In quell’estate tropicale nella pianura padana i bollettini on line del meteo erano diventati pane quotidiano. Il tutto faceva il paio con le notizie di animali che scendevano a valle, lupi e cinghiali avvistati i primi nei boschi delle golene del Po e i secondi nei parchi delle città del centro Italia.

In quel sabato di calura estiva con minaccia di pioggia e grandine almeno secondo i siti meteo, Lara Tomi e Francesco Carelli non avevano rinunciarono alle loro gita in Bike. Da quando erano una coppia, la loro passione per l’escursionismo in bike era diventata una costante fissa, la loro passione era nata attorno alla biciletta da montagna. Partirono la mattina equipaggiati di tutto punto. L’intento era risalire il corso del Po e dormire nella baita di amici. Itinerario che avevano fatto diverse volte. Avevano commentato sorridendo assieme agli amici, davanti a una pizza le notizie di queste invasioni di animali selvatici.

La prima sosta arrivò a mezzogiorno nei pressi di un punto bici. Il primo a fermarsi Francesco appoggiò la bicicletta alla staccionata di legno. Al di là, il fiume scorreva lento nella bassa dei pennelli. Nel piccolo bar in legno accanto c’erano solo poche persone.

“Vado a prendere qualche bottiglietta d’acqua e due panini.”

“Si è meglio tenere la scorta per la sera in baita,” rispose Lara “Vai pure tra un poco ti raggiungo, rimetto in pressione la gomma.”

Francesco si avviò verso la piccola piazzola. Il sole era ancora altro velato da qualche nuvola. Oltrepassò l’entrata, al bancone una signora di mezza età stava servendo un caffè. Il locale all’interno era tutto in legno tavoli sedie e pavimento, le pareti, orante da quadri di scene di caccia e pesca. A un tavolo qualcuno giocava a carte. Nell’angolo vicino alla finestra, impegnati in una partita a scacchi, due uomini, uno calvo dal volto scavato e l’altro dai capelli brizzolati, volto solcato dalle rughe, indossava un paio di occhiali con una montatura in osso.

“Buongiorno desidera?” chiese gentilmente la donna.
“Vorrei due panini e da bere,” in quel momento entrò Lara.
“Va bene come li volete?” allungò il menù a Francesco.
“Ci sediamo e scegliamo.”

“Fate pure.” S’accomodarono a un tavolo a lato dell’entrata, sulle loro teste, un grosso quadro, con un cacciatore, il suo cane, seduto su un ceppo con un cinghiale appena ucciso. Non ci volle molto per le ordinazioni. Le conversazioni nel punto bar proseguivano.

“Ecco ti ho battuto un’altra volta,” la voce era dal tavolo delle carte, un tipo con baffetti e capelli lisci, lasciò andare sul tavolo un asso.

“Certo che ti gira bene,” rispose l’altro.

“Hai letto stamattina il giornale, certo che è proprio cambiato tutto, i cinghiali invadono le città e i lupi scendono valle.”

“Be questa zona è sempre stata così anche nei tempi passati, i lupi d’inverno scendevano a valle e per i pastori erano guai”

“Già ma qua siamo in estate…”

“E se la preda non fossero le pecore,” interruppe lo scacchista calvo.

“Guardi, troppi film horror,” rispose l’avversario sorridendo.

Nel frattempo, Lara e Francesco avevano finito i panini.

“Signora,” chiese Francesco, “quanto le dobbiamo?”

“Sono 13 Euro” la donna alzò lo sguardo oltre le finestre.

“Vedo che siete in Bike nel precorso del parco!” disse.

“Si” intervenne Francesco “Siamo diretti alle chiaviche abbiamo la baita di un amico, sul confine del bosco di golena. Li passeremo la notte poi risaliremo verso il Lago”

“E molto lunga “intervenne lo scacchista brizzolato.

“Si, sono previsti temporali in serata perciò dobbiamo sbrigarci.”

“Avete letto che sono stati avvistati Lupi in quella zona,” intervenne il calvo. “Quando sono affamati sono pericolosi.”

“Va bene ma gli animali hanno paura dell’uomo.”

“Non l’orso in Trentino,” aggiunse la barista.

 Lo sguardo del calvo incrociò quelli di Lara e Francesco, un ghigno gli attraversò il volto. Poi tornò alla scacchiera

“Allora muovi,” ribadì l’avversario “la prossima volta mettiamo l’orologio”. Afferrò l’alfiere e mosse “Scacco per il momento.”

 L’altro alzò lo sguardo silenzioso, mosse parando la minaccia

Uno strano silenzio scese nel locale. La donna accennò un sorriso

“Scusate non volevo spaventare nessuno, era solo una battuta.”

