Quella mattina Annarosa uscì di casa presto e passò davanti alla guardiola di Leandro salutandolo con un sorriso malinconico. Lui la seguì premuroso: «Stellina bella, sei triste?».
La ventenne slanciata, scosse la sua coda di cavallo castana e rassicurò il portinaio: «Ma no, Leandro, è solo che l’università mi annoia, la gente mi annoia, tutto mi annoia e io non so decidere cosa fare nella vita».
Leandro le rivolse uno sguardo di tenerezza paterna: «Vedrai che presto ti sarà tutto chiaro!».
Annarosa fece finta di crederci e s’allontanò simulando allegria.
«Gedeone! – chiamò il portinaio voltandosi verso il suo amico alieno dalle sembianze di gatto – seguila, per favore, stalle vicino: quella ragazza mi preoccupa. La noia è pericolosa».
Il micio alieno si stiracchiò e partì in missione.
Camminavano tutti di fretta, per lo più corrucciati e immersi nei propri pensieri. «Pensano troppo questi umani», rifletté con superiorità Gedeone.
Annarosa s’era fermata, nel tentativo di orientarsi.
«Che indirizzo cerchi?», si sentì chiedere. Senza voltare lo sguardo verso la voce, rispose che cercava una certa biblioteca dove non era mai stata.
«Vado proprio da quella parte. Se vuoi possiamo camminare insieme, così ti faccio strada», propose la stessa voce.
Fu allora che la ragazza si voltò e vide un suo coetaneo sorriderle, seduto su una carrozzina.
Rispose al sorriso e s’avviarono.
Senza rendersene conto, Annarosa cominciò a spingere la sedia a rotelle, e il suo compagno di viaggio, stremato dalla gimcana fra tombini sconnessi, attraversamenti sul porfido e auto parcheggiate in modo inopportuno, fu contento di riposare le braccia, alzando solo un dito di tanto in tanto per indicare la giusta direzione.
Proseguirono per qualche minuto, in silenzio, fino alla meta. Lì, la voce del ragazzo si fece sentire di nuovo: «Grazie per aver sostituito le mie gambe».
«Grazie per aver guidato le mie».
«Quante smancerie», si disgustò Gedeone.
Annarosa entrò nella biblioteca, e il gatto alieno, vinto dai morsi della fame, tornò da Leandro, sperando che il pranzo fosse pronto.
Il portinaio lo sgridò: «Dovevi rimanere con lei!».
«Ma no – rispose il micione – sta benissimo».
«Da cosa l’hai capito?».
«Dal fatto che si è resa utile. Gli umani si sentono sempre bene quando credono di essere utili, è proprio tipico della loro natura. Ho fame!».
Il giorno seguente, Leandro aprì il giornale locale e subito s’imbatté in un inserto intitolato “Progresso sociale”. L’articolo d’apertura era firmato da Annarosa: un’intervista al sindaco sul progetto di abbattimento delle barriere architettoniche in città.
«Gedeone, guarda! – esclamò raggiante il portinaio – Grazie all’incontro di ieri, Annarosa non si annoierà mai più: sarà una grande giornalista!».
Il gatto extraterrestre aprì un occhio senza scomporsi:
«Dal mio punto di vista, ti assicuro che di rilevante ieri c’erano solo due belle gambe femminili che camminavano anche per un’altra persona che indicava a quelle gambe la via della vita».
Gedeone riprese a dormire. Russava.
Qualche giorno dopo Leandro faceva colazione al bar in piazza. Una cosa di cui proprio non riusciva a capacitarsi era perché sugli altri pianeti ancora nessuno avesse inventato il cappuccino e i bomboloni alla crema.
All’improvviso si sentì salutare alle spalle: «Ciao, Leandro!».
Si voltò coi i baffi di schiuma di latte e lo zucchero a velo sulla cravatta e fu felice di rivedere dopo mesi Gabriele, il giovane alieno che abitava all’altro capo della città.
«Ciao, Gabriele. Ma come sei raggiante!».
«Sì, Leandro, sono proprio felice».
«E perché?».
«Mi hanno tolto ieri i punti sotto alle piante dei piedi che mi ero ferito. Ma non sono felice per questo, bensì perché, mentre ero sulla sedia a rotelle con le piote fuori uso, ho aiutato una terrestre a capire di essere nata per fare la giornalista».
«Allora eri tu!», esclamò Leandro.
«Io chi?».
«Lascia perdere, ma come mai questa storia ti rende così felice?».
A rispondere fu Gedeone, che aveva seguito Leandro, nella speranza di rimediare un tramezzino al tonno: «Ovviamente è felice perché si è reso utile. Gli alieni si sentono sempre bene quando credono di essere utili, è proprio tipico della loro natura. Ho fame!».
A Leandro sembrò di aver già sentito questa frase.
Uscito dal bar, Gabriele si avviò verso la facoltà. Dopo pochi metri si trovò davanti proprio Annarosa, più luminosa di come se la ricordava.
«Ciao!», la salutò.
«Ciao! Ma cosa ci fai in piedi?».
«Sono guarito».
«Anch’io!», esclamò Annarosa e sorrise.
Senza quasi rendersene conto, si presero per mano e cominciarono a camminare insieme.
«Quante smancerie», commentò Gedeone, osservandoli da lontano, e addentò il tramezzino.