Sono ormai quasi esattamente 4 anni che Antonio Bellomi ci ha lasciati (7 gennaio 2021) e mi ritrovo tra le mani questa sua storia del 2005. Si tratta di uno dei suoi racconti sul Club Pigreco, una creazione direttamente mediata dal famoso Club dei Vedovi Neri di Isaac Asimov, che Antonio apprezzava anche perché lui stesso si era lanciato con lo pseudonimo di Jack Azimov, che qui ritroviamo come uno dei personaggi. Antonio aveva concesso i diritti di tutto il Pigreco a Luigi Cozzi. Avendo io ricevuto a suo tempo questo racconto direttamente da Antonio ho chiesto l’autorizzazione a Luigi che mi ha subito detto: “LA DAMA DI FERRO di Antonio, credo che puoi benissimo pubblicarlo, almeno per quello che mi riguarda, visto che il racconto te lo aveva dato lo stesso Antonio.”
Antonio ci manca e questo racconto vuole ricordarlo, anche se in qualche occasione era un goloso reazionario e forcaiolo, come lui stesso si definisce con notevole auto ironia.

 

Era da tempo che mi frullava per la testa di scrivere un racconto imperniato sul concetto che troverete in questa storia. Ovviamente non posso qui rivelarlo per non esaurire l’elemento sorpresa. Jack Azimov si sta rivelando, oltre che più goloso che mai, anche reazionario e forcaiolo, ma mi sta bene, perché ogni giorno che passo lo divento sempre più anch’io. E sapeste quant’è divertente scandalizzare i benpensanti che pur di fare i progressisti a ogni costo sono disposti a farsi dare mazzate sugli zebedei!

Marion Kettering fece capolino nella sala da pranzo del Club Pigreco, con espressione contrita sul viso. «Arrivo tardi, vero? È rimasto ancora qualcosa per me?»

L’inattesa comparsa del socio mancante provocò un certo trambusto nella sala da pranzo e molte teste si girarono verso di lui. Tom Perkins, il segretario del Club Pigreco, gli corse incontro chiocciando premuroso come al solito. «Signor Kettering, ormai non l’aspettavamo più, ma s’accomodi, vedrà che il nostro chef non la deluderà.»

Jack Azimov sollevò lo sguardo dal magnifico gratin allo zabaione, che stava affrontando con gagliardo appetito. «Tardi sì e se è rimasto ancora qualcosa io non ne sarei tanto sicuro,» disse facendo l’occhiolino tanto per chiarire che stava scherzando. «Il nostro Ciccio oggi ha superato se stesso e le doppie porzioni sono state la regola piuttosto che l’eccezione.»

«Tranne che per il nostro Jack,» commentò Myron Rosenfeld, serio in volto. «Lui di porzioni ne ha prese anche tre. Anzi, di questo superbo gratin forse è la quarta porzione.»

Otis Mifune scosse la testa. «Jack, Jack, quante volte le ripeterò di stare attento? Tutti quei grassi, quegli zuccheri…»

Jack Azimov aveva un’espressione radiosa dipinta in volto. «Ah, dice bene, dottore. Grassi, zuccheri, l’essenza della vita. Questa bavarese mi ha fatto ringiovanire di vent’anni.»

Tutti scoppiarono in una risata. Fare un discorso sensato in tema di cibi e di diete era assolutamente impossibile con Jack Azimov, che più florido e panciuto che mai si crogiolava beato nell’atmosfera luculliana del Club.

Marion Kettering si sedette accanto a Martin Mystère, e subito un premuroso Raj Singh gli portò una zuppa di marasche ungherese.

«Proprio quel che ci vuole in una giornata di caldo infernale!» esclamò Marion Kettering. «Il nostro Ciccio ha avuto un’idea stupenda.»

