Ci fa piacere ricevere un intervento dai nuovi collaboratori : così Andrea Micalone, di cui abbiamo parlato recentemente, ci invia la recensione di un romanzo che lo ha particolarmente colpito.
Inizio oggi con grande piacere la mia collaborazione con “Nuove Vie”. Cercherò di portare tutto il mio impegno per creare articoli e racconti di qualità in questo sito che si sta ricavando uno spazio nel web sempre più rilevante. Cominciamo dunque da un romanzo di fantascienza che, pur non essendo un “grande classico”, mi ha segnato in modo innegabile.
“Il giogo del tempo” di Brian Stableford
[singlepic id=398 w=120 h=110 float=right]Parecchi anni fa mi capitò tra le mani un romanzetto di Brian M. Stableford intitolato “Il giogo del tempo”. Incuriosito dalla copertina in cui si diceva che “questa volta il messia viene dal passato”, iniziai a leggerlo con le semplici aspettative di chi si accinge ad affrontare un romanzetto di evasione.
[singlepic id=400 w=120 h=199 float=left]L’autore è celebre per altri romanzi come “Londra Invisibile” e pertanto mi aspettavo qualcosa di quel genere, con avventura e mistero in quantità.
La lettura mi sconvolse. Allora ero ancor più giovane di adesso e non avevo alle spalle letture molto “forti”, ma quel libretto all’improvviso mi fece comprendere che anche un romanzo con pretese fantascientifiche può essere qualcosa di “artistico e filosofico”.
Il libro è diviso con forza in due parti e ho scoperto che la prima è stata aggiunta in seguito, quando Stableford decise di dare un senso più compiuto alla seconda parte scritta in gioventù. Quello del “senso” è un discorso fondamentale per questo libro, perché effettivamente nella seconda parte, soprattutto se la si immagina priva dell’antefatto, sarebbe faticoso trovare una ragione per tutti gli strani avvenimenti che accadono.
[singlepic id=399 w=200 h=332 float=right]Nella prima metà scopriamo dunque che esiste una setta che cerca il modo di raggiungere “l’uomo futuro”: un’evoluzione suprema dell’essere umano dall’evidente sapore nietzschiano. Il protagonista si aggira in un mondo post apocalittico, dove tutto è tornato a uno stadio preindustriale, assieme al proprio fratello (dalle evidenti tendenze spirituali) e con un “frate dell’uomo futuro”. Potremmo dire che il tema fantascientifico del romanzo si limita a questi pochi elementi. Da qui in poi si apre la “riflessione filosofica” o il “delirio”, a seconda dei punti di vista.
I tre personaggi viaggiano, incontrano personaggi strani, alcuni realistici, altri totalmente inverosimili, ma non importa, perché ogni incontro è un’evidente metafora: la miccia per far esplodere lunghe disquisizioni sulla natura dell’uomo, il mondo, l’universo e tutto quanto.
A ogni occasione il fratello del protagonista è più deciso a incontrare il “viaggiatore nel tempo”, colui che ha conosciuto l’avvento dell’uomo futuro e che saprebbe rispondere a tutte le mille domande che attanagliano l’uomo da sempre. Arriviamo così alla seconda metà dove scopriamo che la percezione del tempo è un qualcosa di puramente fisico (nel senso di corporale), pertanto può essere modificata assumendo una droga particolare. Stableford userà quest’idea anche in romanzi più celebri, ma qui è il primo pretesto per far deviare del tutto dai binari una storia che, sino a questo momento, per quanto strana, ha un suo perché. I protagonisti decidono perciò di assumere questa sostanza e viaggiano per trovare l’uomo futuro. A questo punto arriviamo alla parte di romanzo scritta dallo Stableford giovane. L’autore stesso, in una nota finale, ammette che con il tempo ha imparato a scrivere in modi più ponderati, eppure questa seconda parte dove si viaggia nel tempo, in un mondo più onirico che fantascientifico, dove comprendiamo che l’uomo futuro perderà ogni limite e pertanto potrà modificare la realtà con un semplice atto di volontà, tutto diventa indefinito, tanto incomprensibile e sognante da non poter essere scartato con un semplice: “non ha senso”. Si conclude la lettura con la sensazione di aver ottenuto qualcosa, ma non si sa cosa. Si comprende solo un senso generale del tutto, ed è anche vero che l’autore parte per la “tangente poetica” in troppe occasioni.
In conclusione? In conclusione è mia intenzione parlare di un romanzo (pubblicato da Urania nel 1997) che a mio parere, pur non essendo un capolavoro letterario, ha un netto potenziale. Ora che posso giudicarlo alla luce di letture più importanti, comprendo come l’autore avesse fatto man bassa di “pensieri filosofici” e volesse costruire un’opera assurdamente poetica, e di come volesse ottenere un risultato accostabile ad opere oniriche ben più riuscite (mi vengono in mente gli scritti di Neil Gaiman). Forse “il giogo del tempo” è solo un eccesso di gioventù di Stableford, eppure, se ne sto parlando ora, a distanza di anni, è evidente che mi ha lasciato qualcosa, fosse anche solo il desiderio di “andare oltre le briglie del pensiero”. Ve lo consiglio, e non per evadere in modo banale, ma per fuggire dalla realtà.
Andrea Micalone
I pareri su questo romanzo sono sempre stati piuttosto diversi: chi lo considera un capolavoro, chi lo considera illeggibile. Vedi ad esempio cosa ne pensano i lettori di Anobii.