Questo breve racconto di Umberto Folena ha le caratteristiche in nuce, dei racconti lampo di Frederick Brown, o l’ironia veloce di Robert Sheckley. Tanto per chiarire ai lettori più giovani che cosa intendo, mi sento in dovere di riportare questa famosissima Sentinella di Frederick Brown.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa.Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella a cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica.Ma dopo decine di migliaia di anni quest’angolo di guerra non era cambiato.
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la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica.E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.Stava all’erta, il fucile pronto.
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Detto questo (e letto questo) credo che gli aspiranti scrittori là fuori siano perfettamente in grado di terminare questo racconto con una sola, semplice, fulminante trovata finale. E noi siamo qui, pronti ad accoglierla. Alla trovata migliore assegneremo un premio: un originale del secondo numero de La Bottega del Fantastico. Non sottovalutate questo premio. Guardate qui…
Padova, Palazzo del Bò, Facoltà di Giurisprudenza, appello autunnale di Istituzioni di Diritto Romano. Il professor Italo Burdazzi Gentilini, meglio conosciuto come il Martello delle matricole e Sterminator, cacciati con la consueta gratuita cattiveria cinque candidati su sei, chiamava il settimo.
«Scalabrin».
«Eccomi».
«Si sieda. Ah, vedo che si è già seduto. Non abbia timore, chi ha studiato diligentemente non deve temere nulla. Nevvero, Negri?».
Vittorino Negri, l’assistente, 52 chili mal distribuiti attorno a un paio di occhiali bordati in tartaruga, annuiva col capo. Non sapeva se quel “nevvero” gli consentisse di aprir bocca e nel dubbio la teneva chiusa. Tacerà sempre.
«Bravo, Negri. Lei, Scalabrin: bel libretto, già due 30. Eppure la sua faccia mi è nuova. Ha frequentato le mie lezioni?».
«Assolutamente no, mai passato per la mente».
«Spiritoso. Lei ammette di non aver frequentato e si presenta lo stesso. Lei scherza».
«No. Non ho frequentato. Tutti sanno che lei si limita a leggere a voce alta il suo libro, che ci costringe a comprare guadagnandoci sopra, quindi tanto vale studiare quello senza perdere tempo con le lezioni. Sa, professore, io non ho TEMPO da perdere…».
«O scherza, o è pazzo».
«No, non scherzo. Faccio sul serio. Lei, Negri, è bravissimo a esserci senza sembrare di esserci, quindi dimenticherà tutto. È una fortuna che ai suoi esami non sia gradito il pubblico. Siamo soli. Professore, lei mi darà 30 senza farmi neppure una domanda. Tra, vediamo, 7 minuti».
«Oh oh oh, in trent’anni non mi era mai capitata una cosa del genere. E che cosa le fa credere un’enormità simile?».
«Lo so perché l’ho visto. Tra 7 minuti. Un 30. Senza lode, non pretendo tanto».
«Ma certo. Senta, fine dello scherzo. Mi dica…».
«Lei mi darà 30. Mai sentito parlare di viaggi nel tempo? Io so viaggiare nel tempo. Tra 7, anzi 6 minuti io sarò qui, dietro di lei. Ho già visto tutto. Un 30».
«Giovanotto, ora basta!».
«… O devo dirle della signorina Galante, quella con due seni così, che lei ha promosso un quarto d’ora fa? La osserva da mesi. Si rallegri: domani la incontrerà alle Padovanelle e la signorina saprà rendere tangibile la sua riconoscenza. Camera 112. Ho visto anche questo. Complimenti».
«Cosa? Ma come si permette?».
«Io viaggio nel tempo. Non mi chieda come, non lo so, sembra impossibile ma ci riesco. È una cosa che accade qui nella mia testa. Mi concentro e parto. Vuole una prova? Adesso vado ad assistere a una lezione di Galileo. E tornerò esattamente tra un secondo. Fatto. Vede? Questi sono gli appunti e questa è la barba di un giorno».
«Uhm, un trucco abile. Ma questa è la Facoltà di Giurisprudenza, non l’ora del dilettante!».
«Sono trascorsi 5 minuti e sono stanco, l’ultima notte nella Padova del Seicento non ho dormito. Tra un minuto lei mi darà 30. È già accaduto, nel futuro. Non ha scelta».
«E se non lo facessi?».
«Oh bella, ma non è possibile. Ho visto bene che lo farà, anzi che l’ha già fatto. Lei non può fare diversamente. Altrimenti…».
«Altrimenti?».
