Storia della Fantascienza 1 è un frammento giunto fin qui, dopo un incidente di computer subito da Fabio Calabrese: “Della mia Guida alla fantascienza per argomenti, non si è salvato quasi niente. Inizialmente solo questo articoletto superstite poi, a oggi, ho faticosamente recuperato altri due articoli” In realtà al momento abbiamo tre articoli della sezione “Che cos’è la fantascienza” di cui questo è il primo. Gli altri sullo stesso argomento appariranno il giorno 7 maggio e il 21 maggio. Poi, Fabio ha recuperato anche qualche altra chicca, che vi presenteremo in seguito.

Da quando la fantascienza esiste, di definizioni del genere fantascientifico, ne è stata data una quantità notevole.

Storia della Fantascienza 1: Isaac Asimov

Isaac Asimov

Fra le tante, una delle più comprensive e che può essere uno strumento per ulteriori approfondimenti, è quella data da Isaac Asimov (che cito a memoria), la fantascienza è quel genere letterario che nasce dalla curiosità, alla quale si può rispondere solo con l’immaginazione, su come sarà il mondo dopo la nostra morte.

Questa definizione implica parecchie cose, prima di tutto, evidentemente, che il mondo cambia, in secondo luogo che questo cambiamento, o perlomeno i cambiamenti che ci interessano e possiamo in una certa misura prevedere, non avvengono del tutto a caso, ma in una direzione precisa, orientata dal progresso scientifico e tecnologico.

Aggiungo subito che non è detto che questi cambiamenti siano necessariamente positivi; ad esempio, possiamo immaginare che lo sviluppo scientifico metta nelle mani di un futuro regime totalitario degli strumenti raffinatissimi per il condizionamento delle persone, oppure possiamo cercare d’immaginare le conseguenze ultime in termini di devastazione del nostro pianeta a causa dell’inquinamento, effetto collaterale dello sviluppo tecnologico e industriale; molti romanzi e racconti di fantascienza trattano situazioni di questo genere.

Storia della Fantascienza 1: Stanley Kubrick

Stanley Kubrick

L’epoca in cui viviamo è un’epoca tecnologica, ma qualsiasi era nella storia umana lo è stata. Il primo indizio certo della presenza del primo barlume di umanità in una creatura antropoide, è stato probabilmente quando questi ha cominciato a scheggiare un osso o un sasso per praticarvi un bordo tagliente, atto ad uccidere una preda.

L’uomo è nato insieme con lo strumento, ossia qualcosa che in natura non esisteva, e creato da lui per modificare l’ambiente a proprio vantaggio ed aumentare le sue possibilità di sopravvivenza. Questo concetto è stato splendidamente illustrato nella famosa scena di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrik dove si vede il femore lanciato dall’ominide come arma trasformarsi nell’astronave lunare.

Se in definitiva ogni epoca della storia umana è stata un’età tecnologica, perché nascesse la fantascienza come genere letterario, occorreva qualcosa di più, era necessario che i cambiamenti tecnologici, l’accumularsi di invenzioni capaci di cambiare i modi di vivere, di lavorare, i rapporti sociali e politici, le manifestazioni dell’arte e della cultura, si facessero così rapidi da essere avvertibili nell’arco di una vita umana, e che si riconoscesse che la tecnologia, guidata dalla ricerca scientifica, è il motore di questi cambiamenti, e questo è avvenuto precisamente a partire dalla rivoluzione industriale.

Non era semplicemente possibile che nascesse un genere fantascientifico fino a che tecnica, le disprezzate (un tempo) “vili arti meccaniche” e l’indagine scientifica hanno percorso cammini del tutto separati. Non è un caso che il primo romanzo che si può riconoscere come realmente fantascientifico, il Frankenstein di Mary Shelley sia stato scritto poco dopo gli albori della rivoluzione industriale, e precisamente da un’inglese.

