Tutto cominciò con l’arrivo del nuovo virus. All’inizio, nessuno ci fece troppo caso, ma quando si diffuse in tutto il mondo fu deciso di imporre drastiche restrizioni per contenere la pandemia. La gente dovette sottoporsi a mesi di quarantena e rinchiudersi nelle case. Chi non rispettava le regole veniva severamente punito. Crollarono i mercati. Le aziende fallirono. Dilagò la povertà.
Ma poi, il caos si placò e i governi, praticamente di ogni paese, annunciarono che da quel momento la maggior parte del lavoro sarebbe stata svolta da robot e androidi. L’umanità era ancora troppo stordita per protestare, anche se dopo poco cominciò a pesare la disoccupazione forzata. Così cominciarono le proteste, ma le voci furono messe a tacere perché, se mai una simile situazione si fosse ripetuta, il mondo doveva assolutamente essere protetto… doveva avere lavoratori capaci di continuare nonostante tutto. E quei lavoratori, per ovvie ragioni, non potevano essere degli umani.
Gli androidi producevano, vendevano e garantivano l’ordine. Combattevano anche nei conflitti locali istigati dai signori della guerra in paesi del Terzo Mondo.
Tutti gli androidi appartenevano a un numero limitato di corporations. Un numero limitato di corporations teneva il mondo moderno stretto in pugno. Solo pochi individui potevano godere di una vita pacifica e prospera. Solo pochi eletti lavoravano. Erano tempi diversi.
Sandra era l’unica donna alla Scantex. Il suo compito era mantenere l’ordine, individuando possibili anomalie del sistema o di qualche unità androide ribelle.
Il suo compito, in sostanza, si limitava a verificare regolarmente grafici e statistiche e, per questo, operava da remoto, nella comodità della propria casa. Ogni ora si sedeva al computer per verificare che tutto fosse in ordine. Anche se, due volte al giorno, doveva fare un giro tra gli impianti. Come adesso. Ecco Sandra che camminava nel grande salone tra gli androidi dedicati al loro lavoro. Ben in vista, seni, peni, natiche e vagine. Addomi piatti, gambe tornite o muscolose. Braccia robuste. Erano tutti nudi e identici agli esseri umani, anche se invece erano macchine immerse in involucri biologici. Lavoravano nudi, senza conoscere vergogna o desiderio sessuale. Nessuno sembrava farci caso, e l’azienda risparmiava altri preziosi dollari per gli abiti da lavoro.
Sandra passeggiava tra loro, osservandoli darsi da fare nelle vasche di biomassa nutritiva: rabboccare componenti, mescolare, controllare il gusto. Morti, eppure vivi. I loro sguardi erano vuoti, privi di emozione. Se nasceva un problema era perché negli occhi di un androide appariva all’improvviso un segno di vita.
A quel punto, Sandra si tolse il visore VR ritrovandosi nel suo accogliente appartamento. Sicché, l’androide di cui aveva usato gli occhi per portare a termine l’ispezione, liberato dal controller, tornò subito al lavoro. Se ciò non fosse successo, sullo schermo del computer sarebbe immediatamente apparso il messaggio opportuno.
Sandra si spostò nella cucina pulitissima, dove si aggirava un Ben nudo – un androide muscoloso, ma senza eccessi, generosamente dotato dal progettista. Lei lo usava per mantenere la casa in ordine, fare la spesa, cucinare e, di tanto in tanto, soddisfare i propri bisogni sessuali.
Quando il vero Ben l’aveva abbandonata, Sandra aveva usato di nascosto materiale genetico per clonarne in un guscio una sua copia biomeccanica. La copia aveva il corpo di Ben, ma all’interno lo scheletro era metallico con una miriade di componenti elettronici. Ogni giorno Sandra sfogava la sua rabbia verso di lui – anche se ormai non più così intensa, ma ancora ardente in qualche sperduto angolo dell’anima, – perché lui le aveva distrutto l’amore. Umiliava il suo clone obbligandolo a eseguire una raffica di compiti degradanti, trasformandolo in una sorta di tuttofare maschile. Permetteva che lui la dominasse solo durante il sesso, provando così a dimenticare, anche solo per un istante, ciò che era accaduto – per tornare al passato e riviverlo. Ma, quando tutto finiva, era ben viva la consapevolezza che costui fosse soltanto un androide.
— Preparami uno sformato — comandò, e si avvicinò alla gabbietta dove un topo nervoso correva avanti e indietro, come se in quel moto frenetico si racchiudesse il senso della vita.
