L’Upupa

[singlepic id=303 w=250 h=357 float=left]Il rapporto tra Cristina e il suo fidanzato, Raffaele, era altalenante. La giovane intellettuale, cultrice del lessico forbito, si era ormai faticosamente abituata al turpiloquio di lui nell’intimità, ma altri problemi erano emersi: lei, ormai trentenne, voleva una famiglia. Soprattutto sognava un figlio. Lui invece, sosteneva che il mondo fosse troppo di merda per mettere al mondo povere creature innocenti. E per spiegarle questo concetto non utilizzava parole eleganti come “merda”, ma termini molto più scurrili.

In un periodo di crisi con Raffaele, Cristina conobbe Gilberto, avvocato quarantenne, super-intellettuale. Si erano conosciuti ciattando in un sito Internet dedicato alla poesia otto-novecentesca e si erano innamorati prima ancora di incontrarsi di persona.

La fedelissima Cristina divenne così fedifraga da non provare nemmeno un po’ di senso di colpa. Era convinta che Raffaele si meritasse le corna, perché la faceva soffrire. Sì, doveva proprio fargliele.

Cristina e Gilberto si baciarono la prima volta in un garage sotterraneo a pagamento, col pericolo di essere scoperti da un momento all’altro. La clandestinità, il rischio, il torbido sotterfugio ed il luogo da carbonari in incognito arricchirono il loro rapporto agli albori di un tocco di complicità che piacque molto ad entrambi.

Si rividero tre giorni dopo, a casa di Cristina. Gilberto adorava tutto di lei, ma in particolare la sua cultura e l’idea che insegnasse letteratura. Le disse molto modestamente: «Finalmente ho trovato una donna che stia al mio pari!».

Così, durante quella copula e le seguenti, per circa un mese, Gilberto pronunciava frasi del tipo: «Nebbia… irti colli».

E lei rispondeva: «Foscolo!».

E lui: «Sì, irti i colli come i tuoi seni sotto di me!».

E poi continuava: «Finché non more il giorno… erra armonia…»

E lei: «Leopardi!»

E lui: «Sì, sei tu la mia leoparda sulla vetta della torre antica, come le vette del piacere che ora ti farò toccare!».

Dopo un po’ Gilberto la chiamava “Ermione” e lei gli sussurrava: «Sono il tuo pineto, o mio D’Annunzio!».

Il gioco, in un primo momento, non dispiaceva a Cristina, ma a lungo andare – si sa – tutti i giochi vengono a noia. Ah! La noia! Mai annoiare Cristina.

Fu così, che un pomeriggio di novembre, Gilberto le disse:

«Upupa!».

E lei rispose annoiata:

«Eugenio».

Gilberto, che era lanciato in un amplesso niente male, si accasciò all’indietro sbarrando gli occhi:

«E adesso chi è ‘sto Eugenio? Si può sapere?».

«Ma Montale, ovviamente!».

«Cosa c’entra Montale? Io ho detto “upupa” e tu dovevi subito pensare a “I Sepolcri” di Foscolo. È lui che tenta di far passare per uccello notturno l’upupa, per l’effetto fonosimbolico scuro delle due “u”!».

«Certo – rispose seccata Cristina – ma è stato Eugenio Montale a dedicare all’upupa una poesia in cui, proprio facendo riferimento al terribile sbaglio commesso da Foscolo, cerca di riabilitare la fama dell’allegro uccellino diurno!».

«A me questa cosa non risulta proprio! Ed è impossibile che tu sappia una cosa che io non so!».

Gilberto si alzò dal letto, inforcò gli occhiali e corse nello studio con l’uccellino pomeridiano che ondeggiava in mezzo alle gambette magre da intellettuale.

Lei lo seguì rassegnata.

Lui trovò nella libreria di Cristina un libro che aveva adocchiato giorni prima: U. Passeroni, Interpretazione ornitologica dell’opera foscoliana.

Trovò immediatamente il capitolo in cui si citava l’upupa dei “Sepolcri”.

Con aria sempre più annoiata ed anche un po’ spazientita, Cristina salì in piedi su una sedia e tirò giù dallo scaffale più alto un volumetto, dal quale spuntava una piuma di gabbiano come segnalibro: G. Glandini, Riabilitazione dei volatili calunniati. La piuma era posta proprio al capitolo intitolato: “Montale difende l’upupa”.

Soddisfatta, Cristina cominciava ad aver voglia di riprendere ciò che avevano interrotto e si avvicinò a Gilberto come una gattina che fa le fusa.

Lui rimase gelido, con la sua upupetta sempre più piccola e triste.

«Devo riconsiderare parecchie cose», le diceva mentre si rivestiva.

Cristina comprese allora che Gilberto non era pronto a fare l’amore con una donna che conosceva meglio di lui Eugenio Montale.

Gilberto, quella sera si collegò in chat con il presidente del suo pianeta:

«Presidente, sono affranto. Ho tentato in tutti i modi di svolgere al meglio il mio incarico di sondare nei dettagli le abitudini sessuali dei terrestri, ma mi vedo costretto ad interrompere la mia missione».

«Agente, Kill Bert, posso conoscere il motivo della sua drastica decisione?».

«Caro presidente, il fatto è che devo approfondire i miei studi su un poeta umano difensore degli uccelli diurni!».

«Chi? Eugenio Montale?»

«Presidente, ma come fa ad essere così ferrato nella letteratura terrestre?»

«Semplice! Me ne parlava poco fa in video-messaggio un’altra nostra inviata, l’agente Kriss Teen».

Anna Laura Folena (2015)

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Appassionato di fantascienza credo da sempre, ma scoperto di esserlo in quarta elementare quando mi hanno portato a vedere "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin: era il 1953 e avrei compiuto nove anni in quell'autunno.

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