucsia una specie di ovulo tre metri per cinque, di un materiale che sembrava metallico e nello stesso tempo gelatinoso. La gente urlò. Seduto in prima fila, l’assicuratore dello Stradivari accusò un malore.

Il maestro Alessandro, con qualche scheggia del Planetario sulla spalla sinistra, una corda arrotolata al polso, qualche crine di cavallo nella mano destra, assistette a bocca aperta all’apertura del portellone dell’ovulo. Ne uscì un esserino dall’aspetto dolcissimo. Se non avesse avuto tre occhi anziché due e non fosse stato ricoperto di una peluria rosa shocking, sarebbe stato un perfetto procione.

Slurry veniva in pace e proponeva un gemellaggio fra la Terra e Mètilam. Il pubblico applaudì entusiasta. Ma il violinista era scosso da singulti disperati per la distruzione del suo Stradivari.

L’extraterrestre era molto turbato: evidentemente quell’essere umano soffriva per colpa sua, ed era la prima volta che il procionide arrecava dolore a qualcuno.

Informato quasi in tempo reale della comparsa di Slurry, il capo del governo italiano, tremando d’indignazione, urlò: «Questo essere è un clandestino! Non creda di venire qui da noi a rubare il lavoro ai terrestri!».

In video-conferenza, il suo collega tedesco gli rispose: «Bisogna immediatamente valutare la tenuta della moneta aliena sui nostri mercati!».

Il presidente americano sembrava irremovibile: «Terremo in ostaggio il visitatore extraterrestre finché gli alieni non ci avranno fornito un inventario preciso e dettagliato dei loro armamenti nucleari!».

Il primo cittadino francese rimase in silenzio. Un’ora dopo, fece rapire Slurry dai suoi servizi segreti e gli offrì rifugio politico a Parigi. Da lì gli permise di fuggire in America Latina, dove se ne persero per sempre le tracce.

Una complessa attività di spionaggio e contro-spionaggio riuscì a bloccare la diffusione della notizia.

Una notte di due mesi dopo, Alessandro sentì un frastuono impressionante nel giardino di casa. Uscì in pigiama brandendo un archetto come se fosse una spada, e si trovò davanti una piccola capsula spaziale fosforescente, simile in miniatura a quella di Slurry. Il portellino si spalancò e dentro c’era il miglior violino alieno mai creato prima, di pregiatissimo legno rosa di melòdius, un albero che cresce solo su Mètilam, con corde di gauch e un arco con crini di veul. Nessuno Stradivari ne poteva eguagliare il suono celestiale.

Sicuramente il capo del governo italiano avrebbe commentato: «Non credano ora questi alieni di rubare il mestiere ai nostri liutai!». Ma non ne ebbe la possibilità. Nessuno venne mai a conoscere questa storia.

Una settimana dopo, Alessandro era in tournee sulla base spaziale orbitante attorno a Mètilam, e io ero con lui. Non ci siamo più lasciati.

Mio marito, Alessandro, è famoso in mezzo universo, e gli alieni apprezzano sempre la sua stravaganza: all’inizio di ogni concerto, due nerboruti indigeni del pianeta Burg entrano in scena trasportando un grande pacco regalo, lo adagiano sul palcoscenico, davanti a me, tutta vestita di bianco, io sciolgo il fiocco, dall’incarto balza fuori Alessandro, ci baciamo e poi la musica comincia ad espandersi nell’atmosfera.

Baci,

Vostra Claudia, dalla Galassia di Mètilam”

Anna Laura Folena (2015)

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Chi sono:

Appassionato di fantascienza credo da sempre, ma scoperto di esserlo in quarta elementare quando mi hanno portato a vedere "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin: era il 1953 e avrei compiuto nove anni in quell'autunno.

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