Una grossa macchina scura si fermò di fronte a un edificio dall’aria austera. L’autista, evidentemente un professionista del mestiere, scese con fare zelante e aprì il portellone che consentiva una facile discesa ai passeggeri.

Ne sortirono tre signori attempati, uno dei quali sembrava faticare a reggersi in piedi. La difficoltà fu subito risolta perché l’autista, nel frattempo, era corso al bagagliaio e ne aveva estratto una sedia a rotelle ripiegata. In pochi attimi, il malfermo fu sistemato e uno degli altri due cominciò a spingere la carrozzella verso l’entrata dell’edificio, mentre il terzo passeggero pagava l’autista.

«Mi sento un po’ in colpa,» disse l’uomo trasportato. «Non so se abbiamo fatto bene a tagliar fuori i nostri cari da tutto questo. Tu cosa ne pensi, Leonardo?»

«Tranquillo Davide,» disse il più alto dei tre alle sue spalle. «Credimi, è stata la cosa migliore da fare. È una questione di dignità.»

«Mia moglie non sarebbe mai venuta,» fece il terzo che li stava raggiungendo. «Non era d’accordo con questa cosa e credo mi terrà il muso per il resto dell’eternità.»

Giunsero alla grande vetrata del portone d’accesso, che si aprì di fronte a loro come per magia, consentendogli di accedere a una grande sala, molto elegante.

«Tutto lusso,» disse Leonardo.

«Sai bene, quanti soldi risparmia lo stato quando uno di noi si toglie di torno.»

«Questo cinismo non ti si attaglia.»

«Data la situazione, me lo consentirai,» rispose Davide, poi si voltò faticosamente per indirizzarsi al terzo compagno che era rimasto indietro. «Ehi, Andrea! Sbrigati. Questi sono tanto carini, ma hanno un bel calendario di appuntamenti e non amano sforare con la loro scaletta.»

«Ehm…» fece Leonardo dietro di lui, come per segnalargli qualcosa.

Quando Davide si girò, si vide davanti una signora dall’aspetto molto serio. Una bella donna dai capelli neri che pareva l’hostess di un volo di linea. Intanto Andrea li aveva raggiunti.

«Mi sa che ho fatto una gaff…» fece Davide in tono contrito.

«Non si preoccupi,» rispose la donna con un sorriso. «Ciò che ha detto è quasi tutto vero. Ci teniamo molto a organizzare le cose in modo efficiente, ma la gentilezza resta pur sempre al primo posto… Volete seguirmi…»

Ammutoliti come pazienti che seguono l’infermiera di un dentista, i tre le si accodarono docili. Furono scortati in una sala più piccola in mezzo alla quale si scorgevano tre poltrone appena illuminate. Il resto dell’ambiente era nella semi-oscurità.

«Prego, accomodatevi,» li invitò lei e con pazienza attese che si fossero seduti.

«Ora, per la regolarità della procedura, devo informarvi ufficialmente che questa è una camera di terminazione consenziente e che siete ancora in tempo per cambiare la vostra decisione…» quell’asserzione rimase lì in sospeso.

In fondo rimetteva sul tavolo lo spettro di una difficile scelta che essi avevano compiuto almeno un mese prima. Un brutto momento che credevano di aver gettato alle spalle, ma che ora si ripresentava insistente.

Si guardarono tra loro, era evidente che se uno solo di loro non se la fosse più sentita, anche gli altri lo avrebbero seguito. Davide fu il primo ad abbassare lievemente il capo in cenno di assenso. Gli altri imitarono il suo gesto, confermando.

L’hostess venne in loro soccorso.

«Se, dunque, volete ancora procedere, vi porrò una domanda formale in modo che il sistema possa registrare il vostro assenso definitivo…» Prese una posa molto ufficiale e scandì: «Accettate in modo libero e consapevole di essere sottoposti alla procedura di terminazione?… Se sì, ripetete: Sono d’accordo di essere sottoposto alla procedura di terminazione, legge 321/2030.»

I tre ripeterono: «Sono d’accordo di essere sottoposto alla procedura di terminazione, legge 321/2030.»

