La giovinezza di Tarzan tra le scimmie fa parte della nostra esplorazione sui capolavori fantastici fuori Copyright, secondo l’archivio di Liber Liber, ci è piaciuto riportare qui per lo meno il primo capitolo di un’opera davvero mitica, che non credo sia stata letta da molti al giorno d’oggi: Tarzan delle scimmie, di Edgar Rice Burroughs. Anche se la storia e super conosciuta, mi ha divertito leggere tutte le qualità di questa traduzione di autore ignoto rilasciata intorno al 1935, dove il testo è ancora del tutto scevro da pruderie politically correct e da sofisticati editing. L’intero libro è disponibile e leggibile su Liber Liber, scaricando uno dei due formati, Open Document Text (ODT) compatibile Word e Portable Document Format (PDF) di Adobe, facilmente stampabile. È possibile recuperare anche la versione originale in inglese presso Project Gutenberg.

 

Questa strana storia me la raccontò un tale che non aveva alcun interesse a ripeterla anche ad altri. Furono certe bottiglie di vin vecchio che lo invogliarono ad iniziare il racconto; e, il seguito, lo seppi grazie ai miei atteggiamenti di dubbio.

La mia incredulità, che aveva sorpreso il mio ospite, lo spinse a terminare il racconto iniziato per effetto di quelle certe bottiglie, quando già mi aveva raccontata la storia fino a un certo punto. Mi mostrò alcuni manoscritti sciupati dall’umidità e alcuni documenti irti di cifre dell’ufficio coloniale britannico per sgominare i miei dubbi e per confermare i punti salienti della strana storia.

Certamente io non mi rendo garante di quanto sto per raccontare, perché non fui testimone; ma per il motivo che darò ai personaggi dei nomi immaginari è facile comprendere che i miei dubbi sono completamente sfumati.

Sia i documenti che le pagine logore del diario di un tale morto da molti anni hanno una precisa concordanza con la storia del mio ospite. Ecco, dunque, il racconto sulle basi delle varie fonti a mia disposizione. Se, così, come ve lo presento non vi parrà attendibile, riconoscerete almeno che interessa ed eccita la curiosità, ed è nel suo genere, unico.

Come risulta dalle carte in mio possesso e dal diario del morto, un giovane Lord inglese, a cui daremo il nome di Giovanni Clayton, Lord Greystoke, ebbe l’incarico di una inchiesta delicatissima sulla situazione di una colonia inglese nell’occidente africano, dove – secondo le informazioni – un’altra nazione europea ingaggiava soldati per le sue colonie, che poi adibiva solamente alla raccolta forzata di caucciù e avorio presso le selvagge tribù lungo il Congo e l’Aruwimi.

Molti giovani erano allettati da facili guadagni e portati lontano, ma ben pochi tornavano, se pur qualcuno tornava, alle loro tribù, e gli indigeni delle colonie britanniche espressero le loro lagnanze al governatore. Gli inglesi che risiedevano nella colonia sussurravano anche fatti peggiori, cioè che i poveri negri finivano per essere considerati come schiavi e, quando il loro contratto scadeva, gli ufficiali bianchi, sorprendevano la loro ignoranza facendo loro credere che dovevano ancora fare alcuni anni di servizio.

Clayton figurava come reggente di una nuova residenza; ma aveva precisi riservati ordini per condurre un’inchiesta esauriente sull’atroce trattamento di cui erano vittime i sudditi negri dell’Impero Britannico da parte degli ufficiali di una nazione amica. Per il nostro racconto non è necessario conoscere per quali motivi venne inviato, perché non iniziò neppure il suo compito e non raggiunse mai la colonia dov’era destinato.

Clayton aveva tutte le caratteristiche dell’inglese che abitualmente immaginiamo legato alle più grandi imprese della storia del suo paese e alle più belle vittorie sui molti campi di battaglia. Era di aspetto robusto e maschio ed era sano anche moralmente; come statura superava la normale, aveva occhi chiari ed i lineamenti perfetti ed energici; era il vero tipo dell’ufficiale in perfetta salute.

Attratto dall’ambizione politica, aveva chiesto di passare dall’esercito alle colonie, e infatti in questo nuovo suo compito lo troviamo incaricato ancor giovane di una delicata missione al servizio di S. M. all’inizio della nostra storia.

