Dice la storia  che Nicolò Paganini nacque a Genova, nel 1782. Dice sempre la storia, che suo padre e la sua famiglia appartenevano ai ceti benestanti dell’epoca.

E c’è anche il fatto, importantissimo, che quando morì la Chiesa vietò la sepoltura del suo corpo in terra consacrata: appunto perché si riteneva che egli fosse un demonio fatto uomo. E soltanto cinque anni dopo il decesso i parenti riuscirono a farlo seppellire in un cimitero normale, con la benedizione di un prete.

Ma siamo certi che è veramente lì che riposa Paganini? Che quello dentro la bara sia effettivamente il suo scheletro?

 

La storia

Come nelle fiabe, c’era una volta una notte di luna piena una bella ragazza che serviva nel palazzo di un vecchio signore molto ricco, un po’ fuori Genova, nota città di mare, da qualche parte tra le colline coperte di abeti…

Una sera, il vecchio ricco cercò di piegare alle sue abiette voglie la giovane serva, e, quando lei rifiutò, le saltò addosso.

La poveretta si difese come poté e, forse, senza volerlo veramente, colpì più volte il vecchio al capo con un pesante attizzatoio preso dal camino.

Fatto questo, lei dovette scegliere la via della fuga, e scappando si rifugiò nel bosco, inseguita dalle milizie: perché il vecchio, colpito con violenza, era deceduto, e lei ne era ritenuta l’assassina.

Visse un lungo inverno tra le piante e le terre disabitate, nel freddo terribile di quei mesi pieni di neve, e restò in quei luoghi fin quando giunse la primavera. Fu allora che tre guardie la trovarono: dopo averla inseguita, la raggiunsero e la violentarono. Quindi, perché non li denunciasse, le tagliarono la lingua e poi le legarono le mani. A piedi, l’obbligarono a seguirli, mentre loro stavano sui cavalli, fino alla lontana città, dove la poveretta giunse sfinita, le piante dei piedi trasformate in orribili piaghe.

Fu fatto in fretta un processo, e la donna venne condannata all’impiccagione. Ma intanto, durante quel tempo, il ventre le era cresciuto, e apparve evidente a tutti che la donna stava aspettando un bambino.

Un prete misericordioso intercedette per lei e riuscì a strappare alla Corte l’autorizzazione a che la giovane venisse impiccata soltanto dopo avere messo al mondo il nascituro.

Così i mesi passavano  e la sua pancia s’ingrossava, mentre la giovane viveva nella più oscura e lurida delle celle, quasi dimenticata.

In un’altra notte di luna piena, il bambino venne alla luce, e quella notte stessa, mentre i vagiti del neonato risuonavano tra le mura del carcere, la puerpera venne impiccata: mentre il suo corpo penzolava dalla corda.

Il prete misericordioso che l’aveva assistita ritirò il bambino e si allontanò con quel fardello, per lasciarlo a una famiglia di contadini che si era dichiarata disposta ad adottarlo.

Ma mentre attraversava la gola dalle lunghe brume, il sacerdote venne ucciso da un gruppo di briganti, che gli tagliarono la gola e lo derubarono di ogni cosa.

Gettarono, poi, il piccolo giù da una rupe.

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Ma la fortuna assistette il bambino appena nato: la sua terribile caduta fu attutita da un grosso viluppo di cespugli, e là in mezzo egli giacque, piangente, per il resto della notte… fino a quando…

Minuscole, buffe creaturine magiche, che la leggenda chiama Elfi, apparvero e lo trovarono lì tra i cespugli, attirate dai suoi gemiti. Questi piccoli esseri si commossero al pianto del bambino e decisero di salvarlo: lo condussero fino a una casa tra le colline intorno a Genova, dove una famiglia di benestanti, i coniugi Paganini, aveva appena avuto un figlio maschio. Ma il piccolo era gravemente malato e malgrado le cure del medico stava ormai per morire.

Gli Elfi tolsero dalla culla il bambino condannato e lo sostituirono con quello che avevano salvato nel bosco: così piccini, infatti, i due bambini erano pressoché uguali!

L’indomani, quando la signora Paganini si svegliò, scoprì, con somma gioia… e con uguale stupore… che il figlioletto era guarito. Esultò, senza sospettare la verità: e cioè che nella notte il piccolo era morto ed era stato sostituito con un altro, dai membri del Piccolo Popolo!

