Ben Whiteman attendeva con ansia l’anticipo in contanti, ma prudentemente evitò di accendere l’olocomputer: l’uso eccessivo dell’apparecchio gli costava dei bei dei “verdi” che, come si sa, avevano sempre una data di scadenza.
Lui aveva vent’anni ed era da poco diventato una star dell’olocinema.
Un anno prima aveva investito in modo sconsiderato e perso tutto in una notte: mille “argenti”, senza alcuna scadenza. Una valuta che solo i VIP potevano permettersi per investire.
In più, era finito in riabiliti, prosciugando il conto di tutti gli altri colori e gli restava solo il verde.
Per fortuna, era arrivata la richiesta di un olofilm nuovo e presto avrebbe recuperato tutto il perduto.
L’olofono trillò, e Ben, che amava girare nudo per casa, si vestì di corsa.
— Chi sei? — chiese, mentre si infilava una T-shirt al volo.
— Dan Holtz, — rispose il dispositivo con una piacevole voce femminile., Vuoi connetterti?
— Connettiti, — ordinò, mentre cercava di infilarsi anche i pantaloni della tuta, ma la gamba gli si impigliò, perse l’equilibrio e finì sul divano con un gran botto. Per cui, l’interlocutore che comparve sullo schermo ebbe modo di vedere il sedere nudo dell’attore.
— Ben, — il produttore del suo prossimo film si voltò disgustato di fronte a quello spettacolo.
— Scusa, Dan!, — Ben tirò su i pantaloni alla velocità della luce, con le guance in fiamme.
— Hai ricominciato col… di nuovo?
— Sono pulito, — assicurò il ragazzo, alzando le mani.
— Vorrei che passassi dal mio ufficio, diciamo… fra un’ora.
— Certo, anche se ho già fatto la firma olo con lo scanner cerebrale, quindi…
— Ben, — lo tacitò Holtzman. — Sai che su certe cose sono all’antica, e ci sono questioni che preferisco affrontare di persona, de visu.
— Va bene, — Ben cercò di trattenere un sospiro di delusione, perché era proprio ciò che avrebbe voluto evitare, dopo la figuraccia appena fatta. — Verrò.
— Ottimo, ci vediamo tra un’ora, — borbottò il produttore, e l’olofono si spense.
— I tuoi verdi stanno per finire, lo informò la voce femminile del sistema di controllo dell’appartamento.
— Fantastico, ci mancava solo questa, — mormorò il giovane attore.
Tutto faceva pensare che avrebbe dovuto vendere qualcosa di valore per racimolare abbastanza per chiamare il taxilotto.
Istintivamente, Ben diede un’occhiata alla collezione di statuette ricevute nei vari festival cinematografici, finché non provò un dolore sordo.
Accese l’olocomputer, sperando che magari l’anticipo maledetto fosse finalmente arrivato.
Purtroppo, non c’era nulla di nuovo e un momento di disperazione lo spinse a spendere un altro verde.
Alla fine, scelse uno dei premi e se lo mise in tasca.
Perché non…?
— Posso ottenere un prestito? — chiese.
— Non hai alcun merito creditizio, — rispose il sistema.
— Si tratterebbe di una somma piccola e a breve termine, cinquanta verdi, e tra due giorni restituisco.
— Tuttavia, non sei considerato affidabile.
— Sono pulito da due mesi e ho trovato lavoro. Oggi o domani riceverò un anticipo in contanti.
— Mi dispiace, — la voce femminile, tanto gradevole quanto fredda, comunicò la risposta non gradita.
Ben scosse la testa, incredulo. Era un’assurdità. Da domani sarebbe stato di nuovo ricco, forse anche oggi stesso, ma per colpa di quell’incontro dannato avrebbe dovuto sbarazzarsi di uno dei suoi ricordi più cari.
Si avvicinò alla porta, che però non si aprì.
— Apriti, — ringhiò impaziente.
— Rifiutato, non hai più verdi, — rispose una voce maschile e roca, appartenente al sistema messo sopra la porta. — Ma puoi pagare ascoltando venti pubblicità.
— D’accordo, facciamolo, — rispose con tono rassegnato, sperando che fossero brevi.
— Sei a corto di denaro? Non hai il merito di credito necessario? Chiama o scrivi a MomentsX!
— E come dovrei ordinare “MomentsX” se non ho credito né sull’olofono né sulla posta elettronica? — sbottò esasperato.
— A quanto pare, è una pubblicità per i più previdenti, — fece notare la voce femminile del sistema, mentre la porta, con baritonale voce maschile, gli rifilava un’altra reclame.