«È il meggyleves, letteralmente brodo di ciliegie, anche se come avete avuto modo di constatare il brodo non c’entra perché gli ingredienti base sono le ciliegie, l’acqua e la panna acida,» spiegò Laszo Nagy. «Nella mia terra d’origine, in Ungheria, serve a sopportare le torride temperature estive che nell’Europa continentale sono insopportabili.»

«Non che qui a New York si scherzi,» brontolò Myron Rosenfeld, il quale trovava sempre di che lamentarsi sia per il caldo che per il freddo. E, qualcuno aggiungeva malignamente, anche per il tiepido.

«Se non sbaglio lei è appena rientrato dall’Europa, Marion,» esordì Martin Mystère. «Che ci dice del vecchio continente? È vero che sono tutti furiosi per l’introduzione dell’Euro?»

Myron Rosenfeld sogghignò. «Argomento da non toccare. In pratica i prezzi sono ovunque raddoppiati. E se i monetaristi sono soddisfatti, la gente invece è inferocita. I negozianti che al momento della conversione hanno fatto i furbi applicando cambi da rapina adesso cominciano a piangere perché le vendite calano.»

L’avvocato Daniel Cornish scosse la testa. «Se Sparta piange, Atene non ride. Anche qui da noi non c’è molto da stare allegri. Il nostro povero dollaro è finito in fondo al pozzo.»

«Già, parcelle che calano, clienti che si diradano,» masticò amaro Myron Rosenfeld, che ultimamente aveva dovuto rinunciare a incrementare il suo lussuoso parco macchine, per carenza di clienti danarosi. «Se andiamo avanti così chiuderò lo studio e mi metterò anch’io a scrivere libri di fantascienza. Il nostro Jack Azimov coi suoi libracci mi sembra l’unico che non sia stato toccato dalla crisi.»

Si rivolse allo scrittore che lo guardava beato. «È vero che il suo ultimo libro ha battuto perfino le vendite di Harry Potter?»

«L’anello dei Mizark, vuol dire?» chiese Jack Azimov, più radioso che mai. «Così mi dicono e dall’estratto conto credo proprio che sia vero. Devo dire che sono molto soddisfatto dei miei “libracci”.»

«Chissà cosa ci trovano in quella roba?» mugugnò Myron Rosenfeld, più ingrugnito che mai. «Io non sono mai riuscito a finirne uno.»

«Forse non li ha letti con lo spirito giusto,» osservò Laszlo Nagy, che di Jak Azimov era un grande estimatore. «Io li divoro.»

Fortunatamente per Marion Kettering il cuoco Ciccio aveva abbondato nella preparazione dei suoi manicaretti e mentre gli altri chiacchieravano riuscì a terminare la sua cena, concludendo anche lui in bellezza con il gratin allo zabaione.

«Straordinaria,» commentò alla fine, rilassandosi contro lo schienale della sedia. «Il nostro Jack Azimov aveva perfettamente ragione.»

«Io ho sempre ragione in tema in cibo!» ribatté lo scrittore, sollevando orgogliosamente la testa al di sopra della sua variopinta bavagliola sexy-gastronomica. «Lo ammette perfino il mio grande rivale Victor Stump!»

«La sua spina nel fianco!» commentò Myrion Rosenfeld, sempre più acido. «Quello sì che è un grande scrittore. Ho letto un suo articolo “Cronocerebralismo dei Tyrannosaurus Rex e topoi letterari” su Robotika…»

«Bleah,» Jack Azimov fece un versaccio di disgusto. «Quanto sento parlare di topoi e topai e topok mi viene l’orticaria. E quel Victor Stump…»

Prima che potesse continuare con una delle sue solite tirate contro il suo altrettanto famoso amico-rivale, Martin Mystère si rivolse a Marion Kettering per portare la conversazione su altri argomenti. «Come mai questo ritardo, Marion? Non che sia la prima volta, ma di solito è puntuale…»

Marion Kettering scosse la testa. «Il solito motivo. Mi hanno chiamato all’FBI per una consulenza e dopo ore di discussione non siamo venuti a capo di nulla.»