“Di nulla signora “Concluse Francesco allungo i soldi, in cambio del resto. Una volta usciti salirono in sella alle bicilette, lasciando alle spalle l’atmosfera del bar, fredda nonostante i 30 gradi.

Il fiume scorreva lento, mentre la campagna verde sembrava addormentata. Il paesaggio era un susseguirsi di cascine vuote, un tempo Corti abitate da famiglie, formavano piccole comunità attorno alla casa padronale centrale, costruzioni secolari vuote da anni, cadenti invase dall’edera, il terreno ridotto a monocultura. Il tutto si alternava con gli edifici del consorzio di bonifica, Manieri di archeologia industriale di un altro tempo, custodivano le idrovore, per il governo delle acque. La zona dell’intersezione dei due fiumi si stava avvicinando. La giornata stava andando verso il tramonto. Dopo l’ultima sosta pomeridiana, Francesco e Lara si avviarono verso l’ultimo balzo che li avrebbe portati alla baita. Mentre il sole stava per lasciare posto alle nubi. Sul sito meteo del cellulare era prevista pioggia con temporali al tramonto. Era meglio arrivare alla baita, quanto prima.

Le nubi si facevano sempre più minacciose, sullo scorrere del fiume una serie di colori, inondavano la pianura, una grossa isola scura con lampi che tagliavano i cirri, era sull’orizzonte a nord del fiume. Il sole stava tramontando sul verde della pianura. Un vento forte agitava i pioppeti trasportando fogliame ovunque.

“Sembra che si metta al peggio “disse Francesco intento a spingere sui pedali mentre le folate gli tagliavano il volto.

“Già forse è meglio fermarsi.”

“Non piove ancora; arriviamo a quella cascina,” indicò una casa di campagna abbandonata in golena. Mancava ancora quasi un chilometro. Entrambi si affrettarono sui pedali. Il sole sparì, come se fosse scesa la notte, iniziò a piovere in modo violento, acqua gelida mista a grandine, chicchi che galleggiavano nel vento come noci. Arrivarono a porticato della casa nel grosso del fortunale. Fu come una liberazione.

“Appena in tempo,” disse Francesco.

“Un altro poco e questa gradine ci avrebbe fatto male,” rispose Lara

I granelli di ghiaccio si infrangevano come proiettili contro le pareti dello stabile che una volta era una stalla. Uno entrò sotto il porticato e ribalzò sul terreno: era grosso come una palla da tennis.

“L’abbiamo scampata bella.” Un altro colpì una colonna entrando per una fessura finendo a pochi centimetri da Lara accompagnato da una saetta e un tuono fragoroso.

“È meglio se entriamo nella stalla, saremo al riparo.” Oltrepassarono la soglia di una porta in legno, di cui era rimasta una sola anta. Il vano era molto più riparato le finestre avevano qualche pezzo di vetro tra le inferiate, dove batteva la grandine. L’ambiente era abbastanza sgombro. Portarono le bici all’interno sedendosi su una panca, nella posta, un tempo avevano dimorato vacche da latte.

“Aspettiamo qua poi con il buio proseguiamo, arriveremo alla baita prima di mezzanotte.” Un’altra tuonata scosse l’ambiente, con una folata di vento e grandine, che s’abbatté contro l’edifico, poi tuonò ancora. A quel punto, un lungo latrato si inserì coprendo il tutto.

“Hai sentito,” Lara alzò gli occhi verso la finestra.

“Si un povero cane sorpreso dalla tempesta”

“Pure gli animali soffrono in questi casi,” concluse Lara.

Il fortunale terminò con il suo carico di distruzione misto a pioggia e grandine. Il sole stava tramontando e sarebbero arrivati alla baita con il buio. Si rimisero in viaggio. In una notte limpida di Luna piena. Il satellite era un disco giallo lucente, attorniato dalle stelle. Lontano sulla strada le luci di auto di un traffico serale. Il silenzio era rotto dal gracchiare degli insetti notturni. Giunsero in prossimità della baita. La casetta si trovava accanto al palazzo della chiusa. C’era da percorrere un piccolo sentiero alberato, sullo sterrato, pozzanghere formatesi grazie alla pioggia e al fogliame misto ai sassi portati dal recente temporale.

“Finalmente siamo arrivati,” sospirò Lara.

“Si non vedevo l’ora,” scesero dalle biciclette e si incamminarono a piedi verso la baita. A metà del sentiero sterrato, il silenzio tornò a regnare, il gracchiare degli insetti, smise di colpo.

“Che strano…” notò Francesco.

“Be a volte accade,” replicò Lara.

