La fantascienza tedesca ha radici lontane. Kurd Laßwitz siede con Jules Verne e Herbert G. Wells tra i numi tutelari del genere e sulla sua scia si è formata nel tempo una lunga tradizione di estrapolazione tecnologico-scientifica, che da una parte ha prodotto fenomeni puramente fantastico-avventurosi (da Robert Kraft a Oskar Hoffmann a Hans Dominik, per tacere dei “serial” che a inizio Novecento conoscono in Germania ampia diffusione di pubblico – celeberrima è ad esempio la serie Der Luftpirat und sein lenkbares Luftschiff, “Il pirata dell’aria e la sua nave aerea manovrabile”, uscita con grande successo tra il 1908 e il 1912 – e proseguono nei decenni successivi, fino a Perry Rhodan, vera punta dell’iceberg di una sterminata produzione autenticamente popolare), dall’altra si è congiunta a un altro filone ricchissimo di esempi nella letteratura tedesca, quello della speculazione utopica, che nel tempo ha offerto prove di valore assoluto, da Christianopolis (1619) di Johann Valentin Andreae a Insel Felsenburg (1731-1743) di Johann Gottfried Schnabel, e che già in Laßwitz trasforma in senso moderno il proprio statuto e produce esiti in cui già si intravedo forme e modi della fantascienza sociologica.
Su questo retroterra vasto e fertile s’innestano le opere di coloro che nascono e si formano come scrittori al cospetto della fantascienza vera e propria, di quella soprattutto americana, dei pulp e delle riviste degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, che inizia a essere massicciamente importata in Germania – non diversamente da quanto avvenne in Italia – a partire dal dopoguerra, riversandosi nella parte occidentale del paese, in quella che era allora la Germania divisa in due dalla Cortina di Ferro, attraverso i canali vivacissimi e un po’ trash delle pubblicazioni popolari, delle riviste che, a poco prezzo, offrivano intrattenimento, ma anche e non di rado veri e propri gioielli di intelligenza e di una qualità letteraria che si intuiva dietro alle traduzioni spesso discutibili. Tra queste, collane dai nomi accattivanti e dalle copertine irresistibili: “Utopia SF” (1953- 1968), i cui primi numeri furono monopolizzati da Alf Tjörnsen ( pseudonimo di Richard J. Rudat), per poi estendere la propria offerta a opere di John W. Campbell, Murray Leinster, Leigh Brackett e Erik Frank Russell tra gli altri; la rivista fu affiancata dal 1954 al 1963 dalla serie di romanzi “Utopia Großband”, in cui uscirono opere di Andre Norton, Raymond F. Jones, E. C. Tubb, Jack Williamson , Lester del Rey e molti altri, accanto ad autori tedeschi come “Clark Darlton”, ovvero Walter Ernsting, scrittore dotato e prolifico oltre che uno dei “padri” di Perry Rhodan. E poi: “Luna. Utopia Roman” (1956-1960), con autori per lo più tedeschi, Karl-Herbert Scheer, a sua volta uno dei “padri” di Perry Rhodan, su tutti; “Terra. Utopische Romane” (1957-68), con opere di Aldiss, Williamson, Van Vogt accanto a quelle di autori tedeschi come Wolf Detlef Rohr lo stesso Scheer; “Abenteuer in Weltenraum”, una serie di vita breve (ne uscirono solo 18 numeri tra il 1958 e il ’59), ma che presentò opere interessanti di autori innovativi come Jack Vance e Philip K. Dick; da ultima ci piace segnalare la rivista “Uranus”, uscita a Vienna tra il 1957 e il ’58, che nel nome richiama evidentemente la sua gemella italiana, anche se meritò la sua scarsa fortuna: i suoi 18 titoli suonano tutt’altro che memorabili e i nomi improbabili dei suoi autori rappresentano altrettanti enigmi semicomici (tra questi, spicca un certo Frederico Palusselli, autore di Der kriechende Tod, “La morte strisciante”).
