La Principessa di Marte: il mio cane da guardia. Quinta puntata del famoso ciclo John Carter di Marte scritto da Edgar Rice Burroughs come pure, Tarzan delle scimmie, già presentato su questo sito.
Pubblicheremo poco per volta l’intero romanzo tradotto apposta per questa occasione.
Tutte le puntate sono facilmente rintracciabili cercando “John Carter,” ma ecco un elenco aggiornato dei capitoli pubblicati:

  1. Sulle Colline dell’Arizona
  2. Un cadavere in fuga
  3. Su Marte
  4. Un prigioniero
  5. Il mio cane da guardia
  6. Una lotta
  7. La Nursery
  8. una bella prigioniera
  9. Imparo la lingua

 

Eludo il mio cane da guardia

Sola fissò negli occhi la bestia dall’aspetto feroce, mormorò qualche parola di comando, mi indicò con un gesto e lasciò la stanza.

Non potei fare a meno di chiedermi che cosa avrebbe fatto quel mostro dall’aspetto tanto minaccioso, rimasto da solo in così stretta vicinanza a un boccone di carne relativamente tenero come me; ma i miei timori si rivelarono infondati, poiché la bestia, dopo avermi scrutato intensamente per un momento, attraversò la stanza fino all’unica uscita che conduceva alla strada e si distese per tutta la sua lunghezza sulla soglia.

Questa fu la mia prima esperienza con un cane da guardia marziano, ma non sarebbe stata l’ultima: quell’essere mi sorvegliò con attenzione durante tutto il tempo in cui rimasi prigioniero tra quegli uomini verdi, salvandomi la vita in due occasioni e senza mai allontanarsi volontariamente da me nemmeno per un istante.

Durante l’assenza di Sola ne approfittai per esaminare con maggiore attenzione la stanza nella quale ero tenuto prigioniero.

I dipinti sui muri rappresentavano scene di rara e meravigliosa bellezza: montagne, fiumi, laghi, oceani, praterie, alberi e fiori, strade serpeggianti, giardini baciati dal sole. Scene che avrebbero potuto rappresentare paesaggi terrestri, se non fosse stato per i colori inconsueti della vegetazione.

L’opera era evidentemente frutto della mano di un maestro, tanto era sottile l’atmosfera, perfetta la tecnica; eppure, in nessun punto compariva mai un essere vivente, né umano né animale, da cui poter trarre indizi sull’aspetto di quegli altri — e forse estinti — abitanti di Marte.

Mentre la mia fantasia correva libera in ardite congetture provando a trovare una spiegazione alle strane anomalie che avevo notato fino a quel momento su Marte, Sola tornò portando del cibo e da bere.

Depose tutto sul pavimento accanto a me e si sedette poco distante, continuando a osservarmi attentamente.

Il cibo consisteva in circa mezzo chilo di una sostanza solida dalla consistenza simile a del formaggio, quasi priva di sapore, mentre il liquido sembrava latte di qualche animale.

Il gusto non era sgradevole, solo leggermente acidulo e in breve tempo imparai ad apprezzarlo davvero.

Scoprii più tardi che non proveniva da nessun animale: infatti, su Marte esiste un solo mammifero e per giunta molto raro. Quel latte proveniva da una grande pianta che cresce quasi senz’acqua e che sembra distillare il suo abbondante latte a partire dai prodotti del suolo, dall’umidità dell’aria e dai raggi del sole.

Una singola pianta di questa specie può fornire otto o dieci litri di latte al giorno.

Dopo aver mangiato, mi sentii molto meglio, ma adesso avevo sonno, sicché mi distesi sulle sete e mi addormentai quasi subito.

Credo di aver dormito parecchie ore, perché al mio risveglio era buio e avevo tantissimo freddo.

Notai che qualcuno aveva gettato su di me una pelliccia, che però si era in parte spostata e nell’oscurità non riuscivo a sistemarla.

All’improvviso una mano si protese e tirò su la pelliccia, aggiungendone subito un’altra.

Presumevo che la mia attenta custode fosse Sola e non mi sbagliavo.

Tra tutti i Marziani verdi con cui entrai in contatto, soltanto questa ragazza rivelava tratti di simpatia, gentilezza e affetto; le sue cure ai miei bisogni fisici non vennero mai meno e la sua sollecitudine mi risparmiò molte sofferenze e non pochi disagi.

Come avrei presto appreso, le notti marziane sono estremamente fredde e poiché non esistono crepuscoli né albe vere e proprie, i cambiamenti di temperatura sono improvvisi e assai sgradevoli, così come lo è il passaggio dalla luce abbagliante del giorno all’oscurità.

Le notti sono o straordinariamente luminose o profondamente oscure: se nessuna delle due lune di Marte si trova nel cielo, regna quasi l’oscurità totale, poiché la mancanza di atmosfera — o meglio, l’atmosfera estremamente rarefatta — non è in grado di diffondere la luce stellare in misura apprezzabile; al contrario, quando entrambe le lune sono presenti, la superficie del suolo risplende di una viva illuminazione.

Entrambe le lune di Marte sono immensamente più vicine al pianeta rispetto a quanto lo sia la nostra Luna rispetto alla Terra; la più vicina dista solo circa ottomila chilometri, mentre la più lontana poco più di ventiduemila, a fronte dei quasi quattrocentomila chilometri che ci separano dalla nostra Luna.

