Dopo aver letto The Martian Contingency (Protocollo marziano) di Mary Robinette Kowal, quarto romanzo della serie The Lady Astronaut, non ne esco né stupito, né particolarmente soddisfatto.

Devo dire che in genere apprezzo molto Mary Robinette, con cui ho anche un buon rapporto epistolare, ma trovo questo ultimo romanzo particolarmente pesante dal punto di vista delle buone intenzioni normalmente identificate come correttezza politica e (inutilmente) complicato nel gergo tecnico.

Mary Robinette è sempre stata molto legata alla Political Correctness: in un precedente scambio di idee che ho avuto con lei, le dicevo che a mio avviso non era un bene usare gli pseudo pronomi Xe / xem / xyrs al posto di He / She / Him / Her / His eccetera. Pseudo pronomi usati apposta per non indicare il sesso del personaggio. Le dicevo che sono espressione tipica dei popoli di lingua inglese, non diffusi nel resto del mondo e creano notevoli difficoltà ai traduttori.

La scrittrice mi rispondeva un po’ piccata, che si tratta di rispetto per coloro che non si sentono né maschi, né femmina e quindi non era qualcosa di cui si potesse fare a meno: “I traduttori troveranno qualche modo per destreggiarsi anche nella loro lingua!

Vediamo prima una breve sinossi più o meno ufficiale della storia:

In un futuro alternativo, più di vent’anni dopo la devastazione provocata da un meteorite che ha distrutto Washington D.C. e innescato un catastrofico cambiamento climatico, l’umanità ha avviato un ambizioso programma spaziale per garantire la propria sopravvivenza. Dopo aver stabilito insediamenti sulla Luna, il prossimo obiettivo è Marte.

Elma York, nota come la “Lady Astronaut”, partecipa alla Seconda Spedizione Marziana con l’incarico di preparare il pianeta rosso per una futura colonizzazione permanente. Tuttavia, sin dal suo arrivo, emergono segnali inquietanti: qualcosa è andato storto durante la Prima Spedizione, ma i rapporti ufficiali tacciono sull’accaduto. Mentre Elma e il suo gruppo cercano di far luce sul mistero, si scontrano con un muro di silenzio e reticenze, mettendo a rischio l’intero progetto di colonizzazione.

Con una narrazione avvincente e personaggi profondamente umani, Mary Robinette Kowal esplora temi di responsabilità, segreti istituzionali e la resilienza necessaria per costruire un nuovo futuro su un mondo alieno.

Come ben si vede si tratta di una sorta di quarta di copertina.

Anche se Elma scopre che qualcosa è andato storto durante la Prima Spedizione e che i rapporti ufficiali tacciono sull’accaduto, in realtà tutta la storia evapora praticamente in un nulla di fatto: alla fine si scoprirà solo essersi trattato di una cattiva gestione da parte di un personaggio malevolo che qui non compare mai e che qualche lettore dovrebbe ricordare dai libri passati. Ma il nuovo lettore non provi a capire tale personaggio da questo libro, perché sarà impossibile.

Per cui, la storia è tutta qui: non succede nulla di particolare in tutto il libro, se non questa “esplorazione dei temi di responsabilità.”

Diciamo subito che in questo romanzo non ci sono pseudo pronomi, ma Mary Robinette si inventa una nuova battaglia sociale.

Seguendo quello che ormai è diventato un quasi stucchevole sistema nella società americana, ci sono parole che a detta di tanti puristi sociali non debbono, né possono essere più utilizzate. Addirittura, nemmeno scritte in un romanzo che tecnicamente si svolgerebbe nel 1970: si parla espressamente del famoso “termine con la N” vietatissima parola per indicare la gente di colore.

A tale terribile parola, oggi si aggiunge il termine “colonia!

Pare che l’insediamento che si sta costruendo su Marte, per il momento due piccole cupole collegate, non sia bene chiamarlo colonia marziana! La parola non è amata dalla gente di più umili origini sociali, perché ricorda loro storicamente le colonie inglesi. Quelle che sono state un simbolo di sopraffazione nei confronti delle popolazioni africane e di tutte le popolazioni presso cui i britannici hanno costituito colonie. Mi domando se lo stesso varrebbe per gli insediamenti dell’Impero Romano.

