La Principessa di Marte: una lotta. Sesta puntata del famoso ciclo John Carter di Marte scritto da Edgar Rice Burroughs come pure, Tarzan delle scimmie, già presentato su questo sito.
Pubblicheremo poco per volta l’intero romanzo tradotto apposta per questa occasione.
Tutte le puntate sono facilmente rintracciabili cercando “John Carter,” ma ecco un elenco aggiornato dei capitoli pubblicati:
Capitolo VI
Una lotta che mi guadagnò degli amici
La creatura mi teneva inchiodato al suolo con un piede enorme, mentre farfugliava e gesticolava verso qualche altro essere che rispondeva da dietro di me. L’essere somigliava molto di più agli uomini terrestri che non ai Marziani che avevo incontrato.
Quello con cui parlava, evidentemente il suo compagno, si avvicinò brandendo una gigantesca clava di pietra con l’evidente intenzione di spaccarmi il cranio.
Le due creature erano alte tre o quattro metri, camminavano erette e possedevano, come i Marziani verdi, un paio supplementare di arti. Anche questi a metà tra braccia e gambe. Tali arti aggiuntivi erano posti tra le braccia superiori e gli arti inferiori.
I loro occhi erano ravvicinati e non sporgenti; le orecchie alte ma posizionate più lateralmente rispetto a quelle dei Marziani, mentre musi e denti ricordavano in modo impressionante quelli del nostro gorilla africano.
Nel complesso, non erano sgradevoli, soprattutto a confronto dell’aspetto degli uomini verdi.
La clava era ormai nella fase finale dell’arco che l’avrebbe abbattuta sul mio viso rivolto al cielo, quando una massa orrenda, dotata di miriadi di zampe, si scagliò come un proiettile attraverso la porta, colpendo in pieno il petto del mio carnefice.
Con un urlo di terrore, la scimmia che mi teneva fuggì attraverso la finestra aperta, mentre il suo compagno si trovò coinvolto in una tremenda lotta all’ultimo sangue con il mio salvatore, che non era altri se non il mio fedele custode.
Non riesco proprio a chiamare “cane” una creatura così orrenda.
Mi rialzai il più in fretta possibile e, appoggiandomi al muro, assistetti a una battaglia che nessun uomo ha mai avuto il privilegio di vedere.
La forza, l’agilità e la cieca ferocia delle due creature non hanno eguali tra le specie conosciute sulla Terra.
Il mio animale aveva inizialmente un vantaggio, avendo affondato le poderose zanne nel petto dell’avversario; ma le braccia enormi e le zampe dell’essere scimmiesco — sostenute da muscoli ben superiori a quelli degli uomini marziani che avevo incontrato — ora stringevano la gola del mio guardiano e, lentamente lo stava soffocando, piegandogli la testa e il collo all’indietro, sicché mi aspettavo da un momento all’altro che il cane ricadesse, inerte, con l’osso spezzato.
Nel compiere tale manovra, la scimmia si stava però lacerando la parte anteriore del petto, ancora serrata nella morsa delle potenti fauci.
Rotolarono avanti e indietro sul pavimento, senza che nessuno dei due emettesse un solo grido di dolore o di paura.
Ben presto vidi gli occhi del mio animale fuoriuscire completamente dalle orbite, e il sangue colargli dalle narici.
Che si stesse indebolendo era evidente, ma anche la scimmia mostrava chiari segni di cedimento, con sforzi sempre più deboli.
All’improvviso riacquistai il controllo, e, spinto da quello strano istinto che sembra sempre obbligarmi a fare al mio dovere, afferrai la clava sul pavimento e, brandendola con tutta la forza delle mie braccia terrestri, la abbattei con violenza sulla testa della scimmia, frantumandone il cranio come se fosse stato un guscio d’uovo.
Appena sferrato il colpo, mi trovai di fronte a un nuovo pericolo.
Il compagno della scimmia, ripresosi dallo shock di terrore iniziale, era tornato sul luogo dello scontro passando attraverso la porta interna dell’edificio.
Lo intravidi appena prima che raggiungesse la porta; vederlo così — ruggente mentre scorgeva il corpo senza vita del suo simile disteso sul pavimento, la bava alla bocca in preda a una furia incontrollabile — mi riempì di tetri presagi, devo confessarlo.
Sono sempre pronto a combattere, se le probabilità non sono schiaccianti contro di me, ma in quel caso non vedevo né gloria né utilità nell’opporre la mia forza relativamente esigua ai muscoli d’acciaio e alla brutale ferocia di quell’essere furibondo di un mondo sconosciuto; per quanto mi riguardava, l’unico esito possibile di uno scontro del genere era una morte istantanea.
Mi trovavo vicino alla finestra e sapevo che, una volta in strada, avrei potuto raggiungere la piazza e la salvezza prima che la creatura potesse raggiungermi; la fuga mi offriva una possibilità di sopravvivenza, a fronte della quasi certezza di morte se fossi rimasto a combattere disperatamente.
È vero, avevo ancora in mano la clava, ma che cosa avrei potuto fare contro le quattro enormi braccia dello scimmione?
Anche se fossi riuscito a spezzargli un braccio con il primo colpo — sapevo che avrebbe tentato di parare il colpo — gli altri tre arti mi avrebbero annientato prima che potessi lanciare un secondo attacco.
Tutti questi pensieri mi attraversavano la mente e io ero già nell’idea di lanciarmi verso la finestra, quando i miei occhi si posarono sul corpo del mio povero custode e ogni idea di fuga svanì come polvere al vento.
