Mi fa molto piacere proporvi questo nuovo, breve racconto di Fabio Calabrese che, probabilemente libero da pressioni editoriali, ritrova nuova creatività e freschezza, con un risultato di grande qualità.
Io sono un hobo, questa è una comunità di hobo, probabilmente la sola che esista.
Una volta, molto tempo fa, questo termine indicava i vagabondi che si spostavano da una parte all’altra degli Stati Uniti facendosi dare passaggi in incognito sui treni merci.
Anche noi ci facciamo dare passaggi in incognito, ma su tutt’altro genere di veicoli.
Io per la verità pensavo di essermi sistemato stabilmente, ma so che non sarà così.
* * * *
L’altra mattina lavoravo nel campo, rivoltavo le zolle con la vanga per raccogliere le patate, quando vedo venire verso di me un tizio dall’aria truce che indossava un paio di jeans laceri e un giaccone di pelle, cosa che mi è parsa strana, perché faceva caldo.
Si è avvicinato con aria indolente e mi ha detto, accennando al cesto dove avevo messo le patate raccolte:
“Ehi amico, dammi quelle patate, in cambio ti do questo”.
E mi ha mostrato un involto che conteneva foglie di marihuana.
“Non mi interessa quella roba”, ho risposto.
Ha fatto un gesto rapido sganciando qualcosa da sotto il giaccone, e mi sono trovato a guardare a pochi centimetri dalla mia faccia le aperture buie delle canne segate di un fucile.
“Come vuoi”, ha detto, “Libero di non prendere l’erba, ma le patate me le dai lo stesso”.
Cosa dovevo fare secondo voi, lasciarci la pelle per un cesto di patate?
Non è stata la prima volta che ho subito una rapina.
* * * *
Non mi piace essere un hobo, un tempo non lo ero, sono nato da una famiglia medio borghese, ho potuto, studiare, poi sono entrato nel mondo degli affari, ero quello che si dice un giovane rampante yuppie, poi tutto è cambiato quasi all’improvviso.
Lo ricordo molto bene il giorno in cui la mia vita è cambiata. Dovevo vedere un cliente importante e avevo con me una bozza di contratto che dovevo sottoporgli su di una penna USB. Sul suo computer la mia penna non era leggibile.
Gli chiesi di aspettarmi, sarei andato a casa a prendere il mio portatile, così tornai nel mio appartamento a metà mattinata, un’ora per me insolita.
Non avevo ancora aperto la porta di casa quando mi accorsi di uno strano trambusto. Entrai e feci due passi verso la camera da letto. In quel momento il mondo mi crollò addosso. Janet, la mia dolce mogliettina con la quale ero sposato da un paio d’anni, era lì nel nostro letto, seminuda e abbracciata al nostro vicino di casa, quel fannullone di Osborne.
* * * *
Fu in quel momento che commisi l’errore peggiore della mia vita, diedi uno schiaffo in faccia a Janet, poi agguantai Osborne per la collottola e lo buttai fuori da casa mia mezzo nudo così com’era.
Potete chiederlo a qualsiasi avvocato matrimonialista: salvo casi del tutto eccezionali, tipo che vostra moglie abbia cercato di uccidervi o ingaggiato un killer per farlo, la nostra legislazione è strutturata in modo da dare sistematicamente ragione alla donna e torto all’uomo.
Quando si arrivò in tribunale a discutere la causa di divorzio, il fatto che fossi vittima di un adulterio diventò una circostanza del tutto accessoria rispetto al fatto che avessi colpito Janet in presenza di un testimone.
La sentenza fu pronunciata con addebito a mio carico. Dovetti lasciarle la casa e passarle un congruo assegno mensile per mantenere il tenore di vita cui era abituata, poi da allora le cose presero ad andare di male in peggio.
La crisi economica, alcuni investimenti sbagliati, qualche cattivo consiglio che ho ricevuto, e da un giorno all’altro mi sono trovato sul lastrico, sapete, quei momenti in cui ci si accorge che gli amici sono come un ombrello che si apre solo quando c’è il sereno.
Capii di essere davvero caduto in basso quando non fui più in grado di pagare l’affitto dell’alloggio dove mi ero trasferito.
