[singlepic id=466 w=150 h=150 float=left]Il pastore ricorda:
«Sembravano tutti pazzi, in quella notte, insolitamente luminosa. Un nuovo astro era apparso nel cielo, e molti vaneggiavano a proposito della fine del mondo. Pensavano che la stella stesse per precipitare sulla Terra. Centinaia di persone correvano verso le grotte per trovare rifugio. Alzai gli occhi al cielo e la vidi. Vidi la stella. Mi parve maestosa ed amichevole. Non ebbi paura, ma mi misi a seguire quella moltitudine, insieme al mio gregge. Camminando, suonavo il
L’agnello rammenta:
[singlepic id=451 w=150 h=150 float=right]«Gli uomini sono strani. Quella notte erano tutti agitati. Traballando incerti sulle loro zampe posteriori, camminavano e correvano in un’unica direzione, come se stesse per precipitare il cielo. Come sempre, emettevano suoni incomprensibili dai loro musi rivolti verso l’alto. Poi arrivammo davanti ad una grotta. Il bue e l’asino, saggi e mansueti, osservavano un esserino minuscolo nella mangiatoia. Lo vidi anch’io e capii che la stella che tanto aveva spaventato gli umani, li aveva semplicemente voluti accompagnare da quel bambino. Era solo un pastorello, come il mio, ma più piccolo. Era solo un piccolo pastore. Però, a differenza delle parole sconnesse e insensate che uscivano costantemente dalle bocche di tutti gli uomini che avevo incontrato, la sua voce mi era familiare. Capivo tutto. Mi parlava, mi parlava, e io ascoltavo sdraiato davanti a lui. Mi addormentai così, sognando pascoli tranquilli, mentre perfino gli uomini, che sono così strani, sembravano finalmente in pace».
Una donna ci racconta:
[singlepic id=460 w=197 h=150 float=left]«Avevano bussato alla mia porta due forestieri: una ragazza che diceva di essere in procinto di partorire, ma non sembrava provare nessuna sofferenza, insieme ad un uomo molto più grande di lei. Erano strani. Non mi fidai di loro e li lasciai fuori. Non c’era posto nel mio piccolo albergo. Non c’era posto per gente strana. Tanto più in quella notte spaventosa, con l’enorme stella che inquietava il cielo. Ma quando sotto alla mia finestra passò il pastore con il suo flauto, capii che dovevo seguirlo. La musica del pastore mi portò proprio da loro, proprio dalla strana ragazza e da suo marito, che ora mi sembravano bellissimi. Fra le loro braccia il Bambino sciolse il mio cuore. Si sciolse il mio cuore in migliaia di lacrime, perché io gli avevo chiuso la mia porta e lui offriva quella del Paradiso».
[singlepic id=464 w=150 h=225 float=right]Ricorda un uomo:
«Non c’era posto nel mio rifugio per quella strana coppia in attesa di un bambino. Dicevano che stava per nascere e io non volevo complicazioni. Non volevo il trambusto di un parto. Non c’era posto per loro. Ma poi mi dispiacque averli abbandonati proprio in una notte di così grande agitazione per la stella che ci minacciava dal cielo. Un pastore mi indicò la strada, e andai a cercarli. Andai a cercarli. Forse un posto c’era per loro nel mio rifugio. Ma quando li trovai, vidi il Bambino e mi parve di sentire la sua voce. Diceva: “C’è posto per te nel mio Regno. C’è posto per te nel regno dei Cieli”».
Il bue pensa:
[singlepic id=450 w=150 h=150 float=left]«Avevo freddo. Io e l’asino avevamo tanto freddo. Un uomo e una donna erano con noi nella grotta. Sembravano agitati. E noi avevamo freddo. Intirizziti, sentivamo le forze svanire, il respiro lasciare per sempre i nostri poveri corpi squassati dal tremito. Poi successe qualcosa di molto strano. Una voce… un pianto sommesso. Proveniva da un piccolo uomo, appena nato. Cominciai a sentire un calore benefico. Una calda forza ridarmi la vita. Anche il respiro dell’asino si faceva più regolare e tiepido. La gioia ci invase e ci avvicinammo a quel bambino che ci aveva salvati. Lo vegliammo tutta la notte».
L’asino ricorda:
[singlepic id=455 w=199 h=150 float=right]«Avevo paura. Io e il bue avevamo tanta paura. Due sconosciuti erano entrati nella grotta per ripararsi insieme a noi dalla sciagura che stava per cadere dal cielo. Erano spaventati anche loro. E noi eravamo in preda al terrore. Ci mancava il respiro. Poi vidi tra le braccia della donna un piccolo uomo. Alla semplice visione di quel bambino mi sentii all’improvviso al sicuro. Non ebbi mai più paura di nulla. Mai più per il resto della mia vita».