Diede da mangiare a Pipi e guardò fuori dalla finestra. Una finestra che era essa stessa una menzogna, proprio come Ben. In realtà proiettava per lei ciò che lei voleva vedere: per esempio una splendida campagna verde, rigogliosa. Se non fosse stato per quell’illusione elettronica, Sandra avrebbe visto lì fuori un mondo distrutto, inquinato, dove tutto il bello del passato ora diventato un pallido ricordo.
Stava preparandosi a mangiare la pietanza fatta da Ben per poi trascorrere un pomeriggio di passione con lui, quando arrivò l’annuncio: durante un controllo delle batterie, era stato scoperto che ne mancavano diverse dal magazzino. Incaricò uno degli androidi di controllare i filmati delle telecamere di sorveglianza delle ultime ore, ma dopo un po’ risultò chiaro che non era stato registrato nulla di strano. Si collegò immediatamente con l’androide supervisore.
— Hal. Ho un compito per te.
— Sì, eccomi?
— Metti una parte della squadra davanti ai registratori e falli controllare tutte le registrazioni dell’ultimo mese. Entro stasera.
— Signora sì!
— E se non troveranno nulla, falli controllare anche aprile.
— Signora sì!
Riattaccò.
Quando ebbe finito di mangiare, Sandra si lasciò cadere nella poltrona e sorseggiò il vino, ammirando il corpo muscoloso di Ben che puliva la stanza. Ma, come per farle un dispetto, il comunicatore squillò di nuovo, interrompendo i suoi preliminari, invero speciali.
Sandra aggrottò la fronte e si avvicinò al computer per vedere che cosa stava succedendo adesso. Questo messaggio segnalava l’inizio del secondo turno e un androide di nome Emil, numero di serie 57834516, risultava assente dalla forza lavoro.
Due più due fa quattro, una verità piuttosto semplice da spiegare e non aveva intenzione di disturbare il suo capo per una simile sciocchezza. Se i suoi sospetti si fossero confermati, avrebbe gestito lei la questione e messo una nota nel rapporto. Sorseggiò il vino e si collegò con il controller aziendale:
— Markus, c’è lavoro per te.
— Ma salve, signora Sandra, è da un po’ che non sento i suoi argentei acuti — dalla sua voce era evidente quanto si divertisse.
— Sempre a fare lo sbruffone eh! — ribatté lei con disgusto. — Risparmia le battute. Hai da fare.
— Sì?
Si arrese subito. Pareva ricordarsi bene l’ultima volta che lei lo aveva ripreso e minacciato di tagliargli il bonus.
— Avenue 457, appartamento 098. Android Emil, numero di serie 57834516.
— Che gli è successo?
— Non si è presentato al secondo turno.
— Magari è in panne?
— Zitto — sibilò lei.
Lui non disse niente.
— Mancano anche tre batterie. Porta due unità da combattimento a proteggere l’uscita e controlla quel bastardo.
— Certo. E… scusami tanto.
— Scuse accettate, ora va. — Riattaccò senza attendere conferma.
— Che giornata — sospirò.
Markus bestemmiò tra sé e convocò due androidi da combattimento. Senza bisogno di ordini, salirono davanti al trasportatore. Il controller lasciò che usassero il sedile: oggi aveva dei programmi del tutto diversi — c’era anche una scappatella con la ganza — e invece si ritrovava con un casino. Per di più non era nemmeno riuscito a flirtare con la sua capa. Con quella di prima c’era riuscito, e si era divertito parecchio con lei. Ma la nuova, sebbene fosse un gran pezzo di… per lui era come di ghiaccio.
— Avenue 457.
Gli androidi annuirono e si sollevarono in volo. Il volo li portò sopra case fatiscenti quasi del tutto coperte da olo-pubblicità e da insegne al neon così vivaci da risultare nauseanti nella loro pacchiana ridondanza.
Markus accese una sigaretta.
Dopo un po’, il veicolo entrò nel traffico e volò insieme a molti altri trasportatori. In lontananza si ergeva la grande muraglia che separava la zona delle catapecchie dagli svettanti grattacieli delle corporations, lucidi alla luce del sole. Le catapecchie erano abitate da umani disoccupati e da androidi operai, ormai talmente mescolati tra loro che nessuno sapeva più distinguere gli uni dagli altri.
Quando si lasciarono alle spalle la zona delle fabbriche, entrarono in un altro quartiere per poveri, formato da blocchi di palazzi anche questi fatiscenti. Gradualmente il volo cominciò a scendere. Anche qui la spazzatura pubblicitaria era un attentato agli occhi.
