Filippo era proprio sfortunato in amore. E definire “amore” i suoi fallimentari approcci all’universo femminile è davvero un’esagerazione. Non arrivava mai neanche ad avvistarlo da lontano il sentimento tanto anelato! Rimaneva deluso prima.
La sera precedente, l’aitante ventenne, a una festa dell’ateneo, aveva avvistato una creatura celestiale vicino al tavolo del buffet. Ma le sue leggiadre e principesche sembianze erano nulla a confronto dell’eleganza con cui degustava i cetriolini sottoceto. C’era qualcosa di regale nel gesto dello schiudere i dentini candidi, nel masticare impercettibilmente, come se l’ortaggio cucurbitaceo si dissolvesse, sciogliendosi nella soave bocca.
Con lentezza strategica, senza dare nell’occhio, Filippo si era avvicinato all’oggetto della sua nobile attrazione, pronto a rivolgerle un raffinato complimento. Arrivato ormai a pochi centimetri da lei, aveva udito la melodiosa voce della fata, che stava parlando con un’amica: «Sono tutta sudata fradicia come se sarei una cavalla bolsa!».
Filippo non le rivolse mai la parola.
Mentre raccontava l’accaduto al portinaio Leandro, il ragazzo scrollava le spalle scoraggiato.
«Ma cosa ti ha scioccato? Il sudore o l’immagine poco romantica della cavalla bolsa?», gli domandò il portinaio alieno.
«Mi ha scioccato quel ‘se sarei’. Se avesse detto ‘come se fossi’ l’avrei amata anche sudata, anche cavalla e perfino bolsa! Ma se una mi sbaglia un congiuntivo è la fine».
Leandro consolò come poté il povero studente.
Più tardi raccontò tutta la storia – non per spettegolare, s’intende, ma per condividere le sue preoccupazioni – alla zia di Filippo, maestra in pensione.
La signora Elsa non lo lasciò neanche finire: il nipote le aveva già confidato tutto, e lei si sentiva molto in colpa! Dalla descrizione aveva riconosciuto la principessa sgrammaticata: era la figlia del prof. Zoccoli, ed era stata sua allieva.
«Capisce, signor Leandro? Sono io la responsabile del misfatto! La bambina mi fece lo stesso errore in un tema del 23 maggio 2003 e io non fui abbastanza severa. Scrisse ‘Mi piace correre sui prati come se sarei una cavalla’. Il tema era bello, sognante e bucolico: le misi ugualmente un bel voto. Se mi fossi arrabbiata, ora la ragazza saprebbe usare i congiuntivi, e Filippo avrebbe una fidanzata».
La mattina seguente era domenica, Leandro era libero di mettere in atto il suo piano. Sapeva che era proibito da qualche legge universale di misteriosa origine, sapeva che non doveva cambiare il passato, sapeva che stava per commettere un atto probabilmente inconsulto pericolosissimo, ma doveva aiutare Filippo: avrebbe rischiato.
Si accomodò con determinazione sul sellino della sua cyclette tempo-cinetica e pedalò fino al 23 maggio 2003.
Intercettò la giovane Elsa all’uscita da scuola e l’abbordò. Non aveva pensato esattamente a cosa dirle, ma seppe improvvisare sfoggiando il più radioso dei suoi sorrisi extraterrestri: «Buongiorno, signora, la sua criniera è bella come se FOSSE una cavalla!».
Leandro aveva sottolineato “fosse” perché le rimanesse impresso questo sentore di congiuntivo, associato al complimento. Elsa doveva letteralmente innamorarsi del congiuntivo e diventare intollerante verso chi lo straziava.
Magari qualche maestra meno sensibile alla grammatica si sarebbe offesa nel sentirsi paragonare ad un’equina. Elsa, invece, scosse orgogliosa e lusingata la sua vaporosa capigliatura nera, mentre Leandro ripeteva: «Come se FOSSE una cavalla. Come se lo FOSSE». Intanto la fissava con i suoi occhi ipnotici.
La maestra lo ringraziò e s’allontanò, tenendo sotto il braccio i temi da correggere. Arrivata a casa, avrebbe affibbiato un 4 alla figlia del dottor Zoccoli. Il giorno dopo le avrebbe inculcato per sempre il senso della grammatica, dell’ortografia e del lessico forbito.
Leandro tornò nel presente, fiducioso di aver rimediato alla vita sentimentale di Filippo.
Invece, la mattina seguente, lo trovò in lacrime nella guardiola.
«Ragazzo mio, cosa ti succede? Che fine ha fatto la principessa che hai conosciuto l’altra sera?», gli chiese l’alieno.
«Ma cosa dici, Leandro? Non ti ricordi già più? Te l’ho già raccontato: la volevo stringere a me e baciare con ardore, mescolando il mio respiro al suo, ma ho sentito che diceva: “Sono leggermente madida come se fossi un’agile puledra baciata dalla rugiada”. Ti rendi conto? Troppo! Troppo raffinata per me. Ho rinunciato a rivolgerle la favella».
Quella sera Leandro portò la cyclette in soffitta e la coprì bene con un telo di plastica.