La bella signora sembrò rassicurata. Magari il suo stipendio prevedeva delle provvigioni, chissà…

«Bene, molto bene,» disse con un entusiasmo forse un poco eccessivo. «Possiamo cominciare.»

In mano le apparve una sorta di telecomando con un singolo pulsante. Lo premette e tutto cambiò, illuminando tutto della tersa luce di un bel giorno settembrino.

«Ma…» fece Andrea. «Questo è il parco delle Querce!»

«È di vostro gradimento?» chiese la donna.

«Vi è piaciuta la sorpresa?» disse Leonardo. Gli altri annuirono con un sorriso commosso. Lui si rivolse alla loro assistente: «Vede, in questo parco noi trascorrevamo molte belle giornate, quando eravamo giovani.»

Intorno a loro non c’era più la sala buia, ma le tre poltrone che li ospitavano riposavano su un prato che si estendeva a perdita d’occhio, punteggiato di cespugli e boschetti di conifere e di piante autoctone.

«Mai visto un ambiente olografico del genere,» commentò Davide.

«Sembra di sentire anche la brezza del vento e il profumo dei pini,» gli fece eco Andrea.

«Il nostro proiettore olografico è uno dei più sofisticati in commercio,» spiegò lei. «Lo stesso che si usa nelle migliori sale per olo-film.»

Tutti si guardarono intorno estasiati. Uno stormo di anatre attraversò il cielo, passando su di loro, e si diresse verso l’orizzonte.

L’hostess riprese il controllo per un istante, ma solo per congedarsi.

«Ora vi lascio soli…»

I tre le sorrisero dispiaciuti. Nonostante l’età avanzata amavano ancora la compagnia delle belle donne.

«Potete restare qui tutto il tempo che volete. Senza limitazioni, davvero. Quando sarete pronti, basterà dirlo e la procedura avrà inizio.»

«Soffriremo?» chiese Leonardo un po’ preoccupato.

«Nessun dolore,» disse lei e si avviò verso una qualche ormai invisibile uscita. Prima di lasciarli, però, si rigirò a guardarli e disse: «Conoscervi è stato un onore.»

E se ne andò, o meglio, più esattamente svanì in una sorta di nebbiolina mentre si allontanava.

I tre restarono lì a farsi venire la voglia di terminare definitivamente le loro vite.

«Questo posto mi ricorda una cosa,» disse Davide, come preso da una visione. «Calava la sera, avevamo acceso un falò…»

«Allora, ancora si poteva,» annuì Andrea che non perdeva mai un’occasione per sottolineare che il passato era stato molto meglio del presente.

«Com’eravamo giovani,» continuò Davide. «Io mi ero un po’ accodato al gruppo senza chiedere il permesso ma, finalmente, quella sera, mi fu chiesto ufficialmente di farne parte. Solo dei ragazzini fanno una cosa del genere… Come una dichiarazione d’amore. Ma io ne fui lusingato. Era come un rito di passaggio, ed io in quel momento entravo per davvero nell’età adulta.»

«Io non c’ero,» commentò Leonardo.

«Sì,» chiarì Andrea, «tu arrivasti in seguito. Eravamo già più grandicelli e certe cerimonie non le facevamo più. Ciao come ti chiami, una pacca sulla spalla e via a giocare a pallone.»

«E le donne?» fece Leonardo con un sospiro.

Ci fu un borbottio di rimembranza.

«Allora non lo capivo,» disse Davide. «Ma ognuna di loro era degna di essere amata.»

«Però quelle arrivarono dopo,» disse Andrea. «Quando ci mettemmo a bivaccare all’Harry’s bar.»

La scena mutò. Ora erano al centro di una sorta di aiuola, una rotonda stradale posta in un grande incrocio. Poco lontano si vedeva proprio il locale pubblico citato.

«Anche questa è una tua sorpresa?» chiese Davide.

«No,» disse Leonardo sconcertato. «Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che questo… show… è gestito da un’intelligenza artificiale quantistica.»

«Mai sottovalutarle, quelle,» fece Davide, un po’ scherzando e un po’ no.