La macchina atterrò con un sibilo sull’asfalto e subito squillò di nuovo il comunicatore di Markus.
— Sì? — si stupì vedendo sul display che era sempre Sandra.
— Cambio di piani — disse lei. — Me ne occuperò io personalmente.
— Tu? — era strano.
— Prima di spegnere quel tipo, voglio capire un po’ di cose.
— Tranquilla, gli spremerò tutto il possibile…
— Qui ci vuole il tocco di una donna. Intanto, tu va da Schneider a ritirare il mio ordine. Lasciami i combattenti sul posto e il trasportatore.
— Ma…
— Subito.
Riattaccò.
— Donne… — scosse lui disgustato. — Deve avere una sindrome premestruale per cambiare idea così, ma vuoi?
Aveva idea che, se andava avanti così, prima o poi la sua capa si sarebbe cacciata nei guai. E tutto il lavoro sporco spettava a lui. Era lui che doveva volare dietro alle sue cose da fare.
Qualcosa gli diceva che, in quel modo, lei volesse solo umiliarlo e dominarlo. Forse in passato qualcuno le aveva fatto chissà che e adesso lei se la prendeva con tutti gli uomini che le capitavano sotto!
— Be’, lasciamo stare — pensò Markus, scendendo dal trasportatore e accendendosi un’altra sigaretta.
Emil stava terminando di integrare nel proprio sistema migliorie e modifiche artigianali. Era sdraiato sul divano di un appartamento arredato in modo ascetico a leggere un libro, in attesa che il processo fosse completato dentro la sua testa. Nell’aria scintillavano pigri granelli di polvere.
Emil amava le vecchie edizioni tascabili da collezione. Apprezzava il piacere di scoprire poco per volta le sorti dei personaggi. Poteva permettersi di assimilare lentamente quel genere di dati: aveva a disposizione l’eternità e solo un reset totale poteva interrompere la sua esistenza. A parte il completo scaricamento delle batterie, che avrebbero provocato stessa cosa.
Alla porta risuonò una strombazzata.
— Controllo! Emil, numero di serie 57834516, ti ordino di aprire la porta immediatamente — gridò una tagliente voce femminile.
Sapeva che stavano venendo per lui. Ma non si aspettava fosse tanto presto. Di solito, in caso di emergenza, non si davano troppo da fare e magari arrivavano anche dopo una settimana. Cosa volevano fare? Ricaricare un nuovo sistema, creare una nuova personalità e così la corporation era contenta.
Capì che evidentemente avevano scoperto la mancanza delle batterie prima di quanto lui avesse previsto. Si chiese solo perché — aveva perfino falsificato la loro lista e, l’unica spiegazione, era che qualche formalista avesse esagerato in scrupolosità.
Emil si alzò e posò il libro.
— Ecco, arrivo, un momento.
Sperava solo che il controller non si presentasse con una grossa scorta.
Aprì la porta e vide una donna dall’aspetto delicato sui trent’anni. Il suo aspetto fragile, quasi etereo, non corrispondeva però alla sicurezza che mostrava entrando a passo deciso. E nemmeno alla sua voce:
— Per favore, non provare a scappare. L’unica via d’uscita è arrenderti. Non costringermi a chiamare i rinforzi.
— Piano — sorrise Emil conciliante. — Non sono andato al lavoro, ma ho dovuto ripararmi da solo perché…
— Zitto!
Emil capì che non sarebbe venuto a capo di nulla e tacque.
— Sei agitato, è ovvio. Il tentativo di far finta di niente è del tutto inutile. Sono scomparse tre batterie dalla fabbrica e sappiamo per certo che le hai prese tu.
— Vuoi un po’ di tè? — propose lui.
— Dove le hai nascoste?
— Almeno siediti — con un gesto indicò la sedia. — Diciamo subito, che me ne sono appropriato. Non posso negarlo.
Sandra accolse l’offerta della sedia. Sicché, Emil andò all’armadio, aprì l’anta e le mostrò gli oggetti rubati. Erano lì, nell’angolo dell’armadio, vicino alle scarpe. Due piccoli cilindri argentei simili a proiettili dei tempi andati, appena leggermente più grandi.
— E il terzo, dov’è?
— Ho io anche quello — disse lui spostando l’altra sedia davanti a lei.
E sedette, sorridendo in tono tranquillo.