Che cosa proverei io, ebrea, se si parlasse di Ghetto marziano?” si dice Elma York, ebrea e osservante e sensibile a tali situazioni.

Il romanzo è profondamente impregnato di questa ricerca sul non uso di termini che possano infastidire (far male) a qualche minoranza: evidentemente una battaglia importante secondo i sentimenti della stessa Mary Robinette.

Poi, c’è tutta la parte di osservanza ebraica, che non sono riuscito del tutto a seguire: diversi brani in jiddish, anche se opportunamente tradotti. Massime riportate in alfabeto ebraico, e cose del genere. Non sono elementi fastidiosi, ma in realtà non troppo consoni all’idea di un romanzo basato sulla conquista dello spazio. La stessa parola conquista, credo infastidirebbe moltissimo Elma York.

Infine, parlando del gergo tecnico, ci sono interi capitoli in cui sono descritte manovre di atterraggio su Marte, o di aggancio alla stazione spaziale con cui gli astronauti sono arrivati. La stazione ha un moto di rotazione attorno al fuso, per mantenere una pseudo gravità sulle pareti esterne, mentre continua la sua orbita attorno al pianeta. A bordo sono rimaste alcune decine di astronauti. Molti non sono sbarcati subito sul pianeta e lo faranno solo a romanzo parecchio inoltrato.

In tali condizioni, si sprecano le difficoltà nella zona dotata di gravità artificiale, dovute all’effetto Coriolis. Alcune descrizioni credo volessero essere gags, ma non ne sono sicuro.

Alcune gag, per lo meno dichiarate tali, non sono alla mia portata e fanno riferimento a cose che non conosco o che non mi fanno ridere.

Immagino che chi dovrà tradurre questo romanzo si troverà in un bell’impiccio per diverse cose non proprio chiarissime. Quanto meno bisognerà scrivere a Mary Robinette per capire l’interpretazione di centinaia di sigle tecniche e magari farsi spiegare alcuni moti di spirito non troppo vicini a noi; per poi tradurli in qualcosa che potrebbe essere detta dai nostri comici.

Una curiosità per finire.

L’effetto Coriolis fa un brutto scherzo a Elma quando estrae dal forno la sua torta al cioccolato: dà un colpo col piede per chiudere lo sportello. ma l’effetto Coriolis la sbilancia e le cade la torta sulla mano, ustionandola malamente e gravemente.

Nel suo sito, alla pagina dedicata a questo libro, Mary Robinette ci passa le informazioni della ricetta per questa specifica Torta al Cioccolato.

Ingredienti:

  • 60 g di burro, fuso (oppure margarina vegetale, se si preferisce), più il burro per la pasta frolla.
  • 300 g di zucchero semolato
  • 30 g di cacao amaro in polvere
  • 3 uova medie
  • 1/2 cucchiaino di estratto di vaniglia (oppure i semi di mezza bacca)
  • 1 cucchiaio raso di farina di mais fine (tipo fioretto – si trova nei negozi bio o ben forniti)
  • Fate una pasta frolla tradizionale, ma io aggiungo sempre un bel cucchiaio di bourbon all’impasto (dice Mary Robinette)

A questo punto, lei non lo dice, ma credo si debba foderare con questa base uno stampo per torte.

Preparazione:

  1. Preriscalda il forno a 175°C.
  2. Stendi la base della crostata in una teglia da circa 22–24 cm di diametro e riponila in frigo mentre prepari il ripieno.
  3. In una ciotola, mescola burro fuso, zucchero e cacao fino a ottenere un composto sabbioso.
  4. Aggiungi le uova e la vaniglia. Sbatti energicamente con una frusta a mano finché il composto è omogeneo e un po’ denso.
  5. Unisci la farina di mais fioretto e mescola quel tanto che basta per incorporarla.
  6. Versa il composto nella base di pasta.
  7. Cuoci in forno per 35–45 minuti, o finché la superficie della torta si sarà gonfiata, indurita e crepata in modo caratteristico.
  8. Lascia raffreddare completamente. Servi a temperatura ambiente.

Ottima così com’è, ma con un ciuffo di panna montata fresca diventa davvero speciale.

N.B.: Non garantisco: tutta colpa di Mary Robinette Kowal!

La copertina è stata generata con AI Microsoft Designer.

 

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.