La saga di Rizor 4 approda al terzo libro (La spada e le Stelle). Quando Andrea Scavongelli ha stampato Il Pianeta di Ghiaccio, lo ha fatto nientemeno con Fanucci, ma si è poi visto costretto a pubblicare la seconda parte in proprio. Anche se il manoscritto era uno solo, molto lungo.

La seconda parte, che concludeva la storia iniziata col primo libro, si intitola Il Lupo di Rizor. Qui vengono risolti brillantemente tutti i punti lasciati in sospeso e bisognerebbe in effetti leggere i due libri uno dietro l’altro.

Alla fine, Andrea si mette a scrivere un terzo volume, anche se la storia era già chiaramente conclusa e quindi non era troppo logico aspettarsi sviluppi ulteriori: evidentemente Andrea Scavongelli voleva creare una nuova storia.

Usando però alcuni dei personaggi già conosciuti dal lettore.

Com’è Andrea? Il terzo capitolo si svolge in un momento successivo ai primi due libri. E quanto tempo dopo, più o meno?

È ambientato una cinquantina di anni dopo le vicende dei primi due libri. È accennato nella trama, in ogni caso è specificato nella quarta di copertina. Il libro nasce dal mio desiderio di approfondire ulteriormente l’universo da me creato. Inoltre avevo voglia di cambiare un po’ lo stile. Sai, il primo libro omaggia nella struttura e nella progettazione quella che probabilmente è la più famosa Space Opera della fantascienza cartacea, ossia “Dune”. In questo terzo volume ho voluto omaggiare un’altra Space Opera che ho amato enormemente, “I Canti di Hyperion“. Se hai notato la struttura portante del libro consiste in un viaggio con i protagonisti che raccontano le loro vicende, più una risoluzione finale ambientata di nuovo sul Pianeta di Ghiaccio, un po’ come nel capolavoro di Simmons. Avevo voglia di cimentarmi in una nuova sfida di scrittura, tutto qui.

La trama si concentra sulla guerra tra l’Umanità e i terribili Invasori alieni, i Kartys. Soprattutto è la storia di alcuni Volmarix, il corpo di soldati scelti, che grazie a impianti tecno-biologici nelle loro armature riescono a operare azioni quasi sovrumane. Poi, c’è anche una esplorazione su una patologia che colpisce il popolo di Rizor 4, il cosiddetto Furor Lupi, che travolge l’individuo rendendolo sanguinario oltre ogni logica.

Ecco, Andrea, devo confessarti che questo terzo volume, a me personalmente, è piaciuto molto meno degli altri due. Ma questa non è una critica è il mio gusto personale. Troppa violenza e per troppe pagine. Che mi dici?

Il libro ha un tono assolutamente più cupo e cattivo dei precedenti. In una considerazione cinematografica, potremmo paragonare i primi due volumi a Star Wars, il terzo ad Alien. Nel mio modo di vedere le cose si tratta sempre di Space Opera, e come vedi nello stesso sottogenere di sci-fi ci si può divertire con innumerevoli variazioni sul tema. Per quel che riguarda la violenza permettimi di spezzare una lancia in mio favore, era presente anche nei primi due volumi, semplicemente in quel caso tutta l’impalcatura aveva una visione molto più ariosa, aperta, nel più tipico sense of wonder della fantascienza, quella bella e spettacolare che amo. Ne “La spada e le stelle” (il terzo volume) la violenza viene esaltata dalla claustrofobia e dal tono cupo complessivo. Ecco, ce n’è un po’ di più e viene più a galla. Nel complesso l’effetto è quello che hai percepito. Permettimi però di aggiungere che anche in una storia così cupa, così come poi faccio anche nel Ghost Tale, continuo a dare grande importanza al valore della speranza. Una fiammella piccola in una stanza buia a volte sembra più luminosa del sole in una prateria sconfinata. Credo che il senso di speranza permanga anche ne “La spada e le stelle”.

Ecco appunto, come negli altri romanzi aggiungi alla fine dei racconti bonus, quello che tu chiami il Ghost Tale. Infatti, è proprio una traccia nascosta, come si usava una volta sui dischi. Perché lo fai?