La situazione era esasperante, ma per fortuna non correva più il rischio di cadere nei tentacoli appiccicosi della dittatura pubblicitaria che opprimeva i cittadini comuni. E anche se ci fosse ricaduto per un po’, da un momento all’altro sarebbe tornato libero. Ma prima di diventare una star, quando era uno dei tanti frustrati in cerca di ruoli, aveva provato in pieno quella sofferenza: tutto si pagava consumando pubblicità. Anche i sogni venivano creati e sponsorizzati dai produttori. Quando sognavi, il sistema vi inseriva i prodotti giusti e gli slogan pubblicitari, sfruttando simil-onde cerebrali. E poi la sveglia ti faceva alzare e, o avevi monete per spegnerla, oppure dovevi sorbirti dell’altra pubblicità.
Ma la parte peggiore era che persino un’erezione richiedeva l’ascolto di vari spot, altrimenti i nanobot ti scioglievano qualcosa nel corpo e non c’era verso che ti venisse duro. Quindi non c’era alternativa: si ascoltava o si guardava e l’effetto collaterale era che certe ragazze si innervosivano, non avevano voglia di giocare, soprattutto perché anche per attivare il contraccettivo bisognava sorbirsi una dozzina di spot.
Alla fine della giornata, a volte eccitato e abbandonato, con un’erezione che non voleva andarsene, non restava che concludere da solo, di nascosto e con una totale umiliazione.
In teoria è un paradiso poter pagare con la pubblicità quando si è senza soldi, ma in pratica è un inferno…
I cittadini comuni, incapaci di guadagnare in un mondo robotizzato dominato dall’intelligenza artificiale, dopo aver esaurito l’assegno mensile, potevano solo cavarsela così.
— Ci metterà ancora molto? Ho fretta e queste pubblicità non finiscono più, — Ben cominciò a preoccuparsi.
— Potrebbero esserci degli spot olo, al posto dell’audio.
— Va bene, avanti, — ringhiò, e poco dopo, varie persone cominciarono a sfilare per casa sua, talmente realistiche che istintivamente si scansò, anche se erano immateriali. Inoltre, chiacchieravano tra loro, ridendo come topi davanti al formaggio, recitando scenette.
Ben si morse un labbro, rendendosi conto con rassegnazione che ogni scena poteva durare molti minuti; quindi, alla fine non forse non ce l’avrebbe fatta.
No, non posso certo arrivare in ritardo dal produttore per colpa di queste maledette pubblicità, scosse la testa anche perché aveva già mostrato abbastanza le chiappe al capo.
Disperato, si avvicinò alla finestra, che per fortuna era socchiusa, quindi non doveva pagare per aprirla.
— Che fai? — la voce femminile, preoccupata, proveniente dal sistema, lo raggiunse mentre si stava già infilando fuori. — Forse hai bisogno di un trattamento d’urgenza con pagamento posticipato?
— Vaffanculo, — sibilò.
— È stata rilevata una parola volgare. Ti è stato assegnato un punto di penalità.
Non se ne curò. Ce l’aveva fatta a uscire, che subito si presentò un nuovo problema: era al terzo piano e il cornicione era stretto.
Troppo alto per saltare, figuriamoci per cadere, e insomma, a che serve un attore ingessato?
Aggrappandosi al muro, cominciò a muoversi cautamente verso il parafulmine, che era la sua unica speranza di scendere senza rischiare la pelle.
Quando, ansimando per un attacco di panico momentaneo, provocato da un piccione che gli era svolazzato davanti al naso, arrivò finalmente al punto giusto, si rese conto che le mani gli sudavano dal nervoso.
Le strofinò sui pantaloni, ma non servì a molto e il caldo torrido non aiutava.
Cominciò a respirare a fondo per calmarsi, sperando che così gli si asciugassero le mani. Chiuse anche gli occhi, per concentrarsi meglio, il che gli fece temere di perdere l’equilibrio, per cui rinunciò.
La consapevolezza che il tempo passava non aiutava ed è difficile rilassarsi quando sei sotto pressione.
Poi, c’era il pensiero insistente che se avesse indugiato troppo, qualcuno lo avrebbe potuto filmare, o sarebbe stato inquadrato dalle telecamere del sistema cittadino, per cui sarebbe scoppiato uno scandalo, il che era molto spiacevole.