«La solita traccia evanescente?» chiese Gary Burnett, che subito aveva fiutato un buon mistero.

Marion Kettering sollevò le spalle. «E che altro? Ogni volta hanno qualche problema di complicata soluzione. Mai che mi chiamino per qualcosa di semplice.»

Tom Perkins, che da buon segretario del Club stava sempre all’erta, capì che era venuto il momento cruciale della serata e fece cenno a Raj Singh di sbrigarsi a portare via i piatti e servire i liquori.

Il cameriere non fece a tempo a chiudersi la porta alle spalle che Laszlo Nagy e Martin Mystère chiesero contemporaneamente: «Se possiamo esserle d’aiuto…»

Marion Kettering sogghignò. «Quanta premura… O non avete un mistero da mettere in tavola stasera?»

Martin Mystère allargò le braccia. «Caro amico, ci ha azzeccato. Stasera siamo proprio all’asciutto. Quindi un bel misterino caldo caldo concluderebbe degnamente questa cena memorabile.»

Marion Kettering rifletté un attimo poi sbottò. «Ma sì, del resto quel che dico rimarrà qui tra noi e chissà che non mi possiate aiutare a restare in sella. Ci sono tanti giovani di belle speranze che scalpitano per fare da consulenti a FBI, CIA e compagnia bella e la lotta si è fatta serrata. Ora la parola d’ordine è “essere produttivi”.»

Marion Kettering tacque un momento, come raccogliere le idee, poi continuò, attentamente ascoltato da tutti i convitati.

«Fra due giorni due terroristi arabi si incontreranno in un certo luogo di New York. L’FBI e la CIA una volta tanto stanno cooperando per individuare questo punto per cogliere i terroristi di sorpresa.»

«E arrestarli,» commentò Jack Azimov con soddisfazione. «Li voglio vedere morti quei bastardi.»

Marion Kettering sorrise debolmente. «Sono sicuro che la sua opinione è condivisa dalla stragrande maggioranza degli americani, ma in effetti non vorremmo tanto arrestarli quanto individuarli, piazzare qualche cimice, sentire che cosa hanno da dirsi e vedere se da loro si può risalire a tutta la rete.»

«Giusto,» commentò di nuovo Jack Azimov con gli occhi che sprizzavano collera per nulla repressa. «E poi usare il lanciafiamme per fare piazza pulita.»

Martin Mystère alzò la mano per calmare i bollori dell’iracondo scrittore. «Suvvia, caro Jack, lo lasci proseguire.»

Jack Azimov mugugnò qualcosa ma tacque.

«Dunque dicevo,» riprese Marion Kettering, «che sappiamo la data dell’incontro e anche l’ora, le 10 del mattino, e la città, New York. Ma ignoriamo del tutto quale sia il luogo. Un parco? Un edifico pubblico? Una stazione della metropolitana?»

«Ma evidentemente avete qualche indizio,» intervenne Gary Burnett, «altrimenti lei non sarebbe qui a esporci il caso.»

Marion Kettering annuì. «Infatti. Ma si tratta di un indizio molto labile che ci è arrivato per vie traverse e che potrebbe anche essersi corrotto nei vari passaggi. A dire il vero non so neppure come mai l’indizio sia così enigmatico. Se qualcuno, chi non so, ci ha trasmesso l’informazione non poteva farlo in chiaro?»

«Forse perché non lo sapeva, semplicemente,» osservò Martin Mystère. «Chi ci dice che il vostro informatore non abbia semplicemente messo insieme frammenti di indizi captati chissà come?»

Marion Kettering sospirò. «Può darsi benissimo. Comunque l’indizio di cui disponiamo è l’unico e su quello dobbiamo lavorare.»

Laszlo Nagy si aggiustò gli occhiali sul naso. «E questo indizio sarebbe?»