****

Il bambino crebbe così con i Paganini, che lo chiamarono Nicolò, e si dimostrò ben presto un fanciullo dotato e molto intelligente. Il padre, che era un musicista, gli insegnò prestissimo a suonare il violino, e Nicolò si mostrò un ottimo allievo.

Ma Nicolò era anche uno spirito inquieto: amava la libertà, la vita nei campi, e non sopportava le costrizioni della vita sociale. Non approvava, inoltre, il modo di suonare del padre che riteneva, ora che lo aveva compreso e assorbito, del tutto antiquato.

Una sera, quando la luna era piena, il piccolo Nicolò fuggì di nascosto di casa e prese a vagare per i campi, inebriandosi del puro contatto con la natura. Si spogliò dei propri abiti e, nudo, girò nella campagna, come attratto da un richiamo irresistibile, e si mise a suonare il violino che si era portato appresso, là dov’era convinto che nessuno potesse ascoltarlo…

Si esibiva per la luna e per gli animali dei boschi, suonando come a lui piaceva e come il padre, invece, mai gli avrebbe permesso di fare, legato com’era a tecniche e a stili antichi…

Suonava, nudo sotto la luna, il piccolo Paganini… e la sua musica era così bella e struggente che, dai rifugi segreti, gli esseri dell’Altro Popolo uscirono e si avvicinarono per sentirlo… e ristettero ad ascoltarlo, incantati…

E quando lui, accorgendosi della loro presenza, smise di suonare, stupito, il Re degli Elfi lo invitò a non aver paura, e gli spiegò che essi lo conoscevano e già una volta l’avevano aiutato… e pregò il piccolo Paganini di venire a suonare lì, in quel luogo, per lui e per i suoi sudditi, in tutte le notti di luna piena: in cambio, l’Altro Popolo gli sarebbe stato sempre amico, e gli avrebbe fornito in ogni circostanza il proprio aiuto…

Così Nicolò Paganini crebbe, suonando di giorno a casa e nell’austera scuola dove l’aveva mandato il padre, mentre nelle notti di luna piena assaporava la libertà e andava a esibirsi nelle sue melodie più sfrenate, più prive di reticenze, nei luoghi dove lo attendevano i fantastici membri dell’Altro Popolo, le strane creature che la gente normale riteneva non esistessero: le fate, gli Elfi, gli gnomi…

Tutte queste creature, invece, ascoltavano sempre con estrema attenzione le stupende armonie che, in tutto segreto, il giovane Nicolò Paganini componeva ed eseguiva per loro, suonandole nei posti più strani, sotto la luna piena: nei cimiteri, per esempio, nei cimiteri abbandonati di campagna, nelle radure al centro dei boschi…

E, in cambio, i membri dell’Altro Popolo gli fecero conoscere le dolci Fate, piccole creature alate in forma di donna, scintillanti, che Paganini vedeva danzare al suono della sua musica…

Gli fecero vedere cose meravigliose e terribili allo stesso tempo.

Gli mostrarono l’Orco, che aveva il suo rifugio segreto sulla Luna, dalla quale scendeva sulla Terra ogni notte per strappare gli occhi ai bambini che erano stati cattivi… e lo condussero fino alla sommità dell’Etna, il grande vulcano che sorge in Sicilia, dove il piccolo Nicolò suonava per fare uscire dalla bocca del cratere il grande drago che sputava fuoco…

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E così, Nicolò Paganini crebbe, diviso tra il mondo borghese, popolato di esseri “umani” normali, che vedeva durante il giorno, e il mondo magico, incantato della notte… finché…Completamente ignaro della “doppia vita” di Nicolò, papà Paganini era fiero del figlio artista dal talento precoce, e nel 1796 lo fece debuttare in pubblico ottenendo un grande successo.

Incoraggiato dall’esito della prova, papà Paganini inviò il figlio a studiare a Parma, presso il “maestro” di violino Gaspare Ghiretti. Lì, nella grande villa immersa nella quiete della campagna, il giovane Paganini affinò le proprie doti di musicista, ma al tempo stesso si sentì sempre più costretto e bloccato, impedito nel suo naturale talento dalle ferree regole musicali, del tutto tradizionali, che Ghiretti gli imponeva come invalicabili.