Alla fine, con un atto disperato, decise di scendere usando i balconi, e se la cavò incredibilmente bene, finché non arrivò a un’altezza dalla quale poteva saltare sul marciapiede, ma, proprio allora, il piccione decise di passargli di nuovo sotto al naso.
Ben mollò d’istinto la ringhiera e saltò giù, finendo per impigliarsi con i pantaloni in un filo sporgente. Il che produsse un brutto strappo sul sedere; meno male che non era stato infilzato da qualcosa.
Ben si sentiva a disagio mentre attraversava la Promenade affollata per via del buco sul didietro, ma doveva comunque raggiungere il banco dei pegni più vicino.
Tremando per l’agitazione, tirò fuori una statuetta dalla tasca.
— Ti conosco! — esclamò l’androide che lavorava lì, illuminandosi vedendolo. — Sei quello lì, Bob, come ti chiami…
— Sì, esatto, — Ben non aveva intenzione di correggerlo. — Quanto mi dai per questa?
— Mh, posso offrirti venti verdi.
Ben digrignò i denti, perché gli sembrava un furto.
— Va bene, ma tienila da parte per me. Uno o due giorni e la riscatto, pagandoti più di quanto credi.
— Va bene, signor Bob, — rispose l’androide, sorridendo in modo innaturalmente ampio, e trasferì la somma calcolata al chip sotto il polso.
Davanti agli occhi di Ben si proiettò l’informazione che erano stati depositati venti verdi. Allo stesso momento, diede un comando mentale per visualizzare l’ora, e con orrore si accorse che mancavano solo quarantacinque minuti all’incontro.
Si voltò più in fretta che poté.
— Signor Bob!, — lo chiamò il commesso alle sue spalle. — Le si vede il sedere.
— Eh…, — gemette, disperato.
— Posso aiutarla, ma deve… porgere il posteriore.
— Come, scusa? — balbettò Ben, stordito da quella insolita proposta.
— Altrimenti non riesco a cucire, — aggiunse l’androide, imbarazzato.
Che altro poteva fare? Non gli sorrideva certo l’idea che il capo vedesse per la seconda volta il suo fondoschiena.
Si chinò, e sentì subito qualcosa pungergli le natiche, fortunatamente accompagnato dalla sensazione che il tessuto tornava a ricoprirle. E sarebbe andato tutto bene, se non fosse stato che a un certo punto provò una fitta dolorosa. Sibilò e si raddrizzò di scatto.
— Mi dispiace, — borbottò l’androide. — L’ago è andato un po’ di lato, ma… cucitura completa.
Ben si tastò la parte posteriore dei pantaloni e, in effetti, non c’era più traccia dello strappo.
— Grazie, — mormorò Ben, e si avviò all’uscita.
— Signor Bob!, — gridò il commesso.
— Sì? — Ben avrebbe perso la pazienza da un pezzo, ma in fondo gli doveva qualcosa, per cui si voltò.
— Possiamo farci una foto insieme, signor Bob? Sono il suo più grande ammiratore. Li ho visti tutti…
— L’IA può generarne una.
— Ma non sarebbe reale, — protestò l’androide.
Come se lo fossi tu, pensò Ben, posando accanto al più grande ammiratore di Bob… chiunque fosse.
Appena uscito, Ben ordinò immediatamente un taxilotto tramite rete cerebrale.
Temeva di dover aspettare a lungo, ma quando tutto va storto, qualcosa alla fine deve pur andare per il verso giusto, e così fu.
Il taxilotto, era un veicolo vecchio e sporco, ma comparve in un lampo, atterrando con un sospetto scricchiolio meccanico.
— A disposizione, — disse il taxilotto con un tono che pareva quello di un robot che vomitava bulloni.
Nonostante ciò, tutte le portiere restarono chiuse.
— Sono inceppate, — spiegò con tono di scusa il taxilotto, vedendo le sopracciglia di Ben alzarsi per la sorpresa. — Devi colpirle forte.
Ben sferrò un calcio, ma lo fece con tanta forza da procurarsi un livido al piede.
Ansando per il dolore, serrò i denti mentre la porta si sollevava con uno stridore raccapricciante.
— È stato assegnato un punto penalità per danneggiamento di proprietà. Viene detratta una penale immediata di cinque verdi, — annunciò una voce meccanica proveniente dall’interno del taxilotto.
Si udì un clic elettronico e davanti agli occhi di Ben comparve il messaggio di avvenuta detrazione.
— Ma che vuol dire?
— Mi dispiace, — rispose il taxilotto. — È stato installato in me un rilevatore di comportamento antisociale, cioè il sistema che applica le sanzioni… purtroppo tramite me.