Per un po’ di tempo, vissi e dormii in macchina, ci sono molti nuovi poveri, soprattutto ex mariti svenati dagli alimenti che lo fanno, ma quale fiducia può ispirare un brooker dall’aspetto trascurato? A uno a uno persi tutti i miei clienti.
Non ho disceso i gradini della scala sociale, sono letteralmente caduto giù da essa, da un giorno all’altro mi sono trovato senza lavoro, senza casa, senza amici, senza altra prospettiva che quella di diventare un barbone, un vagabondo senza tetto, così decisi di essere un hobo.
Noi viviamo in un’epoca meravigliosa in cui la scienza ha fatto enormi progressi; e la meraviglia delle meraviglie è il volo interstellare.
Le stelle attorno alle quali orbitano mondi abitabili sono distanti dalla Terra e dal sistema solare decine, a volte centinaia o anche migliaia di anni luce.
Nello spazio normale la velocità della luce non può essere superata, e così le stelle ci resterebbero precluse, ma non si possono porre limiti all’ingegnosità della scienza. Il problema è stato risolto sfruttando la curvatura dello spazio.
Praticamente, non sono le astronavi interstellari che si muovono, ma lo spazio che si deforma.
È come se in uno spazio bidimensionale si dovesse andare da una pagina all’altra di un libro: possiamo leggere/andare riga per riga, parola per parola, lettera per lettera, oppure buchiamo la pagina con uno spillo e arriviamo subito alla pagina seguente.
Le astronavi interstellari producono una potentissima deformazione dello spazio a esse circostante, mentre si muovono, in realtà semplicemente esistono in una bolla di spazio-tempo loro proprio.
Non chiedetemi la spiegazione scientifica precisa, io non sono uno scienziato, so che ha qualcosa a che fare con l’espansione dell’universo, con quella che è stata chiamata l’energia oscura. In teoria, si pensava alla fine del XX secolo, che l’espansione cosmica avrebbe dovuto rallentare perché gli effetti dell’esplosione iniziale del Big Bang, sarebbero dovuti essere man mano rallentati dalla gravità, si è visto invece che non è così, e l’espansione cosmica accelera.
Lo spazio è intessuto di un’energia fin allora sconosciuta, ma che può essere sfruttata per deformare alcune porzioni di esso.
Noi hobo odierni non viaggiamo più sui treni merci. Entrare di nascosto in un’astronave è praticamente impossibile, ma questi velivoli interstellari creano una bolla di spazio-tempo attorno a sé che trasporta da un pianeta all’altro tutto quanto contiene per un raggio di alcuni passi intorno alla nave. Bisogna arrivarle il più vicino possibile senza farsi vedere, e restare nascosti, perlopiù sotto un telo mimetico.
Non c’è il pericolo di esplodere come pesci strappati alle profondità marine o di soffocare nel nulla spaziale, perché la nave porta con sé anche un bel po’ di atmosfera e genera la propria gravità.
La transizione da un mondo a un altro è quasi istantanea, ma questo non vuol dire che sia priva di rischi: c’è stata gente che è rimasta tagliata in due, metà sul pianeta di partenza, metà su quello di arrivo, viaggiare in questo modo è sempre una scelta da disperati.
Ricordo quando ho fatto il salto dalla Terra a Opportunity. Mi ero avvicinato all’astronave nottetempo: sembrava un’enorme biglia metallica in cui non si vedevano aperture. Questi veicoli non hanno nessuna necessità di essere aerodinamici.
Prima di tirarmi il telo sulla testa e trasformarmi in quel che sembrava niente altro che un grosso mucchio di terra, mi ero avvicinato fino ad appiattirmi contro di essa.
Anche se a meno di un metro dall’apparecchio si dovrebbe essere ragionevolmente sicuri, non volevo correre rischi inutili. Mi parve strano che non emanasse né rumori né calore di sorta… poi la transizione.
È un’esperienza che si stenta a descrivere, perché non ha metri di paragone. Per un interminabile istante ebbi l’impressione di essere risucchiato, gettato via da me stesso, rivoltato come un calzino, la pelle e i muscoli di dentro, lo scheletro e gli organi di fuori. Certo l’equipaggio e gli eventuali passeggeri della nave hanno fatto un viaggio più comodo del mio.
