Alessandro Bartezzaghi è attualmente co-direttore della Settimana Enigmistica, figlio del ben noto Piero Bartezzaghi di cui ha seguito le orme. Gli altri due fratelli sono Stefano ludolinguista, saggista, che collabora con La Repubblica curando la rubrica “Lessico e Nuvole” e Paolo giornalista a La Gazzetta dello Sport. Tra le cose meno note di Alessandro c’è che si diletta a scrivere racconti brevissimi e poesie riportate per lo più su una pagina di Facebook che ha dedicato ai suoi lettori 2.0, cioè a coloro che non sono necessariamente amici suoi, ma lo conoscono per la Settimana Enigmistica e con cui a lui piace parlare.

Noi ci conosciamo da moltissimo tempo e gli ho chiesto se potevo pubblicare qui un paio dei suoi racconti lampo, Alessandro ha detto che non c’erano problemi ed eccoci qui: mi dice lui che il racconto Vetro è vecchissimo, mentre il racconto Uomo geometrico è molto più recente.

Vetro

Il vetro di una finestra ormai la separava definitivamente dal mondo fuori, pulsante e felice. Vivo. Una tendina logora e tanti, tanti anni sulle spalle. Le gambe ormai non la reggevano quasi più, tanti i rimpianti, tanta la nostalgia. Ormai, era solo tempo di aspettare che finisse. Nessuno che la ricordasse, nessun parente. Solo tanta tristezza e la monotonia di giornate sempre uguali. Poi, un pomeriggio, suonò il campanello, una ragazza dei servizi sociali apparve sulla soglia.

Tutto avvenne in pochi istanti, in un silenzio irreale. Un baluginio verdognolo negli occhi della vecchia, le sue mani strette ai polsi della giovane, una strana, orrenda, piccola proboscide scattata rapidamente dal suo ombelico, a congiungersi con quello della ragazza. I giovani occhi sbarrati, l’improvviso pallore, il tonfo sordo. Davanti al corpo inanimato, una bella ragazza, giovane, il corpo stretto a stento in logori vestiti da anziana.

Strappò la sudicia tendina, con una manata mandò in pezzi il vetro. Oh che bello, e adesso, come prima cosa, andiamo a provare sto bungii-jump o come cazzo lo chiamano


 

Breve storia di un uomo geometrico

Sbucando dallo stretto reticolo di vie medievali, l’uomo si trovò nella grande piazza e osservò con gli occhi sbarrati il tram che -sferragliando- sfilava verso la lontana fermata. Senza neanche connettere il cervello alle gambe, l’uomo scattò all’inseguimento dell’elettrico biscione. E mentre rincorreva quei finestrini illuminati, con il fiato già corto dopo la terza falcata, forse per lo scarso ossigeno che giungeva alla sua massa cerebrale già affaticata si trovò a sua volta inseguito da strani pensieri sulle coniche. La parabola, una bella parabola rovesciata che gli ricordava come la sua velocità avrebbe avuto un veloce picco e poi sarebbe inevitabilmente decresciuta. La parabola della sua vita, ormai inevitabilmente avviata giù verso i valori negativi, come la velocità che pian piano stava calando. E l’iperbole, l’iperbole di quella corsa sfrenata senza pensieri. Sì, si sentì un’iperbole: il tram era l’asintoto e lui proprio non riusciva a beccarlo, si avvicinava eh…ma non riusciva a pigliarlo.

Finalmente giunsero alla fermata, l’elettrico e l’umano. E l’uomo riuscì a salire sul tram temendo l’enfisema improvviso. Mentre cercava di recuperare il fiato in maniera discreta, senza dare a vedere agli astanti il mantice impazzito che in quel momento gli si agitava sotto il cappotto, venne folgorato dal pensiero dei suoi piedi che descrivevano una traiettoria circolare nella corsa, ma un osservatore esterno avrebbe visto il punto spostarsi parallelamente al terreno, oltre che in circolo…. Uffa, come si chiamava la curva descritta ecc… sì, è la cicloide.

L’uomo giunse a casa, trascorse la sua tranquilla serata a strappare un sorriso ad amici lontani.

La notte però fu tormentata, l’uomo di rigirava nel letto e si sentiva una di quelle curve irregolari con tante pance, di quelle che al liceo lo facevano impazzire negli studi di funzione. Sì, perché il suo corpo si ostinava a restare tangente al materasso in pochi punti, solo in due o tre punti. Per quanto si girasse e rigirasse, il corpo era tangente alla retta del materasso solo in alcuni punti, aspetta cosa ci voleva per calcolare il punto di tangenza… uhm dicevo “integro e derivo”… e intanto il materasso restava una retta, e il suo corpo restava tangente come un palloncino contro un soffitto.

La sveglia lo sorprese in un sonno spezzato, come certe linee frattali. Sbuffò. Mise i piedi a terra. Si alzò e constatò con un certo terrore qualcosa di strano. Ah, alta letteratura, tu trasformi Gregor Samsa in uno scarafaggio, al risveglio. Qui, ahimè, di ben più bassa levatura è la nostra storia. Altro che scarafaggio.

Quell’uomo, quella mattina, si alzò e constatò con stupito sconcerto che la sua schiena restava caparbiamente parallela al terreno. Quella mattina di novembre, l’uomo si svegliò e si era trasformato in un angolo retto.

(ambulante)