A questo periodo e a questa generazione appartiene una serie di autori che hanno vissuto la fantascienza in modo viscerale e le hanno dedicato in via quasi esclusiva le proprie forze letterarie. Alcuni nomi sono noti anche nel nostro paese (molti di essi grazie a “Futuro Europa”; altri in seguito all’iniziativa di Antonio Bellomi e alle sue collane negli anni Settanta-Ottanta): l’austriaco Herbert W. Franke (1927), fisico e divulgatore scientifico oltre che autore di numerosi racconti e romanzi a partire dalla raccolta del suo esordio Der grüne Komet (“La cometa verde”, 1960); Wolfgang Jeschke (1936-2015), che fu curatore di numerose, importanti antologie di fantascienza tedesca e internazionale oltre che autore in proprio, non particolarmente prolifico, ma di qualità elevata (il suo romanzo Der letzte Tag der Schöpfung, “L’ultimo giorno della creazione”, 1981, è stato tradotto in diverse lingue e rappresenta una delle vette della fantascienza tedesca); William Voltz (1938-1984), anch’egli autore di Perry Rhodan e attivissimo animatore del movimento tedesco, al quale si devono numerosi romanzi e la coniazione di un neologismo, il verbo “voltzen”, con cui si indica l’atto dell’eliminazione da parte dell’autore di un protagonista, di solito nel finale dell’opera, dopo che la parabola del personaggio era stata seguita con empatia e sviluppata in modo da renderlo particolarmente caro ai lettori; Franz Rottensteiner (1942), critico e saggista austriaco, attivo fin dagli anni Sessanta come curatore di collane come “Quarber Merkur” e “Polaris” che hanno, tra le prime in Germania, messo al centro della propria analisi la fantascienza come letteratura “seria”; Hans Joachim Alpers (1943-2001), autore di innumerevoli romanzi, soprattutto giovanili, curatore di serie e di riviste, tra cui lo “Science Fiction Almanach”, “Kopernikus” e l’edizione tedesca di “Analog”, e autore di numerose opere di saggistica; Gerd Maximovic (1944), autore soprattutto di narrativa breve; Karl Michael Armer (1950), antologista e saggista, autore soprattutto di racconti; o ancora “la generazione del ‘56”: Thomas Ziegler, scomparso prematuramente nel 2004 dopo aver conseguito ripetutamente il “Kurd Laßwitz Preis”, una sorta di premio Hugo tedesco, Horst Pukallus e Uwe Anton, anch’essi autori, antologisti e protagonisti a vario titolo della conquista di campo della fantascienza tedesca negli anni Settanta e Ottanta.
E poi, Ronald M. Hahn. Nato nel 1948 a Wuppertal e formatosi su modelli che individuavano la fantascienza come una delle possibilità più fresche e più vive di confrontarsi con la società in cambiamento degli anni Sessanta, Hahn gravita da sempre intorno alle lettere: materialmente, compiendo studi per diventare tipografo, e concettualmente, entrando fin da ragazzo nell’ambiente del fandom tedesco e poi divenendo responsabile di varie iniziative editoriali, sempre in ambito fantascientifico. Il suo primo incarico di una certa rilevanza risale al 1972, quando assume il ruolo di capo redattore (a fianco di Hans Joachim Alpers) della rivista semi-professionale “Science Fiction Times”. Lo manterrà fino al 1978. Dal 1977, intanto, è diventato scrittore a tempo pieno. Ciò non gli impedirà di dedicarsi anche in seguito all’attività di curatore (dal 1983 al 2000 è stato il responsabile dell’edizione tedesca di “The Magazine of Fantasy and Science Fiction”, mentre dal 2002 al 2011 ha curato insieme a Michael K. Iwoleit la rivista “Nova”) e di critico (tra i suoi numerosi saggi – su Perry Rhodan, Star Trek, il cinema di fantastico e così via – si segnala il Lexikon der Fantasy-Literatur, uscito nel 2005 e curato insieme al solito Alpers e a Werner Fuchs, che gli è valso il “Fantasy Preis” tedesco per quell’anno).