Il giovane Paganini rimpiangeva i tempi felici nei quali aveva suonato libero per i figli dell’Altro Popolo, come quel giorno sulle pendici dell’Etna… Forse era stato proprio lì, tra i boati del vulcano e gli scoppi della lava che il precoce musicista aveva creato, esaltato da visioni surreali… un drago che albergava in quel luogo… il suo famoso Capriccio.

Il drago, quel drago che lui aveva ammansito con la sua musica magica… il drago, che era stato inviato per bruciare con il suo alito infuocato gli stupidi, la gente senza fantasia.

Era chiaro che Paganini trovava difficoltà a vivere nel mondo di tutti i giorni.

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Così, dopo un’ennesima lite con il maestro Ghiretti, il giovane Nicolò, mentre scoppiava un temporale, suonò usando il rombo dei tuoni come sincopatura musicale, e la melodia che uscì dalle corde del violino, pur in quell’ambiente ristretto dove agiva, era così bella che ebbe l’effetto prodigioso di dare anima agli oggetti, alle cose sparse di quel locale colmo di polvere.

Vestiti logori, non indossati da chissà quanto tempo, cominciarono a ballare da soli, mentre vecchi giocattoli si animarono e danzarono a loro volta al ritmo della musica incantata, finché al colmo dell’esaltazione musicale, richiamate dalla melodia incantata, minuscole creature magiche… gli Elfi e gli Gnomi… emersero dalle viscere di qualche posto dimenticato, forse una cantina, e praticarono sul giovane musicista un incantesimo…

Sì, proprio un incantesimo!incantesimo

Un incantesimo che lo trasformò in un uccello, un grande uccello che poteva infilarsi tra le sbarre di quella specie di cantina e volare via, nel cielo, senza più impedimenti…

Mentre, nell’angusto locale, il violino continuava a suonare da solo.

Sul ritmo di quella melodia incantata, trasformato in un uccello, Paganini provò l’ebbrezza di volare davvero libero nel cielo, in alto tra le nuvole, e poi, successivamente, a picco verso il suolo, sorvolando le grandi distese dei campi, incontro al giorno che ormai stava per sorgere… volando fino alle terre selvagge e incolte del Delta del Po, con i canali che sembravano non avere mai fine, prima di sfociare nel mare.

E poi egli vide Venezia, inondata dalla luce cremisi del primo sole che sorgeva! Venezia, come vista dal cielo dal Paganini-uccello… una visione, un’esperienza senza uguali, indimenticabile per l’artista…

Nicolò si risvegliò poi nei panni umani, quelli veri, come prigioniero di quel luogo angusto che, prima, era stato esaltato dalla sua musica!

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Nicolò Paganini ritornò poi a Genova, nella casa del padre che si mostrò sempre più esigente e autoritario nei suoi confronti, pretendendo di essere lui a guidare la vita e la carriera di quel figlio così prodigioso, usandolo forse, inconsciamente, per rifarsi delle umiliazioni patite quando lui stesso, senza successo, aveva cercato d’imporsi come musicista.

Nel 1797, accompagnato dal padre, Nicolò Paganini compì un giro di concerti in Lombardia. Di concerto in concerto, la sua popolarità aumentò…

E, in quella regione, conobbe Antonia, che poi sarebbe stata l’amore della sua vita… Antonia Bianchi, una stupenda fanciulla di quattordici anni, nobile, dalla quale Nicolò rimase immediatamente colpito, per la sua grazia e la sua bellezza.

Il giovane musicista riuscì ad ottenere, non senza difficoltà, un incontro con la fanciulla, nel grande giardino della villa dove lei viveva e lui aveva appena suonato. In quel luogo stupendo Nicolò e la fanciulla riuscirono a scambiarsi tenere parole, ma…

Ma vennero subito sorpresi, e lo scandalo fu enorme: la contessa madre della fanciulla s’infuriò non solo con il giovane musicista, ma anche con la ragazza, e decise d’inviarla in un collegio di tradizioni assai severe. Contemporaneamente il padre di Nicolò si scagliò violentemente contro il figlio, furente per quello scandalo che certo avrebbe danneggiato la sua carriera.

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Nicolò e il padre fecero ritorno a Genova, e fu un viaggio carico di tristi presagi: il padre non gli rivolse la parola, perché era sempre furibondo con lui. Arrivati nella città, il padre gli comunicò l’intenzione di spedirlo non più in collegio, ma addirittura in un monastero, almeno fino a quando lo scandalo non si fosse placato.