Se andiamo ad esaminare questo romanzo, vediamo che il tema della creazione artificiale della vita non è nuovissimo, era già stato anticipato dal mito di Pigmalione e dalla leggenda del Golem; l’elemento veramente nuovo è che la scienza ha sostituito l’intervento divino o la magia.

Nell’universo della creazione letteraria, gli effetti della magia e quelli della scienza possono non sembrare molto differenti. Gli uomini hanno immaginato da sempre cose possibili e cose impossibili, ed accanto alla fantascienza esistono ancora oggi generi narrativi d’immaginazione che vanno dalla fiaba al fantasy, all’horror.

La differenza fra la fantascienza e questi ultimi è data dal fatto che se la fantascienza non tratta di cose reali qui e ora, essa ci parla comunque di ciò che sarà possibile un giorno o che, grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico, potrebbe diventarlo.

Uno dei pregiudizi più radicati della nostra cultura, che risale all’età romantica, tende a porre in contrapposizione creatività e razionalità. Se questo assunto fosse vero, un genere letterario fantastico basato sull’estrapolazione scientifica sarebbe una contraddizione di termini; ma dirò di più, occorre fare un confronto fra la fantascienza e gli altri generi fantastici per capire quanto esso sia falso.

Storia della Fantascienza 1: John Locke e l'etica della comunicazione

John Locke

Ci potremmo aspettare che, sganciata dall’apporto del pensiero scientifico che da qualcuno è visto come una limitazione, come una pastoia, la fantasia sia in grado di sbizzarrirsi libera in ogni direzione. Idea assolutamente errata: l’immaginazione è sempre una rielaborazione, non importa quanto sottile e sofisticata, dei dati fornitici dall’esperienza, ed a questo riguardo le tesi filosofiche di John Locke non hanno mai trovato una smentita, e andando ad esaminare i generi fantastici diversi dalla fantascienza e non a base scientifica, se ne trova ampia conferma.

In essi si trovano rimescolati come in un gioco di carte nelle più svariate combinazioni sempre gli stessi elementi: orchi, draghi e principesse nelle fiabe, spadaccini, mostri e spadaccini in lotta con mostri nel fantasy, streghe, spettri e vampiri nell’horror; nulla in ogni caso, che sia nemmeno lontanamente paragonabile alla vastità ed alla complessità d’ideazione consentita dalla fantascienza. La razionalità scientifica non è una gabbia che imprigiona; al contrario, è una ringhiera appoggiandoci alla quale possiamo salire la scala della libertà immaginativa.

Storia della Fantascienza 1: John W. Campbell

John W. Campbell

John W. Campbell che fu, oltre che scrittore lui stesso, direttore di una delle più importanti riviste di fantascienza americane degli anni ’30, “Astounding Science Fiction” e scopritore della maggior parte degli autori che diedero vita alla cosiddetta “età d’oro” fantascientifica, a cominciare da Isaac Asimov, diceva che la fantascienza ha rispetto agli altri generi fantastici l’immenso vantaggio di essere una letteratura si fantastica ma plausibile. Le meraviglie del possibile è anche il titolo di una serie di antologie di fantascienza pubblicate dalla Einaudi dagli anni ’70 ad oggi, curate prima da Carlo Fruttero e Franco Lucentini, poi da Sergio Solmi, e raramente un titolo è stato più azzeccato.

Gli autori di fantascienza americani hanno coniato una parola, mainstream, “corrente principale” per indicare quella che da noi in Italia definiremmo “la letteratura realistica”, o per molti “la letteratura” tout court. Questo termine non è dispregiativo ma non ha nemmeno le connotazioni positive che di solito si associano a “realismo”. Hanno torto? La letteratura “realistica” è davvero più realistica della fantascienza? In poche parole, il “qui e ora”, la presunzione che le cose continueranno ad andare sempre come sono sempre andate è davvero realismo?

