Pandora 1La prima parte di Pandora di Peter F. Hamilton appare nella collana Urania Jumbo n. 58 ad agosto 2024, la seconda parte su Urania Jumbo n. 59, del settembre 2024.

Si tratta di un unico romanzo, per un totale superiore alle 1300 pagine. Pare sia caratteristica di Peter F. Hamilton produrre storie di larghissimo respiro e io confesso di non aver letto altro di suo al momento.

Rovistando tra le informazioni dal web, apprendiamo che Peter F. Hamilton (nato il 2 marzo 1960 a Rutland, Regno Unito) è uno scrittore di fantascienza, noto soprattutto per le sue space opere epiche. Ha iniziato la carriera negli anni ’90 e si è affermato come uno degli autori più importanti del genere.

Il suo primo grande successo è stata la trilogia dell’Alba della Notte (The Night’s Dawn Trilogy), pubblicata tra il 1996 e il 1999, che combina elementi di fantascienza hard con tematiche horror e soprannaturali. Successivamente, ha scritto il Commonwealth Universe, che include la Saga del Commonwealth (Pandora’s Star, Judas Unchained) e la trilogia del Vuoto (The Dreaming Void, The Temporal Void, The Evolutionary Void).

Pandora 2Hamilton è noto per il suo stile dettagliato, le trame complesse e i mondi futuristici estremamente ben costruiti, spesso esplorando temi come l’intelligenza artificiale, il transumanesimo e la colonizzazione spaziale.

Oggi stiamo dunque parlando del Commonwealth Universe, di cui al momento abbiamo letto solo Pandora’s Star, pubblicato appunto in due volumi su Urania.

La prima cosa che Hamilton deve aver pensato per scrivere questa storia, sono proprio le premesse scientifico-fantastiche del suo universo in cui l’umanità si sposta attraverso i cosiddetti wormhole, cunicoli spazio-temporali, ipotetici dal punto di vista scientifico, che collegano punti distinti dello spaziotempo. Tunnel con due estremità situate in luoghi diversi, o in momenti diversi. I wormhole si basano su una soluzione particolare delle equazioni di campo di Einstein e sono comunque coerenti con la teoria della relatività generale.

Per quel che riguarda il lettore, nell’universo di Hamilton i wormhole sono cosa comune e possono essere artificialmente generati per collegare pianeti lontani, o anche solo per viaggiare tra America e Australia, o in altri luoghi variamente distanti.

Facendo un esempio dal punto di vista pratico basta andare alla stazione di Londra, Terra, prendere un treno lungo due chilometri trainato da un locomotore DVA5 a propulsione nucleare che si lancerà su un breve tratto di binari per poi infilarsi nel tunnel che è uno dei due capi del wormhole e che poco tempo dopo uscirà sul pianeta Gralmond, dove c’è un’altra stazione ferroviaria. Può succedere che siamo arrivati in piena notte della stagione invernale, là dove siamo partiti in pieno giorno e d’estate a centinaia di anni luce di distanza.

L’ambiente del Commonwealth Universe è una sfera spaziale di circa 600 anni luce, dove l’umanità non ha più bisogno di cercare risorse. La vita e le cellule di ogni individuo sono registrate secondo, dopo secondo in enormi e indistruttibili cloud elettronici, per cui la morte fisica poco conta: sarà subito possibile ricreare un individuo come quello morto, con tutti i ricordi della sua vita fino a quel momento, ma in condizioni fisiche decisamente migliori. Sfruttando tale comodità, è anzi d’abitudine gettare il corpo vecchio e rinascere in un corpo del tutto nuovo quando sarà necessario.

Queste 1300 pagine e più ci raccontano con doviziosissimi particolari un complesso movimento di molti personaggi. Forse troppi, dirà qualcuno.

Nel ventunesimo secolo, un fisico di nome Freeman Dyson aveva postulato che gli artefatti di una civiltà tecnologicamente avanzata avrebbero finito per circondare la loro stella per utilizzarne tutta l’energia. Adesso qualcun altro aveva trasformato la sua antica ipotesi in realtà.

Infatti, l’astronomo Dudley Bose, non particolarmente noto fino a quel momento, vede scomparire dal suo telescopio una stella che stava osservando a più di 1000 anni luce di distanza. All’improvviso. Non per via di un buco nero, né per un’esplosione, ma allora cosa è successo?

Poco distante da quella prima stella, una seconda, più o meno gemella della prima, fa la medesima fine poco dopo.

Le due stelle saranno a quel momento conosciute come la Coppia di Dyson, perché Dudley Bose immagina, giustamente, che tutto attorno alla stella e al sistema planetario sia stata eretta una barriera impenetrabile alla luce, forse per i motivi immaginati da Dyson.

Certo che la velocità di tale operazione, la scomparsa improvvisa della stella, lascia notevoli dubbi: come è possibile costruire uno schermo istantaneo tutto attorno a un sistema solare?

Il fatto è tuttavia avvenuto almeno 1000 anni prima, data la distanza del sistema in esame, in un periodo in cui non esisteva il Commonwealth InterSolare. Quale civiltà può aver generato una cosa simile?

Non certo una delle civiltà conosciute al momento del racconto.

La storia si sviluppa splendidamente e i fatti descritti sono davvero molteplici, a volte divertenti, spesso misteriosi, quasi sempre tragici. Ogni capitolo è mediamente lungo: si va dalle 40, alle 100 pagine. Ogni capitolo è quasi sempre un breve romanzo apparentemente a se stante.

È questo il mezzo per farci conoscere tutti i personaggi che fanno parte del grande dramma.