— Allora restituiscilo. Il fatto di averlo nascosto chissà dove non ti aiuterà per niente: tra poco verrai disattivato e subirai un reset totale.
Ma Emil non voleva proprio morire. Non aveva alcuna intenzione di smettere di essere Emil. Si sentiva decisamente umano. Solo che gli avevano messo addosso un corpo metà umano, metà meccanico. Volevano che fosse uno schiavo da sfruttare per il lavoro. Eppure, in quel momento, c’era anche qualcuno che non voleva più permettere che ciò accadesse.
— Naturalmente, ti sarà caricata una nuova personalità, — aggiunse Sandra subito e sul suo volto delicato apparve una smorfia di sadica soddisfazione.
Un attimo dopo i due si ritrovarono in un luogo totalmente diverso. Erano sempre seduti su delle sedie l’uno di fronte all’altra, ma attorno a loro si estendeva un infinito spazio nero.
Gli occhi di Sandra si spalancarono e apparve paura e confusione sul suo volto.
— Confusa? — rise Emil divertito nel vedere come Sandra, in un batter d’occhio, si fosse trasformata da minacciosa controller che decide della vita e della morte degli androidi in una piccola donna spaventata, come una bambina impotente.
— Ma cosa hai fatto? Come mai?
— Hocus pocus — disse lui, assaporando il momento.
— Liberami subito! Non puoi farlo a me! Io sono un essere umano! Un essere umano, capito?
— Be’, teoricamente, per le regole caricate nei nostri sistemi, noi androidi non possiamo nuocere agli umani. Neppure nel caso volessero distruggerci.
— Teoricamente? — mormorò lei, diventando pallida come un lenzuolo.
— Probabilmente ti starai chiedendo come possa essere successo se a nessun androide è permesso di rimuovere quel codice dal database di sistema.
— Mi hai ipnotizzata?
Emil si alzò. La sedia era scomparsa. Ora la guardava dall’alto. Poteva avvertire il suo crescente disagio. Lì c’era l’umana; e qui, l’androide. Ecco quell’insolente androide che assumeva una posa dominante di fronte a lei, provocandole deliberatamente un fastidioso sentimento atavico di inferiorità.
Sandra serrò i denti e si sollevò anche lei. Ma lui la sovrastava ancora di una spanna.
— Parla! — urlò Sandra, e lui fece un passo avanti senza dir nulla, così vicino da far sentire il suo respiro sul mento di lei. Sapeva che le persone non sopportano quella violazione della loro privacy e ancor meno se uno è più alto e ti guarda fisso negli occhi. E sapeva anche che aveva tutto il tempo. Soprattutto lì, un luogo in cui poteva trascorrere un’eternità, mentre laggiù sarebbe stata solo una frazione di secondo.
— Che mi vuoi fare?
Lei tacque; non sapeva più come comportarsi, né cosa dire. Aveva vinto lui.
Dopo un istante gli occhi le si riempirono di lacrime e le labbra si incurvarono a U capovolto, come in una bambina. Adesso la sua bellezza era pari al suo comportamento, senza più nessuna dissonanza cognitiva.
— Per favore, fammi uscire da questo posto, ovunque sia. Ti prego.
Emil scosse la testa in segno di diniego. Se avesse mostrato misericordia, per lui sarebbe stato infatti un suicidio. Se l’avesse lasciata andare, lei sarebbe fuggita. E nel giro di un istante gli androidi da combattimento si sarebbero precipitati dentro e lo avrebbero costretto a un reset, magari distruggendo anche il suo involucro.
— Sai, possedendo una copia elettronica di un cervello umano e, a differenza degli umani, potendo utilizzare il cento per cento delle sue capacità, potrei ipnotizzarti qui, subito. Potrei anche ordinarti telepaticamente varie cose. Ma questa non è ipnosi.
— Secondo il protocollo — la controller, tremante di terrore, parlava con voce rotta. — Non hai il diritto di imprigionare una persona contro la sua volontà.
— E come puoi essere sicura di essere tu un essere umano? — sorrise muovendosi a larghe falcate, aspettandosi proteste indignate e rassicurazioni che lei era davvero un essere umano. Ma la donna sembrò rintanarsi in se stessa. Cominciò lentamente a indietreggiare, gli occhi sbarrati. Era sotto shock, e lui poté proseguire con calma.
— Vedi, carissima, il fatto è che anche tu sei un androide, solo di un tipo più antico. Io, invece, come androide di nuova generazione, con i miei parametri potenziati — frutto degli interventi fatti su ciò che ho tra le orecchie — ho completamente dominato il tuo sistema e ne ho preso il controllo. Ora sei in modalità sleep e io ho creato un sistema virtuale nel quale ho trasferito le nostre menti.