«Che l’incontro avverrà alle dieci del mattino al mirabile ingresso del palazzo della dama di ferro del signor Wright,» rispose Marion Kettering con un sospiro, quasi vergognandosi di quanto diceva. «E adesso per favore non mettetevi a ridere.»

Jack Azimov lo guardò sospettoso. «Non è che ci sta prendendo in giro, vero?»

Marion Kettering allargò le braccia. «Dio me ne guardi, amico mio. Ci siamo ammattiti sopra tutto il giorno cercando di venirne a capo. E il tempo scarseggia. Oggi è lunedì, mercoledì ci sarà l’incontro. E noi dovremo essere là con microscopie, macchine fotografiche, microfoni direzionali, agenti travestiti a piedi, in moto e in auto, taxi civetta e insomma tutto l’armamentario della buona spia.»

Martin Mystère si accarezzò il mento. «La frase è così sballata e apparentemente senza senso che probabilmente è giusta. Tutto sta a trovare il bandolo iniziale.»

«Visto che c’è un nome, Wright, direi di partire da quello,» disse Myron Rosenfeld. «A voi il nome Wright fa venire in mente qualcuno o qualcosa?»

«A me un famoso scrittore di fantascienza, Fowler Wright,» osservò Jack Azimov, «ma non credo che si tratti di quello.»

«Altamente improbabile infatti,» commentò Martin Mystère. «A me chissà perché vengono in mente i fratelli Wilbur e Orville Wright, quelli che hanno inventato l’aeroplano. Che si tratti del museo dell’Aviazione?»

«Cioè di uno dei numerosi musei d’aviazione di New York,» lo corresse Laszlo Nagy. «Ce ne sono diversi. Ne ho visitati alcuni e ho visto esposte copie del loro primo aereo.»

«Il che ci porta a più di un luogo,» osservò Gary Burnett, «ma non a un luogo preciso.»

«Forse l’informazione si riferisce al museo dove è custodito l’originale aereo dei fratelli Wright, il Flyer autentico,» ipotizzò Daniel Cornish. «Si trova in un museo di New York?»

Laszlo Nagy scosse la testa. «No, il Flyer si trova in un museo dell’aviazione dello Smithsonian Institution, che sta a Washington.»

«Da questa parte non approderemo a nulla,» osservò Gary Burnett. «Probabilmente questo Wright non ha nulla a che fare coi fratelli Wrtight dell’aviazione.»

Martin Mystère annuì pensieroso. «È probabile. Ma era l’unico Wright che mi veniva in mente, associabile a un edificio pubblico.»

Per un po’ regnò il silenzio mentre tutti riflettevano.

«Il palazzo della dama di ferro…» disse sottovoce Gary Burnett. «A me ricorda tanto la Vergine di Norimberga. Chissà se è esposta da qualche parte qui a New York?»

«La Vergine di Norimberga?» chiese Myron Rosenfeld. «E chi sarebbe questa teutonica pulzella? È famosa quando quella d’Orléans?»

«Ah, quale lacuna nella sua cultura!» sbottò Jack Azimov. «Se avesse letto uno dei romanzi storici che ho scritto prima di cominciare a scrivere romanzi di fantascienza, saprebbe che la Vergine di Norimberga è una macchina di tortura medievale. Una specie di sarcofago munito di punte di ferro all’interno, in modo che, chiudendo il coperchio, il malcapitato contenuto all’interno veniva trafitto a morte.»

Un brivido scosse i presenti.

«Che tempi orribili,» commentò Daniel Cornish.

Martin Mystère scosse la testa. «Purtroppo sono tempi orribili che non sono scomparsi in tutto il mondo. Quanto succede oggi in Medio Oriente o in altre parti del mondo non ha davvero nulla da invidiare al medioevo europeo.»

Tom Perkins si fece avanti. «Forse una ricerca in Internet potrebbe aiutarci. Chissà che non ci sia qualche museo della tortura qui a New York che ne espone un esemplare,» osservò e corse via per raggiungere il beneamato Macintosh nel proprio ufficio.