Questo tipo di realismo dettato dall’abitudine ci dice ad esempio che è impossibile che la nostra vita e tutto ciò che ci circonda possano essere radicalmente sconvolti nel giro di un quarto d’ora; ebbene, ciò è perfettamente possibile, si pensi ad esempio all’improvviso scatenarsi di un conflitto nucleare su larga scala.

Numerosi romanzi di fantascienza, dal classico L’ultima spiaggia di Nevil Shute al sarcastico Dottor Stranamore di Peter George si sono confrontati con quest’agghiacciante possibilità, ed è bene preoccuparsene per tempo. Oggi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della guerra fredda, questa tematica ha perso di attualità per motivi politici, ma la possibilità tecnica della distruzione di massa rimane, e non è detto che in futuro non possa ripresentarsi la situazione che abbiamo vissuto gli scorsi decenni, intanto rimane drammaticamente aperto il capitolo delle catastrofi ambientali.

Si può pensare che nessuna delle apocalissi né delle palingenesi annunciate dalla fantascienza sia destinata a presentarsi in futuro, e che le cose continueranno ad andare come sono sempre andate, ma il fatto è che non esiste un modo in cui le cose sono sempre andate!

Basta guardarsi un po’ indietro per capirlo. Venti o trenta anni fa, per fare un esempio, la modifica programmata del patrimonio genetico degli esseri viventi era una remota possibilità teorica.

Oggi ci preoccupiamo degli effetti pericolosi per la nostra salute che potrebbero avere gli alimenti derivanti da organismi geneticamente modificati che arrivano sulle nostre tavole, oppure pensiamo a come l’informatica ha cambiato il nostro modo di lavorare, il tempo libero, l’istruzione, le relazioni umane e sociali.

La fantascienza non è una trattazione profetica del futuro che ci aspetta (anche perché molte sue “profezie” poi non si realizzano) ma perlomeno può aiutarci a comprendere che viviamo in un mondo in continua trasformazione sotto l’impatto del progresso scientifico e tecnologico, quello che il critico Carlo Pagetti ha definito Il senso del futuro, che è anche il titolo di un suo noto saggio.

Questo non deve portarci però a negare qualsiasi valore alla letteratura mainstream; semplicemente, mainstream e fantascienza si rivolgono a due piani diversi. Nel suo saggio “Philip Dick e l’ombrello di luce”, il critico Angus Taylor riporta questo giudizio di Willis E. Mc Nelly e Leon Stover:

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Nella narrativa realistica, il giudizio riguarda le qualità dell’individuo che nascono dallo svilupparsi dell’ego individuale come creatura dotata di valori etici o priva di essi.

Le implicazioni sono di natura privata: “posso diventare una persona migliore?”. Nella fantascienza invece il bersaglio del giudizio è l’uomo come creatura dalle usanze e abitudini condivise da tutta la specie: la cultura, insomma, è intesa come nel linguaggio della sociologia e dell’antropologia.

Le implicazioni diventano allora di indirizzo sociale: “le qualifiche della civiltà servono adeguatamente la natura umana?”.

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La fantascienza è un genere letterario che cerca di analizzare e di anticipare le implicazioni del progresso scientifico e tecnologico a livello sociale, antropologico, storico, ma è prima di tutto una letteratura, non una forma di divulgazione scientifica, e, come tutta la letteratura, pone al suo centro l’elemento umano, l’uomo con i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi problemi; per conseguenza è ovvio che non tutti i rami dello sviluppo scientifico offrono le stesse possibilità di prestarsi a sviluppi letterari e narrativi.

La fisica delle particelle, ad esempio, è uno dei rami della ricerca scientifica nella quale negli ultimi decenni vi sono stati i maggiori progressi, ma essa si riferisce ad un orizzonte di dimensioni subatomiche che non ha alcun rapporto con l’esperienza umana diretta, essa ha dato ben pochi o nessun contributo allo sviluppo della fantascienza come narrativa.