Non fu certamente una sorpresa gradevole e non gli aveva cagionato grande soddisfazione l’importante incarico che gli veniva affidato, benché fosse un premio per la sua chiara intelligenza e attività sempre dimostrata nel compiere il suo dovere ed era anche un incentivo per raggiungere i gradi più alti e importanti nella sua carriera.

Da soli tre mesi aveva sposato Alice Rutherford, figlia del barone Rutherford e lo rendeva esitante la preoccupazione di dover condurre con sé tra i pericoli e la solitudine dell’Africa la bella e giovane moglie. Per suo amore avrebbe anche declinato l’incarico, se ella non lo avesse sollecitato ad accettare, anzi, volle seguirlo nella sua missione.

La giovinezza di Tarzan tra le scimmie

Fuwalda By giorgiobaroni on DeviantArt

I parenti avevano le opinioni più disparate, ma è opportune sorvolare a quanto la storia non accenna. Possiamo solamente rilevare che un bel mattino di maggio del 1888 lord e lady Greystoke lasciarono Dover per l’Africa. Dopo un mese di viaggio arrivarono a Freetown e dopo aver noleggiato un piccolo veliero, il «Fuwalda», partirono verso la loro meta. Da quell’istante di Giovanni Lord Greystoke e di sua moglie Lady Alice non si ebbero mai più notizie.

Erano ormai trascorsi due mesi dalla loro partenza quando furono inviate cinque o sei corazzate inglesi del sud dell’Atlantico alla ricerca del piccolo veliero scomparso. Fu rinvenuto sulla costa di S. Elena un rottame che convinse quanti erano a bordo della misera fine del veliero e dei viaggiatori. Le ricerche cessarono quindi appena iniziate, sebbene per lunghi anni alcune persone affezionate speravano sempre in un improvviso ritorno dei naufraghi.

Il «Fuwalda» era un brigantino di scarso tonnellaggio, di quelli che si incrociano sovente nel traffico lungo le coste dell’Africa del sud con equipaggi reclutati tra la peggior gente di mare, il rifiuto di tutte le razze di tutte le nazioni.

Gli stessi ufficiali erano tipi abbronzati di aguzzini che non potevano sopportare l’equipaggio e da questo erano odiati. Il capitano, sebbene fosse un eccellente marinaio, era brutale coi suoi dipendenti e per farsi ubbidire usava il bastone e la rivoltella, perché quella schiuma di tutti i porti non rispondeva prontamente che con simili mezzi. Già nel secondo giorno lord e lady Clayton ebbero la dolorosa sorpresa di assistere a delle scenate che avrebbero ben figurato sopra la copertina di un romanzo d’avventure e fu in quel giorno che il primo anello di una catena di fatti si ribadiva, catena a cui era legato il destino e la creatura che stava per nascere, a una vita che non si è mai riscontrata l’uguale nella storia degli uomini.

Un giorno il capitano primo ufficiale di guardia ed i giovani sposi stavano chiacchierando sul ponte, voltando le spalle a due marinai che stavano lavando la nave e man mano che il loro lavoro avanzava si avvicinavano al gruppo retrocedendo. Uno era inginocchiato a pochi passi dal capitano; un breve istante e poi lo avrebbe sorpassato, e allora non ci sarebbe stato il motivo per scrivere questa storia. In quello stesso momento il capitano si congedava dai passeggeri, ma nel voltarsi inciampò nel marinaio inginocchiato e, rovesciando la secchia che questi aveva accanto a sé, cadde disteso nell’acqua sporca. Sulle prime quell’insignificante episodio non poteva sembrare che ridicolo. Ma il capitano, rosso in volto dalla stizza, balzò in piedi prontamente e, accompagnata dalle più orripilanti bestemmie, con una tremenda pedata, abbatté il marinaio. L’atto del capitano era certamente brutale perché il colpito era un uomo piccolo e anziano, e l’altro marinaio che sembrava un mastodontico orso con un collo poderoso fra due larghe spalle, quando vide a terra il compagno, ringhiando, con un balzo fu sul capitano che cadde in ginocchio. Il volto dell’ufficiale impallidì, e quell’atto di ribellione (di ribellioni ne aveva già affrontate e domate parecchie nella sua carriera) non lo sorprese. Tratta di tasca una rivoltella senza neppure alzarsi in piedi sparò sul gigante, facile bersaglio per la sua gigantesca mole. Per quanto il capitano fosse stato veloce nel suo gesto, Giovanni Clayton con un rapido intervento sferrava un pugno sul braccio del capitano, cosicché il colpo che doveva ferire il marinaio al petto deviò colpendolo in una gamba.