Perché mi piace scrivere storie più brevi che nel mondo editoriale di oggi avrebbero pochi sbocchi. Eppure, alcuni grandi capolavori della fantascienza, specialmente anglosassone, sono proprio storie brevi che in epoca gloriosa trovarono spazio nelle riviste pulp. In più con i racconti si può allargare ancora di più l’universo creato. E poi, mi immedesimo sempre nei panni di un lettore che ha apprezzato il libro: vuoi mettere la bellezza di poter assaporare ancora per un pochino quel mondo? Un po’ come un buon cognac dopo una bella cena.

Torniamo al romanzo. Ho espresso un mio, diciamo così, “giudizio” non totalmente positivo, basato sul fatto che, sempre più nella fantascienza italiana, mi pare di vedere un proliferare di storie sanguinose, rugginose e violente. Questo stile è stato apparentato alla distopia, anche se in origine il termine significava il contrario di utopia e quindi era una cosa del tutto diversa. Il fatto è che secondo me, questo tipo di scelta stilistica è poco divertente.

Vero. Rimane però il fatto che la cupezza del mio libro è ancorata a una storia molto lontana dalla nostra realtà, una storia che non avverrà mai. Pura fantasia. E quel che mi interessa, più che rappresentare un mondo, è scrivere storie di uomini. E le storie di uomini sono spesso drammatiche. Forse è ancora peggio in questo senso leggere libri distopici molto più vicini al nostro mondo e alla nostra epoca.

Il tuo romanzo, che si dipana in una lunga serie di avventure abbastanza violente fin quasi a tre quarti, poi hai una trovata, che naturalmente non diremo, ma che promette interessanti sviluppi futuri a proposito dei Kartys. È così? Hai in mente nuove avventure?

Ok, te lo dico. Nel computer ho già pronti i volumi quattro e cinque che saranno ambientati subito dopo i volumi uno e due. Proprio così, sono andato avanti e poi torno indietro. La trovo una cosa divertente e stimolante da realizzare; ti ricordo che io scrivo per divertimento. E credo che il cerchio si chiuderà bene (mi saprai dire a tempo debito). Poi però per il momento chiuderò lì il Ciclo. Ripeto, almeno per il momento.

Parlami ancora di questo cambiamento di stile rispetto ai primi due. Ti piace questa fantascienza distopica e materiale, direi?

Cambiare è sempre uno stimolo e un momento di crescita. Per quel che mi riguarda amo la grande Space Opera, però trovo che anche in alcuni autori della Golden Age un po’ di cinismo in più avrebbe aiutato a rendere le storie più avvincenti, almeno agli occhi dei lettori del 2020.

Quali sono i tuoi autori preferiti?

Ultimamente mi sono dedicato alla lettura della saga di The Expanse e devo dire che mi è piaciuta parecchio, al netto di una prolissità che a volte rallenta troppo la storia. Amo Dan Simmons, i grandi classici come Poul Anderson e Bob Heinlen, ma se dovessi scegliere il mio scrittore preferito tout court andrei sempre con David Gemmell, un autore fantasy. Come scrive lui credo lo facciano davvero in pochi.

Al di là delle mie preferenze personali, del tutto discutibili, direi che questo romanzo è comunque ben scritto. Si sente una bella crescita nello stile e qui c’è già la mano di un autore navigato,

Una bella crescita.

Per quel che mi riguarda, gradirei molto che un autore così bravo, fosse più interessato a un tipo di fantascienza del tipo che preferisco: P. K. Dick, piuttosto che Vance, o altri scrittori di epoche certamente remote per la maggior parte dei lettori di oggi.

Però P.K. Dick in termini di cinismo a volte non era secondo a nessuno (risata). Se c’è un maestro del distopico è proprio lui. Comunque si, anche lui è assolutamente da leggere.

Poi, sarebbe una bella cosa se un autore di questo calibro trovasse più facilmente un grande editore che lo volesse lanciare.

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.

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Nato a Ortona (Ch) nel 1985, lavora come TSRM nel reparto di Radioterapia di Chieti. Grande appassionato di basket e di musica metal, rock, jazz e country, è un accanito lettore di fantascienza e fantasy. Predilige la Space Opera nella sua versione più spettacolare, e si è divertito a scriverne una tutta sua, Il Ciclo di Rizor, iniziato con "Il pianeta di ghiaccio" (Fanucci) e proseguito in Amazon self con "Il lupo di Rizor".