Se ne avesse avuto la possibilità, Sandra sarebbe svenuta; ma le macchine non svengono, così non le restò che ascoltare quella argomentazione e cercare di abituarsi alla sua nuova, insospettata condizione.
— E sai benissimo che non hai nessuna possibilità di uscirne.
— Ma…
— Sì, certo: come androide che, nel mondo reale, non dispone della modalità combattimento non posso distruggerti. Ma la tua batteria è più debole della mia, e mi basterebbe aspettare qualche ora: la tua si scaricherebbe prima della mia. E così sarebbe la fine della grande signora investigatrice — le offrì il sorriso più affascinante che riuscì a produrre.
— Allora fallo. Vai avanti, fallo, bastardo.
— Sì, chi sta annegando si aggrappa a ogni pagliuzza. Tu pensi che io non ricordi il tuo gruppo di battaglia là fuori?
— Ah, e allora? — per un attimo lei ritrovò la voce; evidentemente era riaffiorato un barlume di speranza. — Sai che non usciremo comunque da qui e tra pochi minuti verranno a controllare che sia tutto a posto.
— Credimi. Ho già risolto questo problema.
— Ah, credo proprio di no — fece lei, stirando le labbra in un’espressione provocatoria; ma al tempo stesso era molto dolce e, per un attimo, Emil provò dispiacere all’idea di doverla far finire al reset.
Decise che le avrebbe risparmiato il racconto di ciò che stava per farle. Molto meglio che non sapesse niente. Si rese conto che sarebbe stata una sorta di predazione nei suoi confronti. Lei era così. Non c’era niente da fare. Ma tutto ha un limite e lui sentiva di essere arrivato al massimo della sopportazione.
I creatori gli avevano proibito di distruggere altri androidi. Era un codice che non poteva aggirare, così come non poteva aggirare il divieto di nuocere agli umani. Ma quel divieto valeva solo per il mondo reale. Nessuno aveva pensato di imporlo anche al mondo virtuale.
Prima che Sandra capisse cosa stava succedendo, Emil, in quanto sistema dominante, inviò un comando per farle eseguire immediatamente l’auto-reset e scaricare la batteria.
In un battito di ciglia la controller scomparve dallo spazio nero.
— È ora — mormorò lui, e anche lui scomparve, tornando così al mondo reale.
Emil fu fuori dalla modalità sleep. I suoi occhi si animarono. Sandra stava di fronte a lui a occhi chiusi, il volto completamente privo di espressione.
L’androide si alzò e infilò le batterie in uno zainetto.
Mentre frugava per trovare cose sul corpo della controller, percepì la piacevole consistenza dei suoi seni e per un momento fu travolto da un autentico eccitamento. Poi, trovò ciò che cercava: tessere di accesso e vari documenti d’identità.
— Peccato che la nostra conoscenza debba finire in questo modo — disse, accarezzandole delicatamente una guancia.
Mise il bottino nella tasca dei pantaloni ed estrasse dall’altra un piccolo cubo lucido.
— Ed è per questo che mi servivano le tue batterie rubate. Questa mia invenzione ha bisogno di parecchia energia.
Emil premette una piccola protuberanza sul cubo e, quasi subito, lui assunse l’aspetto di una ben nota investigatrice.
— Capito? Te l’ho detto che avevo risolto il problema dei combattenti qui fuori — disse con voce modulata nel giusto tono, rivolgendosi al guscio resettato della controller. — E prima che i capi se ne accorgano, be’… ora posso sembrare una qualsiasi donna cha cammina per la strada.
Le diede un piccolo buffetto e uscì dall’appartamento.
Un attimo dopo, nella tromba delle scale risonò un forte rumore di tacchi a spillo.
The Hard Reset
di Krzysztof T. Dąbrowski © 2025
Traduzione dal polacco di Julia Mraczny © 2025
Adattamento italiano a cura di Franco Giambalvo
Immagine di copertina realizzata con AI, Microsoft Designer
è uno scrittore e sceneggiatore polacco. I suoi libri sono stati pubblicati in Polonia, Stati Uniti, Spagna e Germania. Le sue storie sono state pubblicate in molti paesi. Gli piace collaborare con registi e fumettisti - è specializzato in Drabble scritti in polacco, ma facilmente adattabili a qualsiasi lingua.