Ancora il latrato già sentito nella cascina abbandonata. Questa volta molto più nitido. Dal folto del pioppeto adiacente, una sagoma pelosa comparve all’improvviso, era un lupo di dimensioni enormi. Aveva occhi lucenti e denti aguzzi, pelo nero e lungo. La coppia non ebbe tempo di reagire, Lara fu la prima ad essere aggredita fiotti di sangue schizzarono sullo sterrato. Francesco lasciò la bicicletta cercando di correre da lei, i denti della bestia che si accanivano sul corpo della donna facendolo a pezzi, il mostro, si girò verso di lui ustolando, con un balzo gli era già addosso, percepì il dolore delle zanne contro la carne, i suoi urli si confondevano con i latrati del lupo. Tutto finì in una giostra di immagini del bar dove avevano sostato, poi la cascina, dall’aggressione… si ritrovò in un letto di ospedale…

Alzò lo sguardo di fronte a lui la sagoma di una giovane infermiera.

“Si è svegliato finalmente,” sorrise.

“Dove sono? Dov’è Lara?”

“In ospedale… le andata bene,” si guardò le braccia erano piene di striature. “Alla sua compagna è andata peggio”

“Dove si trova?”

“Questo glielo faccio dire dal dottor Conti.”

La porta si apri ed entrò un uomo in camice bianco, scuro di capelli sui quarant’anni, con occhiali da vista.

“Buongiorno come sta?”

“Dov’è Lara?” insistette.

“Purtroppo le è andata male; il corpo lo stanno ricomponendo in obitorio. Non so cosa avete incontrato… certo non avevo visto da tempo una situazione del genere”

Francesco si lasciò andare contro il cuscino e non disse altro.

“Pensi a stare meglio le è andata bene e tra qualche giorno potrà uscire di qua tutto intero, sulle sue gambe.”

Il funerale di Lara si svolse con una bara chiusa e un’immagine sopra. L’estate delle tempeste e delle invasioni di animali nelle città finì per lasciare posto a un autunno di discussioni ecologiche e ansiogene nel Talk-Show TV. Francesco, riguardava i file con Lara le loro escursioni in bike nei parchi. Le due bici erano ferme in garage, sulla rastrelliera. Lui le guardava con rimpianto, non le avrebbe mai più usate. Ripensò ai titoli dei giornali sia cartacei che in rete, sulla loro vicenda, al lupo sceso dai monti che era stato ucciso e ritenuto responsabile dell’aggressione. Ma lui non ne era convinto.

Settembre stava per finire, il caldo persisteva, tornò facendosi coraggio sul precorso, stavolta in modo inverso. Il sentiero della baita dove aveva visto Lara viva per l’ultima volta. L’argine, la golena, la cascina dove avevano sostato. Si sedette sotto il porticato. Nel silenzio del tramonto, rotto dallo sbattere delle foglie nella brezza, dal gracchiare di qualche rana nelle pozze circostanti. Arrivò al punto bici. La baita era chiusa. Si avvicinò alla finestra del bar. Il bancone, i tavoli, i quadri, i pezzi degli scacchi erano ancora al loro posto. Attorno il buio di una ennesima notte di luna piena autunnale. Tra lui e l’argine qualche centinaio di metri di nulla. Si appoggiò alla staccionata del parcheggio, ripassando tutto di nuovo.

Il lupo mannaro stava accovacciato nel piccolo bosco; aveva avuto sembianze umane fino a pochi istanti prima. Con le tenebre, il pelo era cresciuto, i denti aguzzi. La sua fame era insaziabile, da tempo non aveva una preda così a portata di mano, come la ragazza. Con quel pasto, la sua esistenza di lupo di notte e umana di giorno, proseguiva. Fino da quando era cucciolo, da quella notte di plenilunio appena svezzato, sapeva di essere diverso. Dopo la sua discesa dai monti, lasciato il branco, conscio della sua diversità, dal suo primo pasto in forma di preda umana, aveva acquisito la doppia vita. Era stato ucciso un lupo ritenuto responsabile dell’aggressione e della morte di Lara, delle sue aggressioni furono date le più svariate motivazioni. Molte esistenze avevano attraversato, quella del momento, senza che nessuno s’accorgesse di nulla. Con l’aspetto di quel momento, una persona matura, capelli brizzolati, le rughe che gli solcavano il volto, coperto dagli occhiali con la montatura in osso, la sua esistenza umana poteva continuare, in attesa della prossima occasione. Con le partite a scacchi che qualche volta vinceva. Con un balzo e un latrato entrò in azione.

 

© 2023 Enrico Grossi

Scrive racconti e romanzi dall' età adolescenziale, lettore onnivoro, legge di tutto, cresciuto divorando Urania, Gialli Mondadori, la rivista ROBOT diretta da Vittorio Curtoni, comprati con le mance . I film del genere Fantascienza della vita sono: 2001 Odissea nello spazio e Blade Runner. Fa il blogger, su un magazine di attualità locale