Alfredo Castelli ci ha lasciati nella notte del 7 febbraio 2024 e io, purtroppo, non l’ho mai conosciuto abbastanza bene da poterlo salutare in questa occasione. Mi dispiace, perché in una favolosa serata a Milano, presso un leggendario locale chiamato Il Cinemino, lì tuti riuniti per l’ultimo film del grande amico Luigi Cozzi, ho avuto modo di sentirlo raccontare un aneddoto assolutamente divertente. Da ridere fino alle lacrime, che riguardava una pellicola di Luigi del tempo passato, in cui (se ben ricordo) dovevano esserci delle scene un po’ succinte, che ha rischiato la distruzione e il rogo sulla pubblica piazza. il modo in cui Alfredo ha raccontato l’aneddoto era talmente spassoso da far venire a tutti le lacrime dal gran ridere! Lì, ho capito che questo era Alfredo. Oggi il suo grande amico Antonio Bellomi non è più con noi per ricordarlo e l’altro suo amico fraterno Luigi Cozzi, mi fa sapere che “Non saprei che cosa scrivere su di lui, era come un fratello per me e io per lui, preferisco tacere e tenermi il dolore dentro. Capiscimi.”
Quindi preferisco ripubblicare questa intervista che a suo tempo Antonio Bellomi aveva fatto ad Alfredo Castelli, ovunque voi siate in questo momento.
F.G.
- Da una vita sei attivo nel campo del fumetto, probabilmente l’autore da più tempo in attività. Di preciso quando hai cominciato a scrivere qualcosa e ad essere pubblicato? E pagato?
Probabilmente sono lo sceneggiatore più vecchio in attività costante e continuativa (non che sia un grande onore) anche se forse mi batte Massimo Marconi, che è più antico di me di qualche mese. Per quanto riguarda gli anni di attività, sono stato pagato per la prima volta nel 1965 per le straordinarie e (purtroppo) dimenticate pagine di “Scheletrino” pubblicate in “Diabolik”. Considero questo il mio primo lavoro professionale, quindi, nel 2015, ho festeggiato il mio mezzo secolo di fumetti.
- Chi sono gli autori che ti hanno maggiormente ispirato?
Troppi, per poterli elencare, perché occorre spaziare tra molti generi e molti mezzi di comunicazione (non solo libri e fumetti, ma anche cinema, teatro, televisione, e tutto il resto). In occasione dei miei 50 anni di lavoro (non di vita, purtroppo, che sono una ventina di più) ho scritto un libro in cui parlo dei molti stimoli che, da bambino e poi da ragazzino, mi hanno indotto a intraprendere questa carriera invece di fare – che so – il medico o il commercialista. Come entrambi sappiamo, la capacità di ricercare e cogliere stimoli di ogni tipo è alla base di qualunque lavoro creativo.
- Se ti chiedo quanti personaggi hai creato saresti capace di rispondere all’istante? Ce ne sono alcuni a cui sei particolarmente affezionato?
Non sono in grado di rispondere all’istante non perché ne abbia creati molti (direi una ventina) ma perché non mi sono mai preso la briga di contarli. Più facile dire quelli a cui sono affezionato: “Gli Aristocratici” per il “Corriere dei Ragazzi” e “Martin Mystère” per Bonelli. Ma, ben al di sopra di tutti, c’è l’impareggiabile “Omino Bufo”, striscia demenziale e sgrammaticata che io stesso disegno (si fa per dire), la quale continua saltuariamente e in formule varie (l’ultima sono piccole gag animate) fin dal 1970.
- A proposito di Martin Mystère, quante storie sono state pubblicate e quante scritte da te?
Martin Mystère è nato nel 1982, anche se ha interpretato alcune “prove generali” in precedenza, come “Allan Quatermain” in “Supergulp” nel 1978. All’aprile 2017, in occasione del suo 35° compleanno, ha raggiunto il N. 350 (naturalmente questa coincidenza numerica tra 35 e 350 è stata da me progettata fin dal n. 1); in più sono più di 100 supplementi e numeri speciali, e dallo scorso novembre la serie parallela “Martin Mystère – Le nuove avventure a colori” che adotta una nuova continuity. Credo di averne scritto circa la metà, sicuramente non meno di 25.000 pagine.
- Di Martin Mystère sono state scritte delle novelization, tre con me, due con Cappi, ma tu hai mai sentito la voglia di scrivere un romanzo tutto tuo, come ha fatto invece Tiziano Sclavi. Come mai? Per la tua tradizionale e famosa pigrizia o perché il libro scritto come medium non ti attira più di tanto?