[singlepic id=466 w=150 h=150 float=left]Il pastore continua il suo racconto:
«Nel cielo, la cometa si era fermata sopra alla grotta. Non potevo vedere cosa ci fosse dentro. Troppa la gente davanti a me. Alcuni in piedi con il volto stupefatto, altri in ginocchio, in preghiera ad occhi chiusi. Non lo vidi. Ma seppi che c’era. Era il Bambino, quel Bambino che i profeti ci avevano annunciato».
Ci narra Baldassarre:
[singlepic id=456 w=150 h=150 float=right]«Il viaggio era stato lungo e faticoso. A tutti chiedevamo se fosse nato un re a Betlemme, dove la stella ci aveva guidati. E tutti ridevano di noi, e ci consigliavano di cercare altrove. Eppure la cometa sostava sopra quel piccolo paese e risplendeva di una luce che può essere donata solo dall’amore per un grande sovrano. Attirò la nostra attenzione una musica in lontananza. Era un flauto».
Parla Melchiorre
[singlepic id=465 w=150 h=150 float=left]«Seguimmo le note del flauto fuori dalla città, verso le colline, fino ad una grotta, sopra la quale brillava la stella. Facendoci largo tra la folla in preghiera, riuscimmo a vederlo. Era il Bambino. Era il re che avevamo a lungo cercato».
Gaspare racconta:
[singlepic id=463 w=150 h=150 float=right]«Appena lo vidi, compresi che non era lui il Bambino che da tanto tempo cercavamo. Avevamo viaggiato per giorni e notti per accogliere la nascita del più grande dei Re. E, invece, avevamo trovato Dio».
Caldo risuona il ricordo di un angelo:
[singlepic id=454 w=200 h=150 float=left]«L’evento era stato annunciato da tempo. Non ero molto emozionato. Perché ero ormai abituato alla visione di Dio. Vederlo nascere in una grotta non poteva essere più coinvolgente che contemplarlo nella gloria dei santi. Volai sopra i volti perplessi degli uomini e delle donne che accorrevano da ogni parte a celebrare la nascita. Volai sul gregge saggio, sui pastori che, senza averne nessuna consapevolezza, suonavano i loro flauti per il loro Dio. E mi fermai. Sostai davanti alla culla di fieno. E rimasi annientato da un’emozione che trascendeva ogni mia possibile comprensione. Non era Dio, quel bambino. Era di più. Era Dio e uomo insieme. Era qualcosa che non potevo capire e che per questo mi lasciava sconvolto. Se avessi avuto un corpo sarei rimasto senza respiro, avessi avuto occhi avrei pianto, se avessi avuto mani, le avrei giunte in preghiera. Sia lodato nell’alto dei Cieli il nostro Dio-Uomo. Non l’avevo mai visto così piccolo. E mai era stato più grande».
La stella cometa serba in cuore questo ricordo:
[singlepic id=470 w=207 h=150 float=left]«Una premonizione mi aveva guidata. In sogno avevo visto sovrani illustri e moltitudini d’umani dalla grande anima accorrere lì a vedermi. Avrebbero ammirato il mio bagliore, adorato la mia scia. Desideravo abbeverarmi ai loro occhi estasiati. Per realizzare tale visione ero nel cielo di Betlemme quella notte. Io, splendido essere, più in alto di tutti, così grande e potente, sopra di loro, così piccoli, così in basso. Li avrei benignamente sovrastati, concedendo i miei bagliori, generosa e inaccessibile. Giunsi puntuale, pronta a bearmi della mia enormità, quando udii un suono, il suono più soave dell’immensità infinita. Era il primo pianto del Bambino. Era il primo pianto del Bambino. Ne ignoro il motivo, ma mi sentii minuscola e indifesa, come avessi bisogno di quella voce, come se la mia vita dipendesse da lei. Io, proprio io, al di sopra di tutto il mondo, ebbi la sensazione di essere polvere e ghiaccio al cospetto dell’Amore. Inspiegabilmente, fu il momento più bello della mia esistenza».
La donna confessa:
«Io gli avevo chiuso la porta, Lui mi aprì il suo cuore. E non sapevo trovare forma che potesse esprimere il mio pentimento. Sapevo pregare, ma non esistevano preghiere abbastanza potenti per ringraziare e lodare. Forse una canzone, forse la musica… Chiesi al pastore di suonare il suo flauto, perché aiutasse le mie parole a raggiungere il Cielo».
Il pastore conclude il suo racconto:
«Sentivo la sua presenza, anche se non lo potevo vedere e mi accorsi della mia grande colpa: non sapevo pregare. Una donna accanto a me, mi suggerì sommessamente: “Suona. Suona il tuo flauto al Signore”. Soffiai timidamente nello strumento e ne uscì la musica più bella che avessi mai saputo creare. Suonai tutta la notte, senza avvertire stanchezza alcuna. Suonai e suonai, e quella fu la mia preghiera».
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