Fra Clayton e il capitano sorse un alterco e il Lord precisò nettamente che non intendeva che si rinnovassero di quegli incidenti, finché egli e sua moglie erano a bordo, perché era effettivamente nauseato del brutale trattamento inflitto alla ciurma. Il capitano voleva replicare, ma credette opportuno di allontanarsi verso poppa bofonchiando. Non voleva per nessun motivo urtarsi con un funzionario inglese perché sapeva di quale potenza era la flotta di S. M. Imperiale e ne temeva le probabili rappresaglie.

Il marinaio ferito si rialzò aiutato dal più vecchio. Il marinaio zoppicante che dai compagni era chiamato Michele il moro, si avvicinò a Clayton con tutte le cautele del caso appoggiandosi il meno possibile sulla gamba ferita; quando fu dinnanzi al Lord brontolò un ringraziamento il cui tono non era certamente bonario, ma l’intenzione era ottima. Volse quindi le spalle e claudicante si avviò verso il castello di prora per troncare evidentemente un colloquio forse per lui penoso.

Per alcuni giorni non comparve sul ponte. Quando il capitano era costretto a rivolgere la parola ai due riguardevoli passeggeri si limitava a grugnire dei monosillabi. E, mentre essi si recavano regolarmente nella cabina del capitano per i loro pasti all’ora consueta, il comandante cercava sempre un motivo per non pranzare con loro

Gli altri ufficiali non erano evidentemente gran che superiori alla ciurma ed evitavano di proposito di incontrarsi coi giovani sposi inglesi. Questa solitudine non disturbava i due viaggiatori e, vivendo isolati, non conoscevano la vita di bordo e la sanguinosa tragedia che stava maturando. C’era qualche cosa di vago e d’impreciso nei volti, nei gesti dei marinai che preannunciava il fattaccio. Apparentemente tutto era regolare a bordo; tuttavia, i Clayton rilevavano da alcuni indizi che qualche fatto fuori del consueto stava per accadere. Malgrado evitassero di parlarne si leggeva il presentimento del pericolo sconosciuto nei loro sguardi.

Non erano ancora trascorsi due giorni dal ferimento del moro, quando Clayton, mentre stava per salire sul ponte, scorse quattro marinai che trasportavano nelle cabine un loro compagno privo di sensi, mentre il primo ufficiale, con un nodoso bastone in mano, minacciava ancora quel gruppetto di uomini accigliati e silenziosi.

Clayton senza chiedere nulla comprese. Il giorno dopo quando vide profilarsi all’orizzonte una corazzata inglese fu tentato di farsi trasbordare colla sua sposa perché temeva che rimanendo a bordo del «Fuwalda» non c’era da attendersi che una tragedia. E verso mezzogiorno mentre la massiccia nave passava a qualche centinaio di metri dal brigantino, per non figurare ridicolo di fronte al comandante della corazzata rinunciò ai suoi propositi. Finora solamente due marinai ribelli erano stati minacciati, quindi gli ufficiali della nave da guerra avrebbero certamente riso alle sue spalle per il suo eccessivo timore.

Quando alla sera vide scomparire all’orizzonte la bella nave, era venuto in possesso di elementi che convalidavano la sua paura e gli facevano maledire il momento in cui aveva rinunciato a mettersi in salvo da ogni probabile pericolo.

Erano le quattro del mattino quando il piccolo marinaio che era stato colpito qualche giorno prima dal comandante si avvicinò alla murata della nave a cui erano appoggiati Clayton e sua moglie, intenti a guardare la superba corazzata che rimpiccioliva lontana. Il vecchio marinaio, mentre lucidava gli ottoni, si avvicinò sempre più ai due passeggieri e sussurrò sottovoce al Lord fingendo di continuare il suo lavoro:

— Brutti fatti stanno per accadere, ve lo assicuro io.