Contesto la pigrizia, anche se ormai questa caratteristica mi è rimasta appiccicata insieme all’aggettivo “vulcanico” (“Il vulcanico Castelli”) di segno diametralmente opposto, che contesto ugualmente. Però, pur se forte di questa mia natura perfettamente equilibrata, ammetto di non aver mai sentito un particolare stimolo per scrivere un romanzo con Martin Mystère: non credo di esserne capace e preferisco lasciarlo fare ai professionisti. Per quanto riguarda il romanzo “serio”, il famoso “romanzo nel cassetto” che dà senso alla vita di un autore, ahimé, non esiste, forse perché rispetto a tal punto il medium “libro” che non ritengo di aver nulla di abbastanza elevato da proporre a me stesso e agli altri.
- Qual è il fumetto italiano che più ti piace, escludendo ovviamente Martin Mystère?
Non per sfuggire alle domande, ma anche qui non sono in grado di rispondere. I parametri di valutazione sono troppi: fumetto avventuroso, fumetto umoristico, fumetto satirico, fumetto politico, fumetto underground. Occorrerebbe stabilire una serie di categorie in cui fare la scelta, e anche così dare delle risposte sarebbe molto difficile.
- Nell’editoria c’è in atto una rivoluzione. I libri si vendono sempre meno. Gli editori chiudono. Qual è secondo te il futuro del fumetto? E quali sono le innovazioni da introdurre per evitare il declino?
Dovete sapere che ho tardato moltissimo a rispondere a questa intervista, e che Antonio Bellomi mi ha più volte rimbrottato: “Che ci vuole? Sono poche domande facili”. Ora, se trovate facile questa domanda su cui si dibatte da anni, ditemelo immediatamente. In sintesi: credo che il fumetto resisterà, anche se dovrà riposizionarsi: più costoso, di maggior qualità e soprattutto più attento al proprio specifico. Una storia a fumetti dovrà essere a fumetti e non – per esempio – in forma di romanzo o di film – solo perché il fumetto permette di raccontarla nel modo migliore, e non perché è il sistema più comodo per farla conoscere. Alla seconda parte della domanda non si può che rispondere “Vorrei tanto saperlo”. Bisogna prima di tutto ricreare l’amore per la lettura presso le nuove generazioni (con la scuola, con le frustate, Dio solo sa come), quindi è indispensabile creare nuovi poli di distribuzione, visto che i tradizionali punti vendita, soprattutto le edicole (calate in un paio d’anni da 37.000 a 29.000 e in continua diminuzione) non funzionano più, e un sistema di diffusione più agile dell’attuale, che non imponga tirature alte e rese folli. Al solito, Dio solo sa come, e forse lo sa davvero visto che tra i testi che continuano a vendere bene ci sono sempre nuove Bibbie a fumetti.
- Parliamo di soldi. Oggi un giovane sceneggiatore o disegnatore di fumetti che prospettive economiche ha? Ci sono possibilità che possa vivere del suo lavoro? O il fumetto non basta?
In questo momento non consiglio a nessuno di intraprendere la carriera di fumettista, il che non significa “di scrivere o disegnare”, visto che scrittura e disegni sono ampiamente utilizzati anche in altri media che funzionano decisamente meglio, come la TV. Qualcuno dei nuovi ce la fa a guadagnare decentemente, ma sono pochi e, per le ragioni a cui fai cenno sopra, il trend è in negativo.
- Il fumetto comico mi pare scomparso, a parte Topolino. Pensi che si potrebbe rilanciarlo, innovandolo e come?
Visto che citi “Topolino”, immagino che non parli di strisce come “Lupo Alberto” o di fumetti satirici come quelli di Zero Calcare, ma di un certo fumetto comico imitativo e se vogliamo “minore” dedicato a un target molto giovane, tipo “Cucciolo”, “Tiramolla” o “Geppo”. Quegli albi erano propedeutici alla lettura di fumetti più seri, e io credo che la loro scomparsa sia stata molto negativa. Sto tentando di fare qualcosa con la Bonelli, ma è prematuro parlarne.
- Hai qualche consiglio per i giovani autori?
Se per autori intendi “autori di fumetti”, il consiglio che do a voce in occasione dei vari incontri in cui mi viene posta questa domanda è “fare l’idraulico”, mestiere ancora richiestissimo, difficilmente sostituibile da Internet e profumatamente pagato. Ma non mi sembra bello concludere in modo così pessimistico un’intervista scritta, in cui non è possibile addolcire le cose con un sorriso o con il tono di voce, quindi dico “Mettercela tutta”.