Questa volta però il giovane Nicolò si ribellò, stanco di subire le imposizioni del padre tiranno, e allora l’uomo si scatenò e picchiò duramente il figlio. Poi lo rinchiuse in soffitta, condannandolo a rimanere a pane e acqua fino a quando non avesse deciso di piegarsi ai suoi dispotici voleri.

Ma di nuovo, il giovane riuscì a trovare scampo nella musica. Ormai esasperato dal padre adottivo, Nicolò inforcò di nuovo l’arco nel violino, ed eseguì, nella stanza dov’era stato relegato, come in trance, la musica… quella sua particolare musica magica, per evocare gli Elfi e gli Gnomi… Per evocarli affinché lo liberassero finalmente dal giogo familiare che ormai gli riusciva insopportabile.

E loro non potevano rimanere insensibili a questa supplica…

In risposta, le forze dell’Altro Popolo si scatenarono come esse sole sapevano fare, e il rude, severo genitore di Nicolò trascorse una notte di terrore, in balia di quelle creature dell’ignoto, che si esibirono in tutto il loro repertorio stregonesco facendo praticamente “vivere” ogni oggetto della casa, che cominciò a danzare un ballo frenetico ed esasperato, una sorta di balletto macabro e infernale…

Tutto questo si trasformò in una sorta d’inferno, per l’anziano e dispotico uomo. E all’alba Nicolò Paganini si ritrovò improvvisamente libero… perché il padre, già malato di cuore, stremato da tutte quelle immagini di terrore che gli erano sfilate davanti agli occhi, cadde al suolo… stramazzò, anzi, fulminato da un infarto.

Quando i servi, non vedendolo apparire nella sala da pranzo, lo andarono a cercare, lo ritrovarono… morto!

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Così, liberatosi dal padre, iniziò per Nicolò Paganini la vita libera, e il successo dei suoi primi concerti da esecutore autonomo lo inebriò, facendogli dimenticare la sua pena segreta, e le difficoltà della vita.

Infatti, contemporaneamente al successo della sua musica, Paganini dovette percorrere un altro itinerario… un itinerario difficile.

Fuorviato da falsi amici interessati, Nicolò si diede al gioco d’azzardo e, contemporaneamente, all’amore sfrenato, quello di più bassa lega. Si ridusse, in breve, in uno stato di povertà assoluta, tanto che fu obbligato persino a impegnare il violino per saldare in parte certi debiti di gioco.

Vi fu anche un episodio drammatico: non essendo in grado di pagare venne aggredito, in una strada solitaria, da un creditore infuriato. Nicolò rimase ferito, ma poi, nel seguito della colluttazione, riuscì a uccidere l’avversario.

E per questo episodio venne condannato per assassinio, e rinchiuso in prigione. Sarebbe stato condannato a trascorrere in una fetida e oscura cella il resto della sua vita se, di nuovo, l’Altro Popolo non fosse venuto in suo aiuto: le piccole creature della notte e dell’invisibile gli svelarono un modo per fuggire…

E così Paganini riuscì a lasciare la prigione, evadendo attraverso immonde fognature, finché non riuscì a raggiungere l’aperta campagna e lì, per salvarlo dalle guardie lanciate alla sua ricerca, il Re degli Elfi accettò di trasformarlo in un animale, riuscendo così a nasconderlo, a patto che Nicolò s’impegnasse poi a suonare fino all’esasperazione, fino allo sfinimento, un concerto per lui.

Nicolò accettò e con un incantesimo venne trasformato in un animale… l’animale scelto per lui dal Re degli Elfi fu il lupo.

Un giovane, bellissimo, fiero lupo che iniziò subito una fuga disperata, per portarsi sempre più lontano da quelle terre dove i miliziani lo cercavano e lo braccavano senza requie.

Vagò, in forma di lupo, nell’inverno che ormai incombeva, e si rifugiò tra gli alti monti della catena alpina… i più imponenti d’Italia… nascondendosi in caverne, grotte e rifugi improvvisati, finché, quando ritornò la primavera, incontrò…

Incontrò una lupa.

Una superba, bellissima lupa, dalla quale il Paganini trasformato in belva si sentì attratto in maniera irresistibile. La spiò a lungo e la inseguì, finché non la vide andare a bagnarsi sotto l’acqua di una stupenda, freschissima cascata e allora…

Allora, la superba lupa si trasformò in una magnifica fanciulla nuda… Antonia!