— Cosa intendete dire buon uomo? – chiese Clayton.

— Ma non vedete cosa succede? Non vi accorgete che quel figlio di un cane del capitano e gli altri ufficiali stanno mettendo fuori uso quasi tutto l’equipaggio? Ieri hanno rotto la testa a due marinai, oggi ad altri tre. Malgrado la ferita il moro è completamente ristabilito, e non è certamente il tipo che incassa senza reagire. Non aspetterà che ci accoppino tutti.

— Preparate, dunque, una ribellione? – domandò Clayton.

— Una ribellione? Altro che ribellione! Un vero macello, signore. Ve lo assicuro io!

— Ma quando?

— Ad ogni buon conto vi ho avvertito signore, ma quando non ve lo posso proprio dire. Ho già detto anche troppo, accidenti… ma voi l’altro giorno siete stato molto buono con me ed ho creduto mio semplice dovere di avvertirvi di quanto sta per succedere. Però mi raccomando, acqua in bocca e quando sentirete i colpi di arma da fuoco, ritiratevi sottocoperta. Dunque, avete ben compreso, acqua in bocca e a posto, altrimenti è facile che riceviate una pallottola nella schiena, ve lo assicuro io.

Il vecchio riprese il suo lavoro e lentamente si allontanò dai passeggieri.

— Abbiamo innanzi delle brutte giornate, Alice – esclamò contrariato Clayton.

— Dovresti avvisare subito il capitano, Giovanni. Forse è ancora in tempo ad evitare la catastrofe.

— Il tuo consiglio non è da disprezzare, ma credo che sia più opportuno non aprir bocca e non certamente per egoismo. Qualunque cosa succeda noi saremo sempre al sicuro per il motivo che ho salvato quel Michele detto il moro. Ma se si accorgessero che li tradisco per noi sarebbe finita.

— Giovanni, è nostro dovere parteggiare per l’autorità. Se non avvisi il capitano ti rendi complice indiretto di quello che sta per accadere come se tu dessi la tua adesione al complotto.

— Ma dovresti capire, cara, che la mia preoccupazione è solamente per te. Innanzi tutto, è questo il mio dovere. L’ha voluto il capitano che la ciurma si ribellasse e non mi sento di mettere in pericolo (il solo pensarci mi fa orrore) mia moglie. Perché dovrei salvare quell’individuo se lui stesso ha creata e voluta questa situazione con la sua condotta insensata? Tu non puoi immaginare quello che succede se questi forsennati riescono ad impadronirsi del «Fuwalda».

— Giovanni, il dovere non si discute, e non sarei degna consorte di un gentiluomo inglese se ti impedissi di compiere il tuo dovere. Anch’io comprendo il pericolo cui andiamo incontro, ma sarò forte, e lo affronteremo assieme; preferisco la morte che mancare all’onore. Il solo pensiero, che tu avresti potuto impedire una tragedia e non l’hai fatto trascurando il tuo dovere, mi rattristerebbe per tutta la vita.

— Come vuoi tu, Alice – rispose Lord Greystoke sorridendo. – Ci metteremo in un bel mare di guai. Speriamo che le cose non prendano la cattiva piega che promettono. Forse quel vecchio non avrà parlato che per assecondare un suo desiderio di ribellione, e speriamo quindi che non avvenga nulla. Un secolo fa le ribellioni a bordo erano molto comuni, ma oggi non hanno molta probabilità di riuscita. Ecco il capitano che si dirige verso la sua cabina. Se è il caso di avvertirlo è meglio che lo faccia presto. Non è certamente piacevole parlare con quella belva!

Lentamente si avviò verso la cabina del capitano. Bussò leggermente alla porta ed un grugnito ripose. Clayton entrò e rinchiuse la porta.

— Cosa volete?

— Sono venuto per riferirvi che oggi ho ascoltato non visto una conversazione di una certa gravità e credo, sebbene pare che non vi sia nulla di positivo, che è necessario che voi siate informato. In breve, l’equipaggio intende ribellarsi e compiere una strage.