«Non saprei. Credo si formerebbe una biforcazione spazio-temporale, come se un fiume fosse costretto a dividersi tra due alvei. Un altro-lei darebbe 30 a un altro-me,mentre lei e io…».
«Io e lei?».
«Temo che accadrebbe qualcosa di terribile. Temo che il tempo non ami i paradossi».
Il professor Burdazzi Gentilini sogghignò. Studenti balordi ne aveva incontrati tanti, ma questo li superava tutti. Il ghigno si allargò. Godeva sempre quando poteva scrivere 12 sui libretti di quei maschi orgogliosi, gonfi di testosterone, che solo perché giovani credevano di poter disporre di tutte le pollastre dell’Università. Le Padovanelle… Sì, una buona idea. Negri era assente come al solito. Scalabrin invece strabuzzava gli occhi, apriva la bocca senza che ne uscisse alcun suono. Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta, dodic…
Ecco qui di seguito, per il piacere di tutti, il finale immaginato da Umberto:
Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta: dodici!
Il barone universitario aguzzino si aspettava di vedere di fronte a sé uno studente affranto. Restò stupefatto, invece, nell’assistere alla reazione di Sacabrin: era trionfante. Afferrando il libretto lo sollevò in aria come si fa con i trofeisul podio del vincitore, ed esclamò: “Grazie, Professore! Ce l’ho fatta! Era proprio quello che volevo. Ho fatto bene a tornare indietro nel tempo per rimediare”.
“Ma… ma… non … non capisco”, balbettava il Burdazzi Gentilini.
“Vede, professore, quando nella prima versione del flusso storico lei mi mise 30, io non riuscii più a convincere mio padre a lasciarmi fare quello che davvero mi piaceva nella vita: il cuoco. Mi toccò diventare avvocato. Ora ho rimediato: dopo questo 12, potrò dedicarmi all’arte culinaria. Ah, comunque quella cosa sulla ragazza con le poppe generose che le dimostrerà gratitudine non era vera. Se vuole essere un bastardo, lo sia fino in fondo, come gli altri suoi colleghi: il pedaggio alle allieve lo faccia pagare PRIMA del 30 sul libretto. Non DOPO! Ottenere il tributo per grazia ricevuta sarebbe fantascienza. E questa, invece, è realtà”.
Negri, balzato fuori dal nulla, puntò il telefonino verso il professore, pigiò un pulsante, e Burdazzi Gentilini rimase paralizzato.
Schiacciò un altro bottone e il voto scritto a metà scomparve dal libretto.
Poi prese la penna, scrisse “trenta”, falsificò alla perfezione la firma del professore e riconsegnò il libretto all’attonito Scalabrin, al quale si rivolse con severità: “Giovanotto, non si scherza con il tempo! Non devi alterare i fatti già avvenuti! La prossima volta, i tuoi 30 cerca di meritarteli. Ora va’, fila via.”
Uscendo dal Bò, lo studente pensava: “Quindi i guardiani dei flussi storici esistono davvero! Devo avvisare subito gli strateghi del mio pianeta. Dovremo eludere la sorveglianza di Negri e dei suoi per cambiare la trama della vita della Terra e raggiungere il nostro obiettivo per salvarla: impedire l’invenzione dei reality”.
…e fece scivolare il pennino sulla carta, dodici! E poi zero, zero, zero, zero, zero.
Scalabrin, studente fuori corso e abile prestigiatore ed ipnotista, aveva fatto un ottimo lavoro.
Vittorino Negri sollevò il polso del professore, scivolato in uno stato di trance profonda, ritirando l’assegno debitamente compilato. Un milione e duecentomila euro: tutti i risparmi di una vita del Burdazzi sarebbero confluiti in un conto aperto alle Isole Vergini Britanniche. Per il Negri erano un giusto risarcimento per le umiliazioni subite dal professore.
«Ecco il suo trenta, Scalabrin, come concordato e… grazie!»
«Grazie a lei, professor Negri, è stato un piacere».
Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta, dodici!
Stava per richiudere la stilografica, ma non ci riuscì. Una forza misteriosa, come un fantasma venuto dal passato, lo costrinse a proseguire nella scrittura. Ignaro di quello che stava facendo, terminò di scrivere, poi il tempo riprese di colpo il suo percorso normale.
Scalabrin aveva ripreso il libretto e lo stava fissando con uno sguardo strano e un lieve sorriso. “Non capisco cosa ci sia da sorridere.”
fece il professore, stizzito. “Le ho dato dodici, no?”
