Un giorno forse è un breve racconto di Christofer Dabrowski il nostro amico scrittore polacco, che spesso ci concede la pubblicazione di alcuni suoi pezzi, fantastici, o di fantascienza vera e propria. Questo è il caso di una sua breve storia, certamente distopica, ma con il profumo di una lieve speranza che la rende decisamente dolce…

 

All’inizio ci fu un grande bagliore. Solo un lampo accecante. E poi accadde.
Helen ebbe paura. Dopotutto era sola in casa.

I suoi genitori erano partiti per una missione di ricerca sulla Luna, la nonna era andata al laboratorio per portare avanti i suoi studi e lei si trovava sola quando tutto successe.

Era abbastanza grande. Aveva, in effetti, sette anni e mezzo, ma provò un senso di angoscia.

Non appena si fu calmata, corse al computer. Per scoprire qualcosa su ciò che era accaduto, l’unico modo era con Internet.

Ma il computer non funzionava.

In realtà, nulla in casa funzionava. Persino i robot delle pulizie avevano abbandonato ogni movimento, restando bloccati in pose grottesche. Anche la luce era sparita e tutte le serrature dovevano essere aperte a mano, perché non si sbloccavano più da sole.

Smarrita, Helen uscì dall’appartamento.

Anche i vicini uscirono. Solo adulti, perché lei era l’unica, lì, ad avere sette anni. Sette e mezzo. In generale, era l’unica che veniva ancora chiamata “bambina”. A parte lei, lì abitavano solo adulti.

All’inizio, la cosa le sembrò piuttosto strana. C’erano solo loro, e tutti i suoi coetanei…
Be’, la compagnia dei suoi genitori, della nonna e di Bongos — la scimmietta di peluche — era piacevole, ma a volte le mancavano gli amici, i compagni di giochi.

Per fortuna, bastava accendere la rete e loro apparivano.

Poteva sempre parlare con loro, prenderli in giro o giocare.

Vedeva le loro foto ogni giorno — loro le mostravano cosa stavano facendo, dove erano stati, cosa avevano mangiato e in generale condividevano tutto ciò che di divertente poteva succedere a quell’età.

Lei non poteva vantarsi di cose come quelle — lì tutto era sempre… unifico
Cercò di ricordarsi come si diceva…

No, niente: non le veniva in mente.

Comunque, il punto era che lì era tutto lo stesso per tutti e non c’era nulla di cui essere fieri.

Ma ai suoi amici questo non dava proprio fastidio — anzi, pensavano che in quel posto fosse tutto davvero bello e fantastico, come dicevano tanti. Dicevano anche che a loro sarebbe piaciuto trovarsi al suo posto.

Davvero avrebbero voluto essere, fin dalla nascita, l’unico bambino nel vicinato?
A loro sarebbe piaciuto avere amici solo su Internet, senza mai incontrarli di persona? Non poter fare monellerie insieme, non con in mezzo una webcam?

Eppure, lei che ci poteva fare?

Per fortuna c’era Mister Bongos da coccolare e con cui giocare.

Ma oggi era successo qualcosa di strano e probabilmente anche spaventoso, perché tutti erano sconvolti. E lei non aveva mai visto adulti spaventati prima di adesso. E lo erano davvero tutti.

Alcuni piangevano…

Cosa era mai successo?

La nonna aveva i suoi tesori, come chiamava le cose meravigliose che teneva in quella scatola di metallo decorata.

A volte li tirava fuori e li guardava, sorridendo.

«Nonna, che cos’hai lì?» le aveva chiesto una volta Helen, mettendosi in punta di piedi e tirandole la manica.

«Vieni qui, che ti faccio vedere i miei tesori,» disse la nonna e la mise sulle ginocchia.

I suoi tesori erano meravigliosi. Per esempio, delle fotografie che in teoria non esistono più, eppure esistono ancora — basta accendere il computer o collegarsi alla rete. Ma adesso immaginate che la nonna ce le avesse su carta!