Antonia, proprio lei, la ragazza di cui Nicolò si era innamorato. Proprio lei, Antonia, che apparteneva anch’essa all’Altro Popolo, in realtà!

Spiandola con i suoi occhi di lupo, Nicolò vide la giovane che si rivestiva, per tornare poi tra le mura di un austero edificio… il collegio nel quale era stata confinata, un severo e austero collegio alle pendici delle Alpi!

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Ritornato normale, dopo aver suonato per una notte intera il suo violino in maniera sublime per il Re degli Elfi e i suoi minuscoli sudditi soprannaturali, Nicolò Paganini si recò nel collegio per cercare di incontrarsi con la dolce, amatissima Antonia. Ma era troppo tardi…

Il giovane musicista riuscì a sapere soltanto che la ragazza era ritornata a casa, dopo una breve permanenza nel collegio, richiamata dalla madre.

Non potendo andare a cercarla, perché  impoverito dalle recenti disavventure e ancora braccato dalla giustizia, Nicolò si trasferì in Francia, dove dovette ricominciare da zero la propria carriera, suonando dapprima come un musico “buffo” in un piccolo circo girovago.

La proprietaria di questo circo che vagava senza posa di paese in paese s’invaghì di lui, ma Nicolò non volle saperne e fuggì, più rapidamente che potè.

Quindi venne assoldato in una casa di piacere di Parigi, dove suonava per le coppie che ballavano in una vasta sala, prima di abbandonarsi ai “giochi d’amore” nelle altre stanze. E qui conobbe Viviane, una bellissima prostituta, che s’innamorò di lui, come accadde del resto anche a Madame Ory, la tenutaria del bordello.

Il fascino che il giovane musicista esercitava sulle donne era indiscutibile, ma Nicolò non dava molto peso a queste avventure: il suo cuore era sempre preso da Antonia, la sua giovane, deliziosa Antonia.

Ma a fare la fortuna di Nicolò Paganini fu Lady Vevey, una nobildonna che s’innamorava imparzialmente degli uomini e delle ragazze…

Un ambiente ambiguo, con echi saffici, nel quale Nicolò era piombato quasi senza rendersene conto…

Affascinata dalla musica di Nicolò e dalla sua carismatica figura, la ricca e affascinante lady lo prese sotto la sua protezione, facendone contemporaneamente il proprio amante e “musico” personale.

Eppure il ricordo di Antonia…

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Grazie al rapporto con quella donna che lo aveva introdotto nel ricco mondo di Parigi, però, Nicolò conobbe le persone giuste per affermarsi nell’ambiente e acquistò in breve tempo grande notorietà. Tornò improvvisamente ad affermarsi, e in quella città cominciò a tenere i primi, applauditissimi concerti.

Fu uno dei suoi momenti di massima creatività, quello: compose una serie di ventiquattro Capricci per violino, che lo resero definitivamente ricco e famoso. Grazie ai buoni uffici di un’altra ricca dama che si era invaghita di lui, egli riuscì anche a far cancellare la propria condanna in Italia, e poté così accettare di compiere una tournée nel paese che gli aveva dato i natali.

Durante questa serie di concerti, nel 1805, conobbe a Lucca la principessa Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte, che, pur non essendo appassionata di musica, anzi detestando il suono stesso del violino, s’invaghì perdutamente di lui.

Nicolò si stabilì nel Granducato di Toscana, e iniziò un’intensa storia d’amore con la donna, la quale spasimava per la selvaggia animalità che Paganini rivelava nei loro “incontri d’amore”, durante i quali metteva in mostro una virilità che appariva fuori del comune…

Nel 1807, proprio a Lucca, Paganini si esibì davanti a Napoleone, dedicandogli una delle sue più celebri “suonate”. Ma, proprio nel corso dei festeggiamenti speciali indetti per celebrare l’arrivo del Bonaparte, Paganini incontrò quasi casualmente la fanciulla che, nonostante tutte le sue avventure, aveva continuato ad amare in segreto: Antonia… Proprio lei, Antonia, che adesso era una donna completa, stupenda e ammirata da tutti.

La fanciulla era diventata donna, e faceva la ballerina: era diventata anzi una delle più celebrate ballerine del tempo e anche lei si esibiva davanti agli occhi di Napoleone, l’Imperatore, il famoso Corso.