“Questa era la sua intenzione, infatti” ribatté lo studente. “Per fortuna sono intervenuto in tempo per rimediare. Lei mi ha dato 30. Certo lo ha scritto in un modo un po’ bizzarro, ma sul voto nessuno potrà obiettare. E poi qui siamo a Giurisprudenza, mica a Matematica…”
Burdazzi Gentilini fissava, allibito, il libretto aperto. Dove aveva scritto con la sua calligrafia
inconfondibile: “12000/400”. Crollò sulla cattedra con gli occhi sbarrati. Negri, nonostante gli sforzi, non riuscì a soffocare una risatina di scherno…
Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta, dodic…
Improvvisamente intorno a lui tutto si mise a vorticare e dopo qualche secondo si trovò in un’aula con le travi in legno, le pareti di pietra, in mano teneva una penna d’oca. Era precipitato nel medioevo e la stanza era gelida, strani figuri avvolti in sai di juta lo stavano osservando con meraviglia. Di lì a poco si udirono forti grida: “Il demonio, il demonio!!!!” Fu trascinato in una cella scura. Gli passarono davanti tutti gli studenti che aveva trattato come inquisitore e pensò con terrore che,questa volta, sarebbe toccato a lui.
Burdazzi Gentilini svitò con sadica lentezza il cappuccio della stilografica e fece scivolare il pennino sulla carta, dodici secondi ancora allo scadere dell’ultimatum.
Scalabrin si affrettò a concentrarsi, e ripartì all’indietro più e più volte per lo stesso breve viaggio.
– «Eppure la sua faccia mi è nuova. Ha frequentato le mie lezioni?» (STOP – REWIND)
– «Eppure la sua faccia mi è nuova. Ha frequentato le mie lezioni?» (STOP – REWIND)
– «Eppure la sua faccia mi è nuova. Ha frequentato le mie lezioni?» (STOP – REWIND)
Solo dodici secondi. Un’ultima volta e poi via col ‘déjà vu’, confidando sull’origine indotta del fenomeno, sul significato letterale del termine e su un’auspicabile effetto-commozione.
– «Scalabrin: bel libretto, già due 30. La sua faccia mi è familiare. Deve aver frequentato tutte le mie lezioni!» esclamò compiaciuto il professore.
«Non perdiamo altro tempo dunque: il suo terzo 30, sulla fiducia. E avanti così.»
Annotò soddisfatto il voto e restituì il libretto.
Scalabrin lo recuperò timidamente: «Professore, Lei mi confonde…».
Si alzò dalla sedia, salutò con un inchino e se ne andò.
«Avercene studenti così, caro Vittorino…» disse Burdazzi rivolgendosi a Negri, che frastornato annuì, con un sorriso stanco.
…dodici minuti dopo le dodici del giorno dodici dicembre: era allo zenit il sole nella giornata che precedeva quella più corta dell’anno, pensò, rabbrividendo leggermente, il professore, che nell’inesorabile succedersi delle stagioni, metaforicamente percepiva l’approssimarsi dell’inverno della propria parabola professionale…Anche la sua fama di duro fino allora allo zenit – maledizione! – era perciò prossima ad opacarsi: S. Lucia avrebbe fatto il resto, facendo calare subito le tenebre su di una carriera così fulgida e trasformandolo in un Negri qualunque, in una invisibile presenza.
Con moto vorticoso, contrapposto alla sua sadica lentezza,cominciarono a turbinargli per la testa i giorni, e poi i mesi, e le stagioni, che avrebbe voluto far girare a ritroso per garantirsi un altro ciclo professionale: inverno- autunno- estate-primavera; e, a seguire, i giorni: domenica- sabato- venerdì, ecc., e poi i mesi : tutti gli altri ne han trentuno, di ventotto ce n’è uno , ma novembre, con april giugno e settembre: 30!
Bravi tutti, diciamo dal 27 in su ma… Propongo un ex aequo: Catalist e Cartesio (alias Roberto Morassi). Perfettamente nello spirito del racconto, con quel tanto di grottesco e assurdamente logico, o logicamente assurdo, che l’impresa richiedeva. Bravi! Il premio? Scrivere a loro volta un racconto senza finale. Aspetto con sadica fiducia.
Umberto ha volutamente ignorato i suoi parenti che pure hanno fatto delle ottime proposte. A me, le proposte sono piaciute.
Ringrazio commosso! Però quello del nuovo racconto senza finale è uno scherzaccio… 😀
Ma grazie Umberto! Sono commossa, benché tentata di sposare la tesi dell'”antinepotismo foleniano” che qualcuno ha ventilato.
Riguardo alla nuova storiella… prego Roberto, vai pure avanti tu che mi scappa da ridere 😀