Il panico passò, mi ritrovai in piedi sul suolo di Opportunity, e mentre la nave si preparava alla seconda tappa, corsi via fino a un cespuglio dove mi nascosi, e piegato in due, vomitai tutto quel che avevo in corpo, anche l’anima.
Passata la nausea mossi i primi passi di quella che pensavo sarebbe stata la mia nuova vita.
Questo mondo noi lo chiamiamo Opportunity, è un segreto che gli emarginati giù sulla Terra si trasmettono con un continuo passaparola, ma di cui le autorità finora non sono riuscite a sapere niente: è un mondo che per qualche errore burocratico è stato classificato come “non terraformabile”, e destinato soltanto a essere una stazione di transito delle astronavi interstellari.
Invece non solo era perfettamente terraformabile, ma grazie ai continui passaggi di astronavi dalla Terra o dai mondi terraformati che ogni volta portavano con sé aria, acqua, suolo, batteri, piante, semi, insetti, piccoli animali rimasti nella loro scia, quando noi hobo l’abbiamo scoperto, era già avvenuto una sorta di terraforming spontaneo.
Gli equipaggi delle navi in transito non possono scoprire niente perché rinchiusi nella bolla di spazio-tempo della nave, non possono vedere né rilevare nulla di quel che avviene all’esterno.
Opportunity, un nome appropriato: poteva essere un’opportunità, una splendida opportunità, ma le cose non sono così semplici, per la verità non lo sono mai.
Passata la prima sensazione di disorientamento e nausea, mi guardai attorno: il fatto di potermi muovere e respirare normalmente senza nessuna protezione particolare come se mi trovassi ancora sulla Terra, era una sorpresa davvero gradevole.
A quei burocrati che coordinano la colonizzazione spaziale devono essere sfuggite moltissime cose per classificare come non terraformabile un mondo con gravità e irradiazione solare simili a quelle terrestri.
La seconda occhiata che diedi al nuovo mondo in cui avevo scelto di vivere, però, fu molto meno invitante: non mi aspettavo il comitato di benvenuto con la banda in testa, tuttavia sembrava che il mio arrivo non avesse destato la minima curiosità.
Tutto attorno a me vedevo una vegetazione selvaggia e arruffata, e a qualche centinaio di metri dal punto in cui mi trovavo, un agglomerato di baracche sconnesse a cui si sarebbe fatto davvero troppo onore considerandolo un villaggio.
Sulla soglia di alcuni di questi tuguri c’erano uomini distesi su amache o vecchie sdraio che si crogiolavano al sole di Opportunity. Alcuni mi rivolsero un’occhiata carica di disinteresse prima di rivolgere lo sguardo altrove. Il mio benvenuto fu tutto qui.
Mi consolai pensando a quanto spazio libero ci fosse, terra su cui costruire un’abitazione, e da coltivare, le opportunità di un intero pianeta.
Bene, a chi me lo chiedesse adesso, direi che non si tratta di un’opportunità ma di una delusione formato gigante.
* * * *
Guardo Kate distesa sul pagliericcio che è forse troppo presuntuoso chiamare un letto. È nuda, non ha indosso nulla che nasconda alcunché del suo corpo. Qualche anno fa doveva essere davvero graziosa, ma adesso è troppo magra, al disotto dei seni si intravedono le costole, il volto e gli zigomi sono un po’ troppo affilati, gli occhi, cerchiati da aloni scuri, hanno le pupille dilatate che sembrano finestre.
Ciò che attira piacevolmente l’attenzione è quasi soltanto la serica pelosità del pube che spicca per contrasto rispetto alla pelle pallida. Ha guardato quello che le ho portato con una certa delusione: patate, fagioli, verdure del mio orto.
Dio sa se avrebbe bisogno di nutrirsi un po’ di più, tuttavia so che avrebbe preferito del fumo, della coca, o magari qualche rara pasticca di ecstasy che, provenendo dalla Terra e non essendo possibile produrle in loco, qui valgono a peso d’oro, ma so che è disposta a concedersi per molto meno di quel che sono in grado di offrirle.
Non c’è nulla di sentimentale in tutto questo, è la semplice soddisfazione di un bisogno fisiologico, e una gratificazione che mi sono voluto offrire prima di abbandonare la trappola di Opportunity.