Abbiamo detto dell’astronomo e del suo diventare forse involontariamente, famoso.

Poi veniamo quasi subito a conoscenza di bande che protestano. Capiremo meglio più avanti quando l’azione sarà finalmente centrata sul gruppo dei Guardiani del Sé, avanguardia creata da un certo Bradley Johansson.

Il gruppo è minacciato da una famosa investigatrice molto nota, Paula Myo, che capisce bene cosa stia succedendo ed è incorruttibile. Tuttavia, servono le prove per acciuffare i Guardiani del Sé.

La loro protesta è relativa al fatto che sul pianeta Far Away (come altre volte alcuni nomi non sono stati tradotti ed è poco chiaro il motivo!) è stata trovata una strana nave aliena ribattezzata Mary Celeste, di cui non si sa la provenienza, né si conosce la razza che l’ha costruita. È un guscio vuoto, in realtà, ma secondo i Guardiani del Sé con quella nave è arrivata un’entità detta Starflyer (anche qui per chissà quale ragione nome non tradotto!) un essere che è, dicono loro, sopravvissuto allo schianto. Nessuno sa che aspetto abbia questo extra terrestre, ma secondo i Guardiani opera segretamente insinuandosi chissà come nelle menti di personaggi di rilievo per far fare all’umanità delle cose che non dovrebbe fare.

A proposito della curiosità relativa alle non traduzioni, ho notato che la redazione si è lasciata sfuggire alcune volte la dicitura Molto Lontano, invece di Far Away. E bisognerebbe chiedere ai redattori, o al traduttore.

Non ho mai visto il Viaggiatore, al posto di Starflyer, o comunque altra traduzione.

Se inizialmente questa scelta di fare capitoli molto lunghi e apparentemente inseriti in maniera non abbinata può dare qualche fastidio, man mano che si prosegue nella lettura tutto diventa molto più intrigante.

Il lettore scopre di aspettare con ansia che l’autore ritorni su un episodio iniziato e non completamente completato.

Ogni tanto entra in ballo qualcosa di nuovo: questo non è un universo come quello di Asimov totalmente privo di entità disumane. Gli alieni esistono, anche se molto spesso sembrano un po’ laterali allo sviluppo dell’azione. Le cose aliene più significative sono lo Starflyer di cui si è detto, una costruzione aliena detta High Angel e i Silfen.

L’High Angel è un’astronave aliena senziente, qualcosa che non hanno costruito gli umani, né altra razza conosciuta. È composto da grandi, enormi sfere separate perfettamente che riproducono l’ambiente vitale di una qualsiasi razza che decida di sfruttare i servizi dell’High Angel. La costruzione serve anche come punto di contatto tra le diverse razze del Commonwealth e (si dice) potrebbe forse funzionare da avanzatissima astronave nel caso sorgesse un’estrema necessità di lasciare l’attuale universo. E forse questo potrebbe essere necessario…

I Silfen sanno tutto! O almeno così pensa Ozzie Fernandez Isaacs, uno dei due uomini che hanno inventato i wormhole. Sono esseri che ricordano la nostra tradizione degli Elfi e abitano non si sa dove. Eppure, arrivando sul pianeta Silvergalde, è possibile esplorare le straordinarie foreste di quel posto. Ozzie ha sentito dire che un suo conoscente una bella mattina aveva iniziato a camminare su un sentiero nel cuore di un bosco a Silvergalde e aveva finito con un’escursione attraverso il Monte Finnan su Dublin. In realtà altri dicevano qualcosa del genere. Trecento anni luce in una semplice passeggiata!

Ma chi diavolo sono questi Silfen? Quale è il loro segreto?

A partire dal capitolo 9 del primo volume, Ozzie Fernandez Isaacs intraprende questa grande, incredibile avventura che si svolgerà fino alla fine imprevedibile del secondo volume.

Altra domanda.

La barriera sulla Coppia di Dyson a cosa serve davvero? E se fosse stata eretta da una razza scomparsa proprio per evitare che ciò che si nasconde dietro la barriera possa uscirne?

Non voglio e non posso spingermi oltre nel commentare questa straordinaria avventura: dovete leggerla, assolutamente!

A fronte di schemi come questo, dove le trovate che si succedono sono molte di più di quelle che sembrerebbe necessario aspettarsi, ricordo sempre una frase di Bob Dylan che a suo tempo mi aveva molto colpito: parlando della sua canzone A Hard Rain’s A‐Gonna Fall (Cadrà una pioggia terribile) disse qualcosa come: “La notte prima della crisi dei missili a Cuba io ero sicuro di non aver più molto tempo per vivere, per cui ho messo in un’unica canzone tutte le idee che avevo in quel momento.”

Mi pare che l’episodio sia riportato in qualche copertina di Freeweeling e ho seguito questa idea come una indicazione di vita: dare sempre tutto quello che puoi dare.

Vi siete accorti che il ciclo non si conclude con il secondo volume del Commonwealth?

Quindi è per questo che ho già acquistato Judas Unchained. Appena lo avrò letto ve ne parlerò.

 

Immagine di copertina generata con Intelligenza Artificiale.

 

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nato nel 1944, non ha tempo di sentire i brividi degli ultimi fuochi della grande guerra. Ma di lì a poco, all'età di otto anni sarà "La Guerra dei Mondi" di Byron Haskin che nel 1953 lo conquisterà per sempre alla fantascienza. Subito dopo e fino a oggi, ha scritto il romanzo "Nuove Vie per le Indie" e moltissimi racconti.