Era steso sul pavimento della stanza, ansimante, lo sguardo enorme fisso su di me, in un’espressione che sembrava una pietosa supplica di protezione.
Non potei resistere e, riflettendoci meglio, non avrei mai potuto abbandonare il mio salvatore senza dimostrarmi all’altezza del sacrificio che aveva compiuto per me.
Senza ulteriori indugi, dunque, mi voltai ad affrontare la carica dell’infuriato scimmione.
Era ormai troppo vicino perché la clava potesse essermi davvero utile, così la scagliai con tutta la forza che avevo contro la sua massa in movimento.
Lo colpii appena sotto le ginocchia, strappandogli un urlo di dolore e di rabbia, e lo sbilanciò abbastanza da farlo cadere su di me con le braccia spalancate nel tentativo di attutire la caduta.
Ancora una volta, come il giorno precedente, ricorsi a tattiche terrestri e, facendo partire il destro dritto sul mento, aggiunsi un violento sinistro al centro dello stomaco.
L’effetto fu straordinario: con un lieve passo di lato, subito dopo il secondo colpo, lo vidi vacillare e accasciarsi sul pavimento, raggomitolato dal dolore e ansante, a corto di fiato.
Saltando oltre il suo corpo prostrato, afferrai la clava e finii il mostro prima che potesse rialzarsi.
Nel momento stesso in cui sferravo l’ultimo colpo, una risata sommessa risuonò alle mie spalle; mi voltai e vidi Tars Tarkas, Sola e tre o quattro guerrieri in piedi sulla soglia della stanza.
Quando i miei occhi incontrarono i loro, ricevetti per la seconda volta quell’applauso gelosamente riservato che avevo appreso essere il massimo onore per i Marziani verdi.
Sola aveva notato la mia assenza al suo risveglio e aveva subito avvisato Tars Tarkas, il quale si era messo immediatamente in marcia per cercarmi, accompagnato da un manipolo di guerrieri.
Avvicinandosi ai confini della città, avevano assistito alla scena della scimmia furibonda che irrompeva nell’edificio, con la bava alla bocca.
Avevano seguito l’essere, pensando che il suo comportamento potesse forse indicare dove io mi trovavo, sicché avevano assistito al mio breve, ma decisivo scontro.
Questo episodio, unito al mio duello con il guerriero marziano del giorno prima e alle mie straordinarie capacità di salto, ai loro occhi mi collocava su un alto piedistallo.
Evidentemente privi di ogni più nobile sentimento, tipo l’amicizia, l’amore o l’affetto, questi individui venerano in modo assoluto la forza fisica e il coraggio, e nulla è ritenuto esagerato per l’oggetto della loro adorazione, purché egli continui a dimostrare di continuo la sua abilità, potenza e audacia.
Sola, che aveva deciso spontaneamente di unirsi alla spedizione di ricerca, fu l’unica tra i Marziani il cui volto non fosse deformato da una risata mentre combattevo per la vita.
Al contrario, il suo sguardo era serio, colmo di apparente preoccupazione e, non appena ebbi finito il mostro, corse verso di me ed esaminò con cura il mio corpo alla ricerca di eventuali ferite o danni.
Una volta rassicurata dal fatto che ne ero uscito illeso, mi sorrise in silenzio e, prendendomi per mano, si diresse verso la porta della stanza.
Tars Tarkas e gli altri guerrieri erano entrati, tutti attorno al mio guardiano che ora si stava riprendendo rapidamente. Mi aveva salvato la vita e io gli avevo appena restituito il favore.
Tutti sembravano immersi in una accesa discussione, finché uno di loro non si rivolse a me e, ricordandosi della mia ignoranza della loro lingua, lo disse invece a Tars Tarkas.
Questi, con un gesto e una parola, impartì un ordine e si voltò per seguirci fuori dalla stanza.
C’era qualcosa di minaccioso nell’atteggiamento dei guerrieri verso la mia bestia, e io esitai ad allontanarmi prima di conoscere l’esito della faccenda.
Fu un bene, perché il guerriero estrasse una pistola dalla fondina dall’aspetto sinistro e stava per uccidere la creatura quando mi lanciai in avanti e gli deviati il braccio.
Il proiettile colpì la cornice di legno della finestra ed esplose, aprendo un buco nel legno e nella muratura.
Mi inginocchiai accanto all’orribile creatura e, aiutandola ad alzarsi, le feci cenno di seguirmi.
Lo stupore che le mie azioni suscitarono nei Marziani fu quasi comico; non riuscivano a comprendere, se non in modo vago e infantile, dei sentimenti come la gratitudine e la compassione.
Il guerriero al quale avevo deviato la pistola guardò interrogativamente Tars Tarkas, ma questi fece cenno che mi lasciassero fare.
Così tornammo alla piazza: io davanti, seguito dappresso dalla mia grande bestia, e Sola mi teneva stretto per un braccio.
Avevo almeno due amici su Marte: una giovane donna che vegliava su di me con sollecitudine materna, e una bestia muta che, come avrei scoperto in seguito, aveva nel suo brutto corpo deforme più amore, più lealtà e più gratitudine di quanta ne potesse esistere nei cinque milioni di Marziani verdi che vagano tra le città abbandonate e gli asciutti mari morti di Marte.
Traduzione a cura di Franco Giambalvo, © 2025
L’immagine di copertina è stata elaborata da AI, ChatGPT.
(Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.

Appassionato di fantascienza credo da sempre, ma scoperto di esserlo in quarta elementare quando mi hanno portato a vedere "