Ma poco dopo fu di ritorno con un’espressione stupita in volto. «Sapete, è incredibile, esistono un’infinità di musei della tortura in Italia, Francia e Germania, ma non negli Stati Uniti. Non l’avrei mai pensato.»

«Quindi anche questa pista finisce in un vicolo cieco,» concluse Gary Burnett.

Sir Reginald Bevington-Taylor che fino a quel momento era rimasto in silenzio sollevò di scatto gli occhi verso gli altri. «Sapete, da buon inglese mi viene in mente un’altra famosa dama di ferro,» disse.

Gli occhi di tutti si volsero verso di lui, interessati. «E cioè?» chiese Martin Mystère.

Sir Reginald fece un gran sorriso. «Una donna famosa alcuni anni fa, una donna che con Reagan e Gorbaciov ha rivoluzionato il mondo… ci arrivate?»

«Ma certo!» esclamò Jack Azimov. «Margaret Thatcher, la dama di ferro inglese, il primo ministro tutto d’un pezzo.»

«Oh, mio dio come vola il tempo!» esclamò Myron Rosenfeld. «Chi ne parla più ormai? Margaret Thatcher, la dama di ferro! Scommetto che tra gli americani solo un vecchio rudere come il nostro Jack Azimov, reaganiano inossidabile, se la poteva ricordare!»

«Rudere sarà lei!» esclamò Jack Azimov a cui il commento aveva fatto saltare la mosca al naso. «Solo che un democratico come lei non poteva ricordarsela…»

Tom Perkins intervenne con tutta la sua autorità. «Signori, signori… vi ricordo la regola del Club. Non si parla di politica.»

Jack Azimov e Myron Rosenfeld che già stavano per azzuffarsi come due galli infuriati si calmarono all’istante, placati dal rimbrotto del segretario.

«Vediamo se questo indizio ci porta da qualche parte,» disse Laszlo Nagy. «Ammesso che la dama di ferro della nostra enigmatica frase sia proprio Margaret Thatcher, dove ci porta tutto ciò? Non mi risulta che la signora Thatcher possedesse palazzi a New York o in comunque America.»

«E neanche che avesse qualche legame con qualcuno di nome Wright,» osservò Gary Burnett.

«O forse sì,» lasciò cadere Martin Mystère all’improvviso.

«Come?» fece Laszlo Nagy, stupefatto. «Ha trovato un indizio.»

«Forse,» rispose Martin Mystère. «Ricordate la frase precisa?»

«L’incontro avverrà alle dieci del mattino al mirabile ingresso del palazzo della dama di ferro del signor Wright,» disse Marion Kettering.

«E quel “mirabile” non vi dice proprio nulla?» chiese Martin Mystère.

Dall’espressione sconsolata dei presenti era chiaro che quell’aggettivo non costituiva per loro alcun indizio.

«Solo che non ho mai sentito nessuno definire “mirabile ingresso” un’entrata di qualsiasi genere,» osservò Laszlo Nagy.

Martin Mystère annuì. «Infatti è stato proprio quel “mirabile” a mettermi sulla strada, che ritengo giusta. Come ha detto l’amico Laszlo nessuno definirebbe “mirabile” un ingresso. Ma se accostiamo “mirabile” a Thatcher…»

«Non ne ricaviamo comunque un ciufolo,» lo interruppe Myron Rosenfeld. «Venga al dunque, amico mio, perché adesso siamo veramente curiosi. Dunque abbiamo definito mirabile la Thatcher, che dopo tutto a me sembrava piuttosto una tipica massaia inglese ben conservata e allora…»

Martin Mystère scosse la testa. «No, no, non è mirabile la Thatcher, ma un certo palazzo. La definizione Thatcheria mirabilis non vi fa squillare un campanello?»