— Potevi avvisare, avrei chiamato un altro taxilotto, — replicò Ben con tono di rimprovero.
— E io avrei perso un cliente, — borbottò il veicolo.
Ben sospirò sconsolato e salì a bordo.
— Dove si vola?
— Glen Runciter, numero 9.
— Quindici verdi. Pagamento anticipato, — informò il taxi volante.
Per un attimo Ben ebbe la tentazione di contrattare, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla, così avvicinò il polso al lettore e nel giro di un istante si vide portar via il resto dei suoi punti.
Dopo poco si sollevarono in volo e dagli altoparlanti ne uscì una voce:
— Umanità, che cosa siamo diventati? — La voce tremante sembrava appartenere a un vecchio flemmatico.
Ci fu un attimo di silenzio, e la stessa voce cominciò a rispondersi da sola:
— Siamo robot biologici autoriproducenti con una durata di vita prestabilita. Siamo stati programmati per essere guidati da impulsi codificati che ci spingono a sopravvivere in questo inferno, producendo altri individui umani, altri contenitori per anime reincarnate. Siamo solo un gioco di esperienze per loro.
— Si può spegnere? — Ben ne aveva abbastanza di quel blaterare filosofico di cui capiva poco.
— No, perché io sto ascoltando, si parla di anime.
— Tu non hai un’anima.
— E come lo sai? — lo incalzò il taxilotto. — E se ti dicessi che sono l’anima di un tassista che ha deciso di possedere un taxilotto per continuare a fare ciò che ama, che diresti?
Ben tacque, inorridito, perché gli era appena balenata una richiesta: E se l’intelligenza artificiale fosse impazzita?
Quando entrò nell’ufficio di Holtz, Ben fu molto felice di essere vivo.
— Ciao Ben, entra pure.
Entrò.
— Vuoi qualcosa da bere?
Ben scosse la testa in segno di rifiuto; avrebbe voluto qualcosa di forte, ma sapeva che non sarebbe finita bene per lui.
— Non mi piace dire queste cose tramite computer, preferisco di persona. Ben, ho una brutta notizia: non reciterai in questo olofilm.
— Cosa?! — Ben era scioccato.
— Il governo ha approvato una nuova legge: da ora si può di nuovo usare l’intelligenza artificiale in tutte le arti. Perciò, gli attori del nostro film saranno generati artificialmente.
— Ma… abbiamo un contratto! Sto aspettando l’anticipo! — il volto di Ben si fece paonazzo.
— Mi dispiace, tutto annullato. Hai letto il contratto? Guarda qui, — Dan indicò con il dito il tredicesimo punto.
Era scritto in caratteri minuscoli e lì si diceva che il produttore poteva licenziare l’attore in qualunque momento e annullare l’anticipo.
Eh già, chi legge i contratti? Soprattutto quando si è di fretta…
— Però, vorrei acquistare da te i diritti per usare la tua immagine nel film. Per cinque argenti.
— Per quanto?! — Ben era disgustato. Uscì sbattendo la porta.
— Se cambi idea, ripassa, — gridò Holtzman alle sue spalle.
Al diavolo i produttori, pensò Ben, lasciando l’edificio. Sono famoso, troverò un ruolo in qualsiasi teatro.
Rincuorato da quel pensiero, tornando verso casa decise di fermarsi in uno dei tanti teatri cittadini.
— Mi dispiace molto, ma da noi non troverai lavoro. E nemmeno in nessun altro teatro, — il direttore artistico era chiaramente in imbarazzo.
— Non capisco…
Il direttore sospirò e fece cenno a Ben di seguirlo.
Dopo poco si ritrovarono dietro le quinte, dove alcuni attori stavano provando.
Il direttore si avvicinò a uno di loro e lo toccò dietro l’orecchio.
L’uomo si immobilizzò all’istante e i suoi occhi diventarono bianchi.
— Androidi…, — mormorò Ben, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
The Actor…
di Krzysztof T. Dąbrowski © 2025
Traduzione dal polacco di Julia Mraczny © 2025
Adattamento italiano a cura di Franco Giambalvo
Immagine di copertina realizzata con AI, Microsoft Designer
è uno scrittore e sceneggiatore polacco. I suoi libri sono stati pubblicati in Polonia, Stati Uniti, Spagna e Germania. Le sue storie sono state pubblicate in molti paesi. Gli piace collaborare con registi e fumettisti - è specializzato in Drabble scritti in polacco, ma facilmente adattabili a qualsiasi lingua.