Personalità letteraria feconda e vorace, eccellente soprattutto nella misura del racconto, per il quale ha vinto per tre volte il “Kurd Laßwitz Preis”, Hahn è tra i pochi scrittori tedeschi a non formarsi all’officina di “Perry Rhodan”, ma alla serie tedesca più famosa e al suo straordinario successo dedica il saggio-inchiesta Imperium Rhodanum: Ein haarsträubender Trip durch das Reich der Perry Rhodan-Fans der ersten Stunde (“Imperium Rhodanum: un trip orripilante nel regno dei fan di Perry Rhodan della prima ora”), uscito in volume nel 2000, ma scritto (e pubblicato in edizione amatoriale) insieme a Horst Pukallus nel 1968, uno studio dissacrante sul mondo degli appassionati di fantascienza, visto dal suo interno (gli autori, giovanissimi all’epoca, erano membri militanti dello Science Fiction Club Deutschland, un’istituzione fondata nel 1955 e tuttora attiva in Germania). Ma come autore Hahn percorre una strada meno autoctona, le sue letture e i suoi interessi lo portano spesso a misurarsi con la “grande” letteratura internazionale di genere e non di genere, contaminandola con la fantascienza.
Da questa vocazione al pastiche nascono opere come il romanzo Alptraumland (“Il paese dell’incubo”, 1999; scritto con Horst Pukallus) in cui le strade di Sherlock Holmes e H. P. Lovecraft s’incrociano fatidicamente nell’occasione di un viaggio di quest’ultimo in Scozia e Inghilterra, collegandosi a oscuri segreti.
La raccolta Die Roboter und wir (“I robot e noi”, 1987; con Uwe Anton e Thomas Ziegler), dedicata al tema robotico e firmata con lo pseudonimo ammiccante di “Isaak Asimuff”, o il racconto Philip K. Dick ist tot und lebt glücklich und zufrieden in Wuppertal-Vohwinkel (“Philip K. Dick è morto e vive felice a Wuppertal-Vohwinkel”, 1990), uscito su un’antologia a tema dickiano di grande successo curata da Uwe Anton (fu tradotta anche negli Stati Uniti). Qui lo stesso Hahn è protagonista e s’imbatte in un clone di Dick che si aggira per la Germania, odia la fantascienza e non vuole più saperne di scriverne né tantomeno dei suoi appassionati.
O, ancora, come i due romanzi Der rote Gott (1988) e Auf derErde gestrandet (1996), basati su un classico come Jack London, al quale Hahn (insieme a Harald Pusch) si era ispirato già nel 1983 per il romanzo Die Temponauten (“I temponauti”): ma un classico di una letteratura che è anche scritta per intrattenere e per essere consumata in fretta, quasi come un’attività sporca come quelle di tanti personaggi dell’autore americano. Un’attitudine alla semplicità, all’esaltazione di valori fondanti come la lealtà e il coraggio, che Hahn porta avanti nelle sue opere e che solo in apparenza sono in contrasto con la sofisticazione dei molti mondi che rappresenta.
Di queste opere, solo alcune sono arrivate finora in Italia. Il romanzo Die Temponauten è uscito molti anni fa come I temponauti nella collana “Galaxis” (n. 6 – 1986), passando piuttosto inosservato ed è stato recentemente ristampato per le Edizioni della Vigna.
Dei racconti, dopo quelli presentati su “Verso le stelle” (Il giorno della vendetta, n. 9 – 1979) e ancora su “Galaxis” (Le invenzioni toste, in appendice al n. 2 – 1986), altri tre apparvero tra “Nova sf” e “Futuro Europa” a cavallo degli anni Novanta.