Noi abbiamo anche le olo-foto. Le puoi guardare da ogni angolo, perché vengono proiettate su uno schermo. Ma con le fotografie della nonna, quelle di carta, non si poteva fare. Non erano nemmeno tridimensionali. Erano stranamente piatte, eppure… be’, avevano qualcosa. Qualcosa di speciale. Forse il fatto che potevi tenerle in mano, senza dover accendere il computer.

La nonna faceva anche cose strane con quelle fotografie. Accarezzava i visi di alcune persone stampate su, per esempio. E mentre lo faceva, sorrideva.

«Che fai, nonna?»

«Li accarezzo.»

«E come fai ad accarezzarli?»

«Così, tesoro.»

«Ah», rispose Helen, e dopo un attimo di riflessione accarezzò anche lei l’uomo nella foto. «Com’è buffo», ridacchiò.

Anche la nonna rise.

«Chi è, nonna?»

«È il nonno. Tuo nonno.»

«E dov’è?»

Per un momento la nonna si intristì.

«Il nonno ha messo le ali ed è volato nel posto dove si aspetta di rinascere.»

«E perché darsi tanta pena per rinascere, non è meglio restare come si è?» chiese lei, aggrottando le sopracciglia.

«È così che funziona: quando una persona invecchia, le crescono le ali e vola dove può ringiovanire.»

«E dove è nato il nonno? Vuoi dire che adesso è un bebè, giusto?»

«Sì,» disse la nonna. «Ma non sappiamo quale bambino sia, ed è per questo che bisogna essere gentili con tutti i bambini, perché non si sa mai quale potrebbe essere tuo nonno.»

«Quindi vorresti dire che il mondo è pieno di piccoli nonni?»

«Esatto.»

«E se un giorno volessi sposarmi, come mamma e papà, se mi innamorassi, allora vorrei che non fosse mio nonno. Il nonno è troppo… qualcuno per la nonna.»

«Non preoccuparti, piccolina. Di sicuro non sarà il nonno.»

«E come fai a saperlo?»

«Lo so e basta,» rise la nonna.

«Be’, se lo dici tu, allora va bene. Quindi, un giorno potrò sposarmi.»

E così restavano sedute a chiacchierare. Cioè, per lo più era la nonna che spiegava cosa c’era nelle fotografie e Helen ogni tanto faceva una domanda.

«Oh, e cos’è quella cosina buffa e pelosa?»

«È un gattino.»

«E a cosa serve?»

«Per farsi coccolare.»

Lei strillò e batté le mani.

«Che bello!»

«E questo qui?»

«È un cagnolino.»

«Serve anche lui per le coccole?»

«Sì.»

Helen cominciò ad agitare le gambe con entusiasmo, come faceva ogni volta che qualcosa la entusiasmava.

Helen era spaventata dal fatto che tutti gli adulti si comportassero in modo così strano e allora tornò nell’appartamento, corse nella sua stanza, si sdraiò sul lettino e strinse forte Mister Bongos.

Il sole, fuori dalla finestra dell’appartamento, stava lentamente scomparendo, oscurato da una gigantesca sfera grigia: la luna.

Stava scendendo il buio.

Helen provava ad essere coraggiosa e il pelo morbido del suo scimmiotto le dava una mano.

Dopo un po’, la bambina sentì l’apertura della chiusa d’aria esterna.

Qualcosa raschiò, cigolò, poi sibilò, e dopo un momento una luce debole e tremolante comparve nel fondo dell’abitazione.

Incuriosita, Helen posò il signor Bongos e uscì dalla stanza attraverso la chiusa lasciata aperta.

Fuori, vide la nonna con in mano uno strano oggetto allungato. Da un’estremità emetteva della luce. E l’aggeggio le sembrò ancora più instabile di quanto non le fosse sembrato all’inizio, perché ondeggiava, come mosso da una forza invisibile.