«A me proprio no,» rispose Myron Rosenfeld, ma dall’espressione degli altri era evidente che neppure loro sapevano di che si trattasse.

Solo Laszlo Nagy corrugò la fronte, come se un pensiero fastidioso lo tormentasse. «È un’espressione che sono sicuro di avere già sentito, ma non ricordo né dove né quando né in che contesto.»

«La Thatcheria mirabilis è una conchiglia,» spiegò Martin Mystère. «Una conchiglia molto bella, allungata a spirale e terminante con una cuspide. Ha una particolarità importante: le sue volute seguono le regole della divina proporzione o della proporzione aurea che dir si voglia. Ed è da molti considerata la conchiglia più bella del mondo.»

Sir Reginald aveva un’espressione perplessa. «E allora dovremmo cercare un museo delle conchiglie? Un museo di storia naturale?»

Martin Mystère scosse la testa. «No, caro amico, dovremo cercare la conchiglia, il palazzo conchiglia.»

Il viso di Laszlo Nagy si illuminò. «Adesso ricordo. O meglio, ho la vaga sensazione di ricordare. Un museo che è stato costruito a forma di conchiglia, proprio qui a New York.»

«Infatti.» Martin Mystère parlò con la sicurezza di chi sente di essere sulla strada giusta. «Si tratta proprio di un museo, per la precisione del Museo d’Arte Moderna Guggenheim che sorge nella Quinta Strada. Un edificio di concezione artistica rivoluzionaria progettato da un genio dell’architettura che risponde al nome di Frank Lloyd… Wright.»

Dire che tutti rimasero a bocca spalancata non è per una volta tanto un’esagerazione. Il primo a riprendersi fu Marion Kettering. «Così anche il nome Wright è spiegato. La conchiglia Thatcheria, il palazzo, è il palazzo di Wright!»

Martin Mystère si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe, o molto più probabilmente per andare a fumare una sigaretta, di cui sentiva l’impellente bisogno, fuori dal Club. «Penso proprio che i suoi due terroristi avranno una affettuosa accoglienza dopodomani.»

Marion Kettering sogghignò. «Oh, di questo può stare certo, caro amico. Non li molleremo un attimo!»

Jack Azimov si grattò poco elegantemente la punta del naso. «Scusate un momento, gente. Un attimo fa si è parlato di divina proporzione o proporzione aurea. Si può sapere di che si tratta?»

Joshua Murdock, il fisico matematico, si sporse verso di lui. «È un argomento matematico affascinante, amico mio. Tutto ha origine con la sezione aurea già conosciuta dai greci…»

«Oh, no…» esclamò Sir Reginald. «Niente matematica dopo cena. Perché non rimandiamo alla prossima volta?»

Thatcheria mirabilisSulla proporzione aurea si potrebbero scrivere interi trattati. È straordinario come in natura tale proporzione sia una costante. Era da tempo che pensavo di scrivere un racconto sulla Thatcheria mirabilis e il museo Guggenheim di New York e dopo avere letto quell’affascinante romanzo che è Il Codice da Vinci di Dan Brown (lo consiglio a tutti senza riserve: non solo è un libro divertente, ma è anche intelligente, cosa che non si può dire di tanti altri bestseller), in cui si parla estensivamente della sezione aurea, mi sono detto che il momento era giunto davvero e che era meglio che mi sbrigassi prima che tutti avessero letto quel libro (che tuttavia non parla del museo Guggenheim, per fortuna).

Antonio Bellomi, 2005

Antonio Bellomi
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ha svolto la sua attività nel campo dell’editoria per più di cinquant’anni. Ha diretto numerose testate dedicate al giallo, alla fantascienza, all’horror, al western e al fumetto. Ha scritto praticamente per ogni genere di letteratura popolare, dal giallo alla fantascienza, dal western alla narrativa per ragazzi e ha pubblicato più di trecento racconti su una miriade di periodici.