Fra tutti i rami dello sviluppo scientifico e tecnologico, senza dubbio, quello che ha finora presentato le maggiori suggestioni ed i maggiori spunti narrativi, è l’esplorazione spaziale, ed è facile comprendere il perché: la tendenza all’esplorazione e all’avventura è forse profondamente insita nell’uomo, è la molla che ci ha portati a dominare il pianeta nel quale viviamo, ma una volta raggiunti i limiti fisici del nostro mondo, essa non può trovare sfogo che nella proiezione (per ora prevalentemente se non esclusivamente fantastica e anticipatoria) fuori di esso.

Non è certo un caso che il presidente John Kennedy avesse coniato l’espressione, poi divenuta popolarissima, di “nuova frontiera” a proposito della conquista dello spazio, prospettando l’idea che lo spazio potesse diventare per l’umanità del futuro quel che “la frontiera”, il Far West, era stato nella storia degli Stati Uniti.

L’avventura spaziale non è tutta la fantascienza: accanto a essa vi sono numerose altre tematiche: dai viaggi nel tempo alle storie di robot, all’intelligenza artificiale, alle varie utopie e distopie (utopie negative) sociologiche, alle catastrofi ambientali e post – nucleari, ma senza dubbio costituisce la parte quantitativamente maggiore della fantascienza, al punto che è assai arduo pensare al genere fantascientifico senza di essa.

E qui, appunto, cominciano i problemi, perché se la fantascienza deve essere un genere di narrativa plausibile che non ci parla della realtà immediatamente presente ma di ciò che è possibile avvenga in un futuro più o meno prossimo, non è possibile non tenere conto delle conoscenze scientifiche più aggiornate di cui disponiamo, ed esse ci dicono che il sogno dell’espansione umana nello spazio deve essere drasticamente ridimensionato rispetto a quanto era possibile pensare ottanta o settanta anni fa.

La luna, oggetto delle speculazioni avveniristiche di Verne e di Wells, è stata raggiunta dall’uomo nel 1969, e sappiamo bene che è un ciottolo cosmico buttato nel nulla degli spazi, priva di vita, di atmosfera e di acqua;

Mercurio è un enorme sasso calcinato dal sole, al quale è fin troppo vicino, come Venere che ha un’atmosfera di gas velenosi e una temperatura al suolo di 500 gradi centigradi;

Marte ha un’atmosfera tenuissima, composta peraltro di idrogeno, metano e ammoniaca e una temperatura media di 15 gradi sotto zero e tutti gli altri pianeti del sistema solare sono degli inferni bui e gelati, come il gigantesco Giove, in cui troviamo pressioni da schiantare in pochi secondi qualsiasi struttura che l’uomo potesse costruire.

In tutto il sistema solare all’infuori della Terra non si trova né vita, né acqua allo stato libero né aria respirabile, neppure un batterio, ma al più qualche aminoacido vagante, perché  tutti, tranne la Terra, si trovano alla distanza sbagliata dal sole.

È probabile che nell’universo esistano mondi abitabili e forme di vita diverse da quelle che conosciamo. Data la sua stessa vastità, tutte le condizioni possibili, comprese quelle adatte al prodursi della vita, devono essere presenti da qualche parte: una vita che non è detto abbia seguito ovunque linee evolutive analoghe a quelle terrestri e altrove potrebbe aver dato vita a forme per noi inimmaginabili.

Fra queste vi potranno essere, e certamente sarà così, anche forme intelligenti che possono aver prodotto civiltà elevate, magari più avanzate dal punto di vista tecnologico di quanto lo sia la civiltà umana; c’è un problema, però, le distanze interstellari.

L’universo è grande, al punto che è lecito ipotizzare che tutto ciò che possiamo concepire, purché non sia impossibile, debba pur esistere da qualche parte, ma per la nostra limitata scala umana è troppo grande.

Proxima Centauri

Proxima Centauri

La stella più vicina a noi, Proxima Centauri si trova “soli” a quattro anni luce e mezzo di distanza, il che significa che la luce emessa dal nostro sole per raggiungerla impiega quattro anni e mezzo pur viaggiando alla considerevole velocità di trecentomila chilometri al secondo.