«Cos’è, nonna?»

«È una candela, cara.»

«Va a elettricità? Mi sembra strana.»

«No, tesoro, è solo un fuoco.»

«Ah,» fece Helen, grattandosi la testa. «Come quando parte un razzo?»

«Qualcosa del genere,» disse la nonna, poggiando con cura lo strano oggetto su uno scaffale e avvicinandosi alla credenza.

L’oggetto emetteva un tenue calore e la sua luce era molto più piacevole di quella dell’illuminazione di bordo, che era invece fredda. Questa invece era dolce da guardare. Forse l’unica cosa bella accaduta in tutto quel caos.

La nonna tirò fuori dei biscotti e li mise su un piatto.

«Per te, mangiane uno.»

«Grazie, nonnina! Sei odorabile!» gridò Helen, abbracciandole la gamba.

La nonna scoppiò a ridere. «Meglio se dici adorabile

«Avevo detto ai tuoi genitori di restare sulla Terra. Saresti andata a scuola e la tua antiquata ava non avrebbe dovuto correggerti. Ci sono delle persone sulla Terra che si fanno chiamare insegnanti

«Lo so. I miei amici ne hanno.»

«E queste persone insegnano le parole e dicono quali usare, come e quando.»

«Ma io ho l’insegnante migliore del mondo: te! E sei proprio odorabile

«Adorabile, piccolina, si dice adorabile

«Adorabile,» ripeté Helen, cercando di ricordare che quella era la parola giusta, in quel contesto.

Dopo un po’, la bambina si rattristò. Afferrò la mano della nonna e, senza dire una parola, iniziò a trascinarla verso la sua stanza.

Indicò il computer. «Non funziona. Puoi aggiustarlo?»

«Non posso, tesoro.»

«Oh no… e quello della mamma?»

La nonna sospirò profondamente, poi si sedette e si batté le ginocchia con le mani. Helen non aveva bisogno che glielo dicesse due volte: saltò subito in grembo della nonna.

«Tutti i computer sono rotti, piccola,» disse con una voce stranamente triste.

«Ma li aggiusteranno, prima o poi, no?»

«Rotti tutti quanti. Sia qui che sulla Terra,» rispose la nonna, come se non avesse sentito la domanda.

«Tutti i computer sono rotti. E anche Internet e sono sparite tutte le nuvole. Persino i dischi rigidi non funzionano più.»

«Oh no,» gemette Helen. «I miei amici… sono spariti…»

«No, piccola mia,» rispose la nonna, accarezzandole dolcemente i capelli. «Non sono spariti.»

«Ma li ritroverò? Non li ritroverò, vero?»

«Forse un giorno,» mentì la nonna. «Quando aggiusteranno tutto.»

«Forse un giorno,» ripeté Helen con voce piena di speranza.

La nonna tenne per sé la verità più dura. Abbracciò Helen con forza e girò lo sguardo verso la finestra, da cui si intravedeva l’oscurità gelida dell’universo.

L’infinita vastità del vuoto.

Da qualche parte, sotto di loro, c’era la Terra. Da qualche parte accanto, la Luna. E loro si trovavano a bordo di una gigantesca stazione spaziale, che, alla deriva, si era ormai trasformata in una enorme bara di metallo…

 

One Day, Maybe…
di Krzysztof T. Dąbrowski © 2025
Traduzione italiana a cura di Franco Giambalvo
Immagine di copertina realizzata con AI, Microsoft Designer

Christopher T. Dabrowski
+ posts

è uno scrittore e sceneggiatore polacco. I suoi libri sono stati pubblicati in Polonia, Stati Uniti, Spagna e Germania. Le sue storie sono state pubblicate in molti paesi. Gli piace collaborare con registi e fumettisti - è specializzato in Drabble scritti in polacco, ma facilmente adattabili a qualsiasi lingua.