Durante il sontuoso ricevimento che seguì lo spettacolo, Antonia gli rivelò di conoscere il suo segreto… perché anche lei, come Nicolò, faceva parte dell’Altro Popolo; e gli confessò che anche lei, come lui, non era mai riuscita a dimenticarlo. Tutto questo, fin dal giorno del loro primo incontro nella villa della madre adottiva.

Quella notte, grazie a un incantesimo evocato dal magico violino del musicista, sia Nicolò che Antonia si trasformarono di nuovo in lupi… Superbi lupi che fuggirono dalla città e s’aggirarono per le campagne liberi in mezzo alla natura più pura e incontaminata, dove, alla fine…

Alla fine, riuscirono ad amarsi… Ad amarsi come esseri umani e come belve… in entrambi i modi, fino allo sfinimento più completo… fino a che, completamente sazio di piacere, Nicolò cominciò a suonare per lei, Antonia, che ora, completamente rapita, ballava nuda solo per lui…

Una musica incantata, per un balletto magico…

Una musica che li trasferiva sul piano astrale, dove Antonia, diventata un’eterea figura, conduceva la sua danza tra il cosmo e i pianeti, tra le stelle e le lune, più sfolgorante di una cometa, più affascinante di un sole che ardeva in continuazione…

Ma alla fine di quell’esaltante esperienza, Antonia rivelò a Nicolò che il loro amore non era destinato a durare: lei era infatti eterna, immortale, come tutti i veri figli dell’Altro Popolo; mentre lui era fondamentalmente umano e quindi destinato a invecchiare e a morire… mentre lei sarebbe rimasta per sempre giovane e bella…

Infatti, Nicolò era stato aiutato e adottato dall’Altro Popolo: ma non era uno di loro, perché sua madre era stata una donna completamente umana, come pure i soldati che l’avevano violentata. L’unico modo che Paganini aveva di rendere perfetta e felice la sua unione con Antonia era dunque al di là delle vie degli uomini: era quello di diventare a sua volta immortale?

Ma come? Come?

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Proprio per trovare la risposta a questo tragico interrogativo, Nicolò Paganini abbandonò il Granducato di Toscana e iniziò una serie di peregrinazioni per l’Europa, ufficialmente per tenere dei concerti nelle varie nazioni, ma in realtà per incontrarsi con occultisti, maghi e studiosi del paranormale di diversi paesi; e a tutti costoro chiese lumi, tentando di ottenere una risposta all’interrogativo che lo tormentava.

Perché lui ora voleva diventare immortale. Voleva trovare un modo per unirsi definitivamente all’Altro Popolo, perché non si sentiva sufficientemente “umano” per condurre la propria vita tra la gente normale, e soprattutto perché non riusciva a dimenticare Antonia: desiderava anzi di poterla amare all’infinito.

Andò così a Vienna, nel 1828, e vide un alchimista che lo fece incontrare con gli spiriti che infestavano le acque e gli isolotti del Danubio; ma non ottenne la risposta che cercava.

Si recò allora, nel 1831, a Londra e poi in Scozia, dove si esibì suonando in un castello abitato dagli spettri, per evocarli e cercare di ottenere da loro la risposta desiderata. Ma durante tutti questi giri, non riuscì a trovare ciò che aveva disperatamente cercato: riuscì solo a diventare ancora più ricco e ancora più celebre…

Al termine di questa infruttuosa ricerca fece ritorno a Parigi affranto, consapevole del fatto che forse non esisteva alcuna risposta al quesito che lui si era posto. Fu in quella città ch’egli s’incontrò di nuovo con Antonia. Si amarono di nuovo, e lei, dopo quell’incontro, gli rivelò che questa sarebbe stata la loro ultima riunione: era meglio che da quel giorno in poi non si fossero più visti.la coppia

Paganini fu costretto ad acconsentire, e quando lei partì per ritornare in Italia, si abbandonò alla follia, alla vita più materiale e godereccia, vuota e inutile.

Nicolò si rifiutò di suonare ancora, e si dedicò unicamente ai piaceri della vita, cercando forse l’autodistruzione.

In verità, riuscì a sperperare in breve tempo tutta la sua enorme fortuna, riducendosi di nuovo in miseria, oberato di debiti; venne sfidato a duello da un nobile al quale aveva sedotto la moglie, e, uccidendolo, fu obbligato nuovamente a fuggire e a lasciare la Francia.

Durante questa fuga effettuò delle brevi tappe a Marsiglia, poi a Nizza, per riapprovare ai luoghi dai quali era partito… un tempo così lontano… le colline dell’entroterra ligure.