«Fu una bella estate,» commentò Andrea. «Avevamo tutti una fidanzatina ma non avevamo smesso di frequentarci solo per questo.»

«Poi andammo al liceo,» fece Andrea.

«Lo stesso,» chiarì Leonardo. «Il Liceo Einstein.»

E subito si ritrovarono nel cortile di quel liceo, mentre gli ultimi studenti entravano dal portone principale preparandosi a subire ore di lezione non sempre gradite.

«Quest’affare comincia a piacermi,» disse Davide. «Facciamo un esperimento…»

Si concentrò un attimo e poi disse: «Quel campeggio…»

«Quale?» chiese Leonardo.

«Fu la seconda estate del liceo. Monte Conero. Era in alto e vedevamo il mare sotto di noi.»

Le onde iniziarono a far sentire il loro lontano sciabordio e i tre vecchi restarono ad ammirarle per un po’ a bocca aperta. Mentre calava la sera, l’azzurro del mare sfumava nel rosso del tramonto, creando varie gradazioni di indaco e viola.

Presto apparvero le stelle.

«Che accadrà, dopo?» chiese Andrea.

«Bel momento di porsi questa domanda,» protestò Leonardo, bonariamente.

«Non lo so,» disse Davide fissando l’orizzonte marino che si intravvedeva a malapena. «Tuttavia mi aspetto grandi cose.»

«Ma che dici, Davide,» fece Leonardo quasi innervosendosi. «Si spegne la luce ed è finita così… Neanche i titoli di coda?»

«Non so,» fece Andrea venendo in soccorso. «Magari ha ragione Davide. Magari ci sono i cherubini, le arpe e le nuvolette rosa.»

«O magari ha ragione Leonardo,» dichiarò inaspettatamente Davide, che era sempre stato il più spiritualista dei tre. «Forse non c’è proprio un bel niente… Tuttavia di una cosa sono sicuro… È stato tutto così… bello! È stato proprio bello passare tanto tempo insieme a voi, amici miei.»

Si guardarono con gli occhi brillanti.

«E su questa bella nota commuovente… direi che è meglio procedere, altrimenti non lo faremo più,» disse Andrea con un impeto inatteso.

«Giusto Andrea,» fece Davide. «Basta con questo mondaccio boia.»

«Quello che è stato è stato. Che venga il sonno eterno!» fece Leonardo infervorato dagli altri due.

«Io sono pronto,» disse Davide.

«Io sono pronto,» lo seguì Andrea.

«Io sono pronto,» terminò Leonardo.

Fu allora che la notte si fece più buia e magica. Una stella cadente brillò un attimo ad est e poi scomparve.

«Ora, signori, ha inizio la procedura di terminazione,» fece una voce d’uomo, calma e profonda. «Nel bracciolo destro della vostra poltrona c’è uno sportellino. Lì troverete una sorta di bracciale, collegato a un tubo. Vi preghiamo di infilarlo al polso destro.»

I tre ottemperarono.

«La procedura sarà assolutamente indolore. Vi sarà iniettata una sostanza che ha effetto anestetico e letale al tempo stesso. Perché possiate giungere al momento nella migliore disposizione, quando avrete indossato i bracciali, partirà un breve conto alla rovescia.»

I tre guardarono nelle loro poltrone, trovarono i braccialetti e li indossarono.

Appena si furono rimessi in una posizione rilassata, videro salire all’orizzonte una Luna innaturalmente grande. Quando quella si fermò, su di essa apparvero dei numeri in sequenza:

«10-9-8-7-6-5-4-3-2-1…»

«Addio, amici,» disse Davide.

Gli altri non fecero in tempo a rispondere e fu il buio.

La procedura era conclusa e i vecchi era irrimediabilmente morti.

***

Ma, in fondo, anche il buio non è una vera assenza. Se qualcosa vede il buio, vuol dire che quel qualcosa che lo percepisce… esiste.

Subito, un po’ di chiarore iniziò a trasparire e si udì nettamente la voce di Leonardo che diceva:

«E adesso, che cazzo succede?»

 

© 2022, by Giorgio Sangiorgi Editor di Edizioni Scudo

 

Giorgio Sangiorgi
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Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.