Qui di donne ce ne sono poche, forse un decimo della popolazione maschile, e sono tutte più o meno come Kate, e che io sappia, da quando sono qui, non ho avuto notizie di una nascita: stanno attente a non avere figli, a mantenere la popolazione più o meno stabile, anche perché c’è una forte mortalità, sono i nuovi arrivi dalla Terra.
Prima di stringerla in un amplesso, non posso fare a meno di abbandonarmi a un pensiero in un certo senso ironico: in fondo, sono più hobo di tutti loro, quanto meno perché ho deciso di affrontare il viaggio una seconda volta, dato che vere opportunità qui non ce ne sono.
Negli strati bassi della scala sociale si trovano, io credo, due tipi di persone molto diversi: quelli che vi sono stati precipitati dalla sfortuna o hanno avuto la disgrazia di nascere poveri e non trovare mai l’occasione di elevarsi, e quelli che, oserei dire, ne fanno parte in modo affatto naturale.
Questi ultimi sono quelli che non sono capaci o non vogliono pensare a lungo termine, che preferiscono la soddisfazione immediata a qualsiasi miglioramento futuro, e spesso la cercano, oltre che nel sesso, nell’alcool o nelle droghe, e direi che sono i maggiormente rappresentati qui su Opportunity.
* * * *
È a questo che sto pensando uscito dalla casa di Kate, dopo averla salutata e aver salutato Opportunity, anche se gli altri non lo sanno.
Mi guardo intorno, l’ambiente ha un aspetto agreste, pacifico, una campagna verdeggiante punteggiata da rade abitazioni collegate da strade che sono sentieri in terra battuta: una visione idilliaca per chi è abituato al cemento cittadino, alla vita convulsa, all’aria inquinata, ma molte di quelle coltivazioni sono di marihuana, hascisch, papavero da oppio e c’è anche un po’ di coca.
Molta, troppa della gente che c’è qui, ciò che serve per vivere preferisce toglierlo agli altri con il furto e la violenza piuttosto che produrlo con la fatica.
Non diventeremo mai una vera comunità, più di quanto lo siano ad esempio un asilo per i senzatetto oppure una prigione. Che io sappia, non ci sono abitanti di Opportunity di seconda generazione.
Di donne, dicevo, qui ce ne sono poche, e quelle poche sono tutte più o meno come Kate: vanno a letto con chiunque, spesso per un boccone di cibo, ma stanno attente a non avere figli.
Opportunity, una bella opportunità sprecata. Qui si vede molto bene cos’è una comunità senza leggi, ne vige una sola, ineludibile, quella del più forte.
È amaramente ironico il fatto che qui si trovi la risposta a un dilemma filosofico che travaglia da secoli la nostra cultura.
Jean Jacques Rousseau attribuiva tutti i mali che affliggono l’uomo alla civiltà, il suo ideale era lo stato di natura, l’uomo perfetto il “buon selvaggio”. Thomas Hobbes era invece di avviso opposto, e diceva che nello stato di natura la vita dell’uomo è “brutale, misera e corta”.
Mi piacerebbe che Rousseau fosse vivo e passasse un po’ di tempo su Opportunity, si convincerebbe che Hobbes aveva ragione, e lui torto.
* * * *
Stanotte tornerò a fare l’hobo, mi attaccherò alla prossima nave in transito verso la Terra. Sono un po’ preoccupato per quella ventina di chili in più che mi porterò dietro, ben stivati nello zaino, rispetto al primo viaggio che ho fatto per arrivare qui, ma è una preoccupazione relativa.
Qui sono arrivati del tutto incolumi individui ben più corpulenti di me. Questo è il mio piccolo segreto che mi sono ben guardato dal condividere con gli altri abitanti di Opportunity.
In un punto del luogo d’attracco delle navi, una di esse deve aver esercitato casualmente un’enorme pressione su della materia organica che per caso si trovava lì.
Forse materia vegetale o animale, chissà, forse addirittura i resti di qualche disgraziato per cui la transizione è stata fatale, non credo che abbia molta importanza ormai. Materia organica, carbonio che casualmente ho riportato alla luce.
Una ventina di chili di diamanti grezzi saranno un buon viatico per ripartire sulla Terra, stavolta col piede giusto.
© Copyright 2020, Fabio Calabrese
Copertina Tratta da Nerd Pop Culture.