La luna più vicina di Marte compie una rivoluzione completa attorno al pianeta in poco più di sette ore e mezza, al punto che può essere vista attraversare il cielo come un’enorme meteora due o tre volte ogni notte, mostrando tutte le sue fasi in ogni passaggio.

La luna più lontana orbita attorno a Marte in poco più di trenta ore e un quarto e assieme alla sorella rende il paesaggio notturno marziano uno spettacolo di straordinaria e inquietante bellezza.

E meno male che la natura ha così generosamente e abbondantemente illuminato le notti marziane, poiché gli uomini verdi di Marte, essendo un popolo nomade privo di elevato sviluppo intellettuale, dispongono solo di mezzi rudimentali per l’illuminazione artificiale; si affidano principalmente a torce, a una sorta di candela e a una peculiare lampada a olio che genera gas e brucia senza stoppino.

Quest’ultimo dispositivo produce una luce bianca di intensità accecante e dalla lunga portata, ma l’olio naturale necessario al suo funzionamento può essere estratto solo in alcune remote località e anche molto distanti tra loro, per cui è raramente impiegato da queste creature, la cui unica preoccupazione è il presente e il cui l’odio per il lavoro manuale le ha condannate da innumerevoli secoli a uno stato semi-barbarico.

Quando Sola ebbe risistemato le mie coperte, mi addormentai subito e non mi svegliai fino al mattino.

Nella stanza vivevano altre donne, cinque in tutto e dormivano ancora, sommerse sotto un disordinato ammasso di sete e pellicce.

Sulla soglia era disteso il mio insonne guardiano, esattamente nella posizione in cui lo avevo visto il giorno prima; apparentemente non si era mosso di un millimetro; i suoi occhi sembravano incollati su di me e cominciai a domandarmi cosa mi sarebbe accaduto se avessi tentato di fuggire.

Sono sempre stato incline a cercare l’avventura e a investigare e sperimentare là dove uomini più saggi avrebbero lasciato le cose come stavano.

Mi venne quindi l’idea che il modo più sicuro per conoscere le reali intenzioni di quella bestia fosse tentare di uscire dalla stanza.

Mi sentivo abbastanza sicuro del fatto che sarei riuscito a seminarlo se, una volta fuori dall’edificio, mi avesse inseguito e infatti avevo cominciato a nutrire grande fiducia nella mia abilità coi salti.

Inoltre, osservando la brevità delle sue zampe, capii che la bestia non doveva sapere né saltare molto, né correre forte.

Mi alzai dunque lentamente e con cautela e vidi che il mio sorvegliante faceva lo stesso; avanzai con prudenza verso di lui e mi accorsi che muovendomi con un’andatura strascicata riuscivo a mantenere l’equilibrio e a procedere con una certa rapidità.

Quando mi avvicinai, la bestia indietreggiò prudentemente e non appena raggiunsi l’aperto si spostò di lato per lasciarmi passare.

Poi si mise a seguirmi a una decina di passi di distanza, mentre mi incamminavo lungo la strada deserta.

«Evidentemente la sua missione è solo quella di proteggermi», pensai.

Ma quando raggiungemmo il limite della città, all’improvviso mi balzò davanti emettendo strani versi e scoprendo zanne, brutte e feroci.

Pensando di divertirmi un po’ alle sue spalle, corsi verso di lui e, quando gli fui quasi addosso, spiccai un salto e atterrai ben oltre, al di fuori della città.

La bestia si voltò di scatto e si lanciò al mio inseguimento con una velocità spaventosa, la più impressionante che avessi mai visto.

Avevo pensato che le sue zampe corte gli impedissero di correre veloce, ma se avesse corso con dei levrieri, questi sarebbero sembrati dormire su uno zerbino.

Come avrei appreso in seguito, si trattava del più veloce animale di Marte e grazie alla sua intelligenza, lealtà e ferocia veniva impiegato nella caccia, in guerra e come guardiano degli uomini marziani.

Mi resi subito conto che sarebbe stato difficile sfuggire ai suoi denti lungo una traiettoria rettilinea; perciò, affrontai la sua carica invertendo la direzione e saltandogli al di sopra proprio mentre mi stava per raggiungere.

Quella manovra mi diede un buon vantaggio e riuscii a tornare in città con largo anticipo. Mentre lui correva all’impazzata dietro di me, mi slanciai verso una finestra a circa dieci metri dal suolo su una delle costruzioni che dominavano la valle.

Afferrai il davanzale e mi issai a sedere senza nemmeno guardare dentro cosa ci fosse, continuando a guardare la bestia frustrata là sotto.

La mia esultanza, però, durò poco: avevo appena trovato una posizione sicura sul davanzale, quando una gigantesca mano mi afferrò da dietro per la nuca e mi trascinò con violenza all’interno della stanza.

Fui scaraventato giù di schiena e mi ritrovai davanti a una creatura colossale simile a una scimmia, bianca e glabra, fatta eccezione per una enorme massa di capelli ispidi che le spuntavano dalla testa.

 

Traduzione a cura di Franco Giambalvo (2025)
L’immagine di copertina è una interpretazione dell’AI Designer di Microsoft.

 

Edgar Rice Burroughs
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(Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.