Naturalmente, che proprio la nostra dirimpettaia abbia pianeti abitabili dall’uomo, o in generale adatti alla vita, sarebbe un colpo di fortuna sul quale è meglio non fare affidamento.

Una supposizione ragionevole che non fa troppo affidamento sulla buona sorte stima che vi possa essere un altro pianeta colonizzabile o abitato da creature senzienti in un raggio di cento anni luce.

Cosa significa ciò in concreto? Secondo la teoria della relatività di Einstein, ogni volta che un corpo riceve un’accelerazione, vi è un incremento sia della velocità sia della massa. Per velocità molto basse, lontane da quelle della luce, l’incremento della massa è del tutto trascurabile, ma man mano che ci si avvicina alla velocità della luce, ogni ulteriore accelerazione va ad incrementare sempre più la massa e sempre meno la velocità, e questo è un limite per ogni tecnologia concepibile.

Non dipende dalla nostra arretratezza tecnica, ma dal fatto che l’universo è proprio formato così com’è.

Si calcola che il limite raggiungibile da un corpo macroscopico, che non è esattamente un fotone, sia di circa un ventesimo della velocità della luce; a questa velocità pur sempre ragguardevole, che consentirebbe di percorrere cinque volte la lunghezza dell’Italia in un secondo, un’ipotetica astronave impiegherebbe novant’anni per raggiungere Proxima Centauri e duemila anni per arrivare ad una stella posta a cento anni luce da noi.

Come ho detto, questo non è un limite solo per la nostra tecnologia (che per il momento è assai lontana dal poterci spedire da Trento a Palermo in un quinto di secondo), ma per qualsiasi tecnologia concepibile.

Il discorso varrebbe anche per una possibile civiltà extraterrestre magari molto più avanzata della nostra. Una constatazione che toglierebbe credibilità all’idea della colonizzazione galattica e alle fantasticherie su “incontri ravvicinati” di presunte civiltà extraterrestri, rendendo estremamente dubbia tutta la tematica ufologica.

Però gli scrittori di fantascienza sono ingegnosi e testardi e hanno escogitato varie soluzioni per abbreviare l’interminabile “pista delle stelle”.

Hanno pensato ad esempio che si potrebbe sfruttare la curvatura dello spazio – tempo (se lo spazio è curvo, potremmo immaginarlo come un foglio di carta arrotolato; due punti che sul foglio steso nelle due dimensioni sono notevolmente distanti, potrebbero venire a contatto piegando il foglio). Oppure si potrebbero utilizzare i buchi neri come “tunnel spaziotemporali.”

Ci sono solo due problemi: i buchi neri che abbiamo individuato non sono più vicini a noi delle stelle più prossime, e un buco nero ha un’attrazione gravitazionale enorme: un oggetto che passasse nelle sue vicinanze e ci  cadesse dentro, finirebbe stritolato.

L’unica soluzione che sembra in qualche modo praticabile è forse quella delle “astronavi generazionali” o “arche stellari”; astronavi delle dimensioni di un asteroide, in pratica piccoli mondi autosufficienti destinati a viaggiare nello spazio per generazioni, fino al raggiungimento della meta.

A ogni modo, non solo per motivi di plausibilità scientifica, ma anche perché si tratta di un filone intensamente sfruttato negli scorsi decenni, l’avventura spaziale classica, che agli occhi dei profani si identifica con la fantascienza stessa, appare un po’ in decadenza.

In compenso, i più recenti sviluppi della scienza e della tecnologia sono venuti ad aggiungere nuove tematiche al genere fantascientifico.

Fra queste quelle che promettono gli sviluppi più interessanti, sono l’informatica, con la creazione di quella che si può già cominciare a chiamare intelligenza artificiale, la creazione di una realtà virtuale e i progressi della biologia molecolare, dell’ingegneria genetica, con la possibilità di creare forme di vita del tutto nuove..