Il primo fu Hei, signor astronauta (1983), uscito da noi nel 1986 e che all’epoca criticai molto nel mio zelo giovanile da germanista in erba, perché era stato tradotto dall’inglese e non dal tedesco, e quantomeno il titolo (Hey Mr. Spaceman!), che echeggiava una celebre canzone dei Flying Burrito Brothers, avrebbe dovuto essere mantenuto nella forma originale.
La polemica, tuttavia, ebbe conseguenze profonde e impreviste: da essa, infatti, nacquero prima la conoscenza e poi l’amicizia (nonché il duraturo e fecondo sodalizio) con Stefano Carducci che era stato l’autore di quella discutibile traduzione.
Seguirono poi nel 1996 Sul grande fiume (su “Futuro Europa” 14), una poetica Robinsonade – filone di opere diversamente ispirate al Robinson Crusoe, con una vasta tradizione in Germania – di ambientazione spaziale, e nel 1998 il breve (il titolo, basato anch’esso sul testo di un classico della musica pop, Ballad of a Thin Man di Bob Dylan, da solo è quasi più lungo del racconto), graffiante Qualcosa sta succedendo, ma lei non sa di che cosa si tratta, non è vero, Mr. Jones? (su “Futuro Europa” 22) in cui emerge un altro tratto della vena di Hahn, quello problematico e arrabbiato della critica sociale, venato di un disincanto anch’esso “alla London” e in cui la realtà di un presente di prevaricazioni e d’ingiustizia è denunciata attraverso il filtro delle sue possibili declinazioni future.
Tema che è in fondo anche quello del racconto Salute a te, Utopia… ma a modo nostro, anch’esso degli anni Ottanta, una storia di amarezza e delusione in cui però si delinea la voglia di un coraggioso riscatto, come spesso avviene nelle storie migliori di questo autore. Con la sua pubblicazione siamo felici di ampliare presso il pubblico italiano la conoscenza della fantascienza tedesca e di uno dei suoi autori più efficaci e rappresentativi.
Alessandro Fambrini (Seravezza 1960) è professore ordinario di Letteratura Tedesca all’Università di Pisa. Si è occupato di letteratura tedesca dell’Ottocento con saggi e articoli su Tieck, Heine, Hebbel, Stifter, Wagner, Nietzsche. La sua ricerca si è rivolta anche alla letteratura del Novecento con saggi su Wedekind, Rilke, Mann, Friedell, Kafka, Mühsam. Contribuisce come critico e come scrittore all’ambito del fantastico e della fantascienza, e sono numerosi i suoi racconti e saggi usciti su varie pubblicazioni del settore. Ha tradotto opere di Kurd Laßwitz e di altri autori del fantastico tedesco. Ha pubblicato: La vita è un ottovolante. Il circo nella letteratura tedesca tra ’800 e ’900 (1998); L’età del realismo. La letteratura tedesca dell’Ottocento (2006); Friedrich Nietzsche. La prima ricezione (2014); Il libro meraviglioso di Philip K. Dick (2016); Guida alla letteratura tedesca. Percorsi e protagonisti 1945-2017 (con S. Costagli, M. Galli, S. Sbarra, 2018).
Biografia tratta da Mimesis Edizioni.
Alla presentazione di oggi seguirà il prossimo giovedì 17 giugno 2021, il racconto di Ronald M. Hahn qui segnalato, cioè Salute a te, Utopia… ma a modo nostro, che è stato tradotto dallo stesso Alessandro Fambrini.
Nasce a Seravezza (Lucca) l’8 settembre 1960, lavora presso l’Università degli Studi di Trento. Si occupa di letteratura tedesca di Ottocento e Novecento, ma al fantastico e alla fantascienza ha dedicato e dedica un impegno non secondario come autore con racconti e romanzi su “Urania” e “Robot”, anche in coppia con Stefano Carducci.