Harrow la Nona di Tamsyn Muir,
(Titolo originale, Harrow the Ninth, 2020, Mondadori, 2021
Leggere “Harrow la Nona” è tuffarsi nella mente spezzata di una negromante lesbica in preda a allucinazioni lisergiche, tra ricordi fasulli, sessioni di allenamento estenuanti, meccaniche relazionali tra squilibrati e squartamenti sanguinolenti a profusione.
Harrow è pazza. Il lettore dovrebbe essersene già accorto leggendo il precedente “Gideon la Nona”, ma qui la storia si fa decisamente più complicata.
In seguito agli avvenimenti del precedente libro, Harrow è diventata Littrice.
Il suo sogno, la sua meta tanto agognata pagata tuttavia a caro prezzo. Harrow però non vuole subire supinamente il processo di “trasformazione” in Littrice, non vuole perdere quel poco che ancora rimane della sua amata-odiata Gideon.
E fa qualcosa a sé stessa, che le ingarbuglia il cervello e i ricordi del suo recente passato alla Casa di Canaan.
In questi ricordi Gideon non esiste, il Paladino di Harrow è Ortus, ma Ortus è morto… com’è possibile? Qual è la verità?
Il lettore farà conoscenza, oltre alle neonate Littrici Harrow e Ianthe, dei “vecchi” Littori e dell’Imperatore, l’uomo che si è fatto Dio.
Augustine, Mercymon e Ortus sono gli ultimi Littori sopravvissuti alla guerra infinita con le Bestie Resurrezionali, creature che infestano lo spazio profondo come enormi Moby Dick assetate di sangue che inseguono da millenni l’Imperatore e i suoi compagni.
La lettura di questo secondo volume è decisamente ostica. La narrazione alternata tra prima e seconda persona e la mancanza di qualsivoglia contesto iniziale genera un forte disorientamento a cui va unita una lentezza della narrazione esasperata.
Il lettore si trova continuamente sballottato tra i ricordi precedenti e rimaneggiati della mente schizofrenica di Harrow e le vicende del “presente” sulla stazione spaziale del Mithraeum (l’ultimo rifugio dell’Imperatore e dei suoi necromanti), bombardato da informazioni che vengono accumulate senza poterle immediatamente comprendere appieno.
Fortunatamente le cose migliorano nell’ultima parte del volume, grazie anche a una maggiore azione e ad alcuni colpi di scena ben dosati.
Il worldbuilding è quasi assente ma l’autrice fa uno splendido lavoro con il sistema di magia necromantica, illustrandoci le due “energie”, thalergia e thanergia, fonti del potere dei necromanti.
Un romanzo non esente da difetti che però risulta originale senza essere stucchevole nei suoi eccessi.
Se gli si perdona l’eccessiva lentezza e la narrazione confusionaria, è sicuramente una boccata d’aria fresca nel recente panorama letterario.