Lì visse in esilio, finché non incontrò uno strano personaggio: un vagabondo misero e lacero, che gli svelò inaspettatamente di essere un messo del Principe dei Demoni. Sì, proprio il mitico, irraggiungibile Principe dei Demoni!

Il vagabondo dichiarò al musicista che il Principe era disposto a rivelargli il supremo segreto che lui cercava con tanta disperazione… a patto che Nicolò andasse a suonare per lui… nel profondo dell’Inferno!

Spinto dalla disperazione, Paganini non esitò ad accettare il patto, e seguì subito il messo del Principe dei Demoni, che lo condusse a Napoli, alle pendici del vulcano Vesuvio, e di là fino al lago Averno, situato in un cratere spento: lì sotto, in fondo alle acque, il messo gli rivelò l’esistenza della porta d’ingresso all’Ade, al regno delle eterne tenebre.

Paganini e il messo del Principe dei Demoni scesero sotto le acque del lago, entrarono nella grande porta di pietra, e così…

Così Nicolò si ritrovò all’Inferno vero e proprio, dove, tra le eterne fiamme, osservò le atroci condanne alle quali erano sottoposte le anime dannate…

E fu in quel luogo di eterno tormento che Nicolò incontrò il Principe dei Demoni… un essere umano che subito lo affascinò, e si dichiarò disposto a concedergli l’immortalità, in cambio della sua anima…

L’immortalità grazie alla quale lui avrebbe potuto amare per sempre Antonia… ma che lo avrebbe condannato però all’eterna dannazione…

Ebbro d’amore, Paganini accettò il patto: e, al culmine di una folle notte d’amore con la sua Antonia ritrovata, in quel regno d’immenso fuoco, il Principe dei Demoni lo trasformò in un essere immortale.

Prima di andarsene, però, Paganini chiese di poter suonare ancora il suo violino in quel luogo maledetto, al fine di lenire almeno per una volta, con la sublime dolcezza della sua musica, l’eterna pena di quelle anime dannate… in mezzo alle quali aveva ritrovato anche il proprio padre adottivo.

Il Principe dei Demoni acconsentì, e così Paganini eseguì la sua “suonata” nella grotta del fuoco eterno, sotto il fondo del lago.

E la musica che lui suonò era così bella, così sublime, che, oltre a lenire per davvero la pena di quelle anime dannate, riuscì perfino a commuovere lui, il Principe dei Demoni: il quale, pur di poter tornare a sentir suonare Paganini, si dichiarò disposto a restituirgli l’anima, lasciandolo però immortale.

A patto che…

A patto che, in ogni notte di luna piena, lui, Nicolò Paganini, fosse ritornato in quel luogo di tormento, a suonare per il Principe dei Demoni.

Paganini non esitò ad accettare il patto… felice di poter diventare così anche lui un membro eterno dell’Altro Popolo, senza per questo dover rinunciare alla propria anima…

Perché era solo grazie a essa che la sua musica riusciva a essere così soave e sublime…

****

Ritornato nel mondo degli uomini, Paganini assistette allora alla propria morte, che avvenne a Nizza, nel 1840…

Anche se a “morire”, in realtà, era stato solo un corpo vuoto: lui era ormai un puro spirito che, mentre assisteva al proprio funerale, mentre vedeva il proprio corpo tumulato in terra sconsacrata, poteva ancora continuare a suonare…

A suonare… una musica così bella che era riuscita a incantare perfino il Principe dei Demoni…

Una musica così pura che non poteva finire con la morte umana…

Una musica che lui suonerà in eterno per tutti coloro che vogliono ascoltare…

Per l’Altro Popolo…

Per il Principe dei Demoni…

E per Antonia… alla quale ora Nicolò poteva finalmente unirsi, eternamente felice.

 

 

Tratto da Il Cuore Misterioso © Luigi Cozzi (1984

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Attivo nel fandom fantascientifico italiano dalle sue origini, è il più famoso autore italiano di film; il suo film più famoso è forse Scontri stellari oltre la terza dimensione (1978). Nel 1962 aveva creato quella che è considerata la prima fanzine italiana del genere, Futuria Fantasia. Dal 1995, a seguito della scomparsa del cinema di genere italiano, si è dedicato attivamente alla gestione del negozio Profondo Rosso, inaugurato nel 1989 a Roma nel quartiere Prati.