— Voi mentite! – ruggì il capitano – e se voi vi permettete di intervenire ancora in questioni che non vi riguardano, peggio per voi! Me ne stropiccio se voi siete un Lord inglese; qui il capitano sono io e me ne infischio di tutti. Andate e non fatevi più vedere!

Nel pronunciare queste ultime parole, la sua stizza aumentava e rosso in volto per la collera urlava con tutte le risorse dei suoi polmoni. Lo congedò picchiando un formidabile pugno sulla tavola e mostrando l’altro sotto il naso del Lord.

Greystoke, senza scomporsi, sostenne lo sguardo del capitano.

— Comandante Billins, – disse quasi sillabando le parole – vogliate scusare la mia franchezza, ma voi non siete che un asino!

Dette queste parole volse le spalle al capitano e uscì con la sua calma abituale e con quell’indifferenza che, a un uomo del carattere di Billins, doveva seccare più di una disputa. Se anche Clayton avesse cercato di fargli comprendere la gravità della situazione avrebbe dovuto poi deplorare certe frasi che non poteva controllare per la collera. Ma il contegno arrogante del capitano impedì fra i due una preziosa collaborazione.

— Ecco, Alice – disse Clayton alla giovane sposa – se non mi fossi recato da quel bruto non avrei ascoltato le sue impertinenze. Non si è mostrato per nulla riconoscente, anzi era molto aggressivo. Fin che non corriamo pericolo noi due poco m’importa di lui e di questa vecchia nave, ma è necessario innanzi tutto scendere in cabina ed accertarsi che le rivoltelle siano cariche. Mi dispiace che le armi di grosso calibro e le munizioni siano imballate nella stiva.

Con loro sorpresa trovarono la cabina tutta in disordine; gli abiti fuor delle valigie e le cuccette sfatte.

— Certamente qui c’è stato qualcuno per cercare qualche cosa che gli premeva. Vorrei sapere cosa gl’interessava, guardiamo che cosa manca…

Dopo aver cercato con ogni diligenza constatarono la mancanza delle due rivoltelle e di un pacco di munizioni.

— Non hanno preso altro e mi dispiace sinceramente perché hanno asportato proprio quello che mi premeva lasciassero. È certamente un cattivo indizio.

— Cosa dobbiamo fare, Giovanni? – chiese Alice. – Non ti suggerisco di ritornare dal capitano perché non voglio metterti a contatto con quel bruto. Rimaniamo in disparte e se gli ufficiali sapranno tenere a bada i marinai non correremo alcun pericolo e se invece la ribellione trionfa potremo salvarci perché non ci siamo schierati contro la ciurma.

— Ti approvo; seguiamo la via di mezzo che è la migliore.

Mentre ricominciavano a riordinare la cabina, scorsero sotto alla porta un pezzetto di carta bianca. Clayton stava per raccoglierlo quando, con sua grande sorpresa, constatò che la carta avanzava lentamente come spinta dall’esterno. Stava per aprire la porta quando Alice gli afferrò il polso e lo trattenne sussurrando:

— No, Giovanni, certamente non hanno piacere di essere scoperti; ricordati che dobbiamo essere neutrali.

Rimasero a guardare il foglietto di carta finché lo videro fermarsi. Allora Clayton si chinò a raccoglierlo.

Era un pezzo di carta piegata in quattro. Lo apersero, era un avvertimento conciso e chiaro, vergato da una mano evidentemente non abituata a scrivere. Lo lessero attentamente: invitava gli sposi inglesi a guardarsi bene dal denunciare al capitano il furto delle rivoltelle, o di accennare ad esso quanto aveva loro comunicato il vecchio marinaio; ne sarebbe andata di mezzo la loro vita.

— È nostro interesse non parlare – disse Clayton con un mesto sorriso. – Non ci rimane altro da fare; tacere e attendere gli avvenimenti.

 

TITOLO: La giovinezza di Tarzan tra le scimmie (Tarzan of the Apes) 1912
AUTORE: Edgar Rice Burroughs
CODICE ISBN E-BOOK: n. d.
DIRITTI D’AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze
TRATTO DA: La giovinezza di Tarzan tra le scimmie / Edgar Rice Burrougs. – Milano: Aurora, stampa 1935.

 

